AMIANTO DALL’INDIA,
A TONNELLATE!
Inchiesta
esplorativa aperta dal Pubblico Ministero Raffaele Guariniello.
Per ora non ci sono
indagati né ipotesi di reato.
In due anni
importati 1.040.000 kg di asbesto. Ma per fare cosa?
Ben 1.040
tonnellate di amianto importate dall’India in Italia in soli due anni, anche se
dal 1992 la estrazione, commercializzazione e importazione dell’amianto è stata
vietata e (da quella data) è cresciuta giorno dopo giorno la consapevolezza che
l’unico modo per sconfiggere questo nemico e limitare i rischi che ne derivano è
evitare di venirne a contatto in qualunque modo.
Una scoperta che
crea perplessità e timori ponendo quesiti a cui si spera possano essere trovate
al più presto risposte convincenti.
Il materiale, 1.040
tonnellate nel biennio 2011-2012, è solo una parte dell’amianto finito in
Italia, visto che (ha confermato l’Agenzia delle Dogane, interpellata dalla
Procura di Torino) le importazioni sono continuate anche nel
2014.
Una vicenda su cui
il Pubblico Ministero torinese Raffaele Guariniello ha aperto un’inchiesta
esplorativa, per chiarire eventuali responsabilità nella gestione dei canali di
importazione di asbesto e nell’impiego di tale materiale.
Al momento,
tuttavia, non ci sono indagati né ipotesi di reato.
Ma la prima cosa
che ci si chiede inevitabilmente e se è sempre stato così dal 1992 a oggi? E
quanto è il totale di tonnellate importate in Italia?
La seconda,
ovviamente, è dove finiscano e per che tipo di attività sia impiegato.
La legge del 1992,
che vietava “l’estrazione, l’importazione, l’esportazione la commercializzazione
di amianto o di prodotti contenenti amianto”, in effetti prevedeva alcune
deroghe, ovviamente soggette ad autorizzazioni specifiche.
Deroghe previste
per lavorazioni e prodotti particolari per cui non c’erano, si disse all’epoca,
conoscenze e materiali alternativi.
Per esempio per
guarnizioni di impianti di produzione che richiedono lavorazioni ad altissima
temperatura o dove si trattano componenti fortemente caustici.
Certamente non,
invece, i consueti manufatti in fibrocemento la cui produzione e
commercializzazione furono e sono alla base del disastro ambientale creato
dall’Eternit e dalle altre aziende che nei decenni scorsi hanno lavorato la
fibra killer.
Un’altra domanda
riguarda ovviamente se e in quali condizioni è stata effettuata la lavorazione
del minerale, ammesso che (appunto) sia stato impiegato per produzioni
debitamente autorizzate. Sono alcune delle questioni su cui la Procura di Torino
guidata da Guariniello sta cercando di raccogliere informazioni per fare
chiarezza su una vicenda che in ogni caso richiede di essere attentamente
monitorata.
La speculazione
continua, ma la questione non può che far riflettere sulla realtà di
speculazione che ancora è tragicamente presente in tante parti del
mondo.
Nel maggio del 2013
a Ginevra si riunì la Convenzione di Rotterdam allo scopo di valutare
l’introduzione dell’amianto fra le cosiddette sostanze
nocive.
La Convenzione di
Rotterdam disciplina infatti le importazioni e le esportazioni di alcuni
prodotti considerati pericolosi.
Il principio
fondamentale su cui si basa è quello del previo assenso
informato.
Ciò significa che
l’esportazione di un prodotto contemplato dalla Convenzione è subordinata al
consenso preliminare dell’importatore.
Lo scopo di tutto
ciò è favorire, sui prodotti a rischio, decisioni consapevoli, adottate dopo
aver preso conoscenza delle proprietà e degli effetti dei prodotti in
particolare sulla salute umana e sull’ambiente.
La proposta non era
dunque la messa al bando, ma una semplice presa d’atto di
pericolosità.
Ma fu bocciata dai
Paesi (Russia, Kazakistan, Kyrgyzstan, Ucraina, Zimbabwe, India e Vietnam) che
ancora lo estraggono e fanno affari a costo della vita delle
persone.
Ma un altro quesito
è ineludibile: in un Paese come l’Italia, in cui l’amianto ha fatto una strage
infinita e che non può certo dirsi inconsapevole di cosa comporti questo tipo di
lavorazione, è moralmente ammissibile che questo materiale, ancorché fosse usato
nel massimo rispetto della legge e con tutte le dovute cautele, venga acquistato
da Paesi come l’India?
Alcuni anni fa in
una brochure diffusa da Gruppo Italiano Mesotelioma e Fondazione Buzzi si
riportavano le proiezioni epidemiologiche pubblicate sul British Journal of
Cancer già nel 1999, corredate da una serie di immagini che riguardavano proprio
la situazione in India.
Immagini
agghiaccianti, con persone che lavorano con le mani immerse nell’amianto, senza
mascherine, guanti, né alcun genere di protezione.
Un lavoro duro,
faticoso, immersi nella polvere.
Alcuni di loro
sorridono al fotografo, del tutto inconsapevoli della condizione in cui sono
stati messi.
Accanto a loro
bambini molto piccoli...
Massimiliano
Francia
* * * *
*
Da
Dazebaonews
ITALIA INDIA,
L’OSCURO COMMERCIO TRA ARMI E AMIANTO
Da diversi anni
ormai, quando si parla di India e Italia, la mente corre subito alla vicenda dai
contorni oscuri dei due Marò.
Qualche mese fa,
poi, è emersa un’altra vicenda, sempre legata ai rapporti tra i due Paesi e
anche questa dai contorni poco chiari: quella del commercio di armi (che diverse
leggi italiane e trattati internazionali vieterebbero, nonostante armi e
armamenti prodotti da aziende controllate da imprese a compartecipazione statale
facciano bella figura di sé sulle navi da guerra Indiane e tra le dotazioni
dell’esercito pakistano). Per avere chiarezza sulla vicenda è stata presentata
anche un’interpellanza a risposta scritta che però, fino ad oggi (sono passati
quasi due mesi), non ha avuto risposta.
Oggi un nuovo
mistero pare avvolgere i rapporti tra i due Paesi. Quello legato
all’importazione dell’amianto. In Italia, la Legge 257 del 27 marzo 1992 vieta
“l’estrazione, l’importazione, l’esportazione la commercializzazione di amianto
di prodotti di o contenenti amianto”. La Legge prevede limitate deroghe per
l’utilizzo e il commercio, che vanno però autorizzate dal Ministero e che
comunque non potevano eccedere i 24 mesi dall’entrata in vigore (e solo per la
produzione e la commercializzazione).
Invece, in base a
quanto è emerso durante l’audizione dell’Osservatorio Nazionale sull’Amianto
(ONA) alla commissione Lavoro del Senato, l’Italia avrebbe importato enormi
quantità di questo materiale (le cui conseguenze nefaste per la salute sono ben
note) dall’India e dalla Cina.
Dagli atti
dell’indagine conoscitiva condotta dal Pubblico Ministero Raffaele Guariniello
della Procura della Repubblica di Torino, emergerebbe che esiste la prova che
“dimostra come agli enti ufficiali dello Stato indiano risulti importazione di
amianto in Italia”.
Gli esperti della
polizia giudiziaria hanno ricostruito il percorso dell’amianto dall’India
all’Italia. Tali flussi sono riportati anche nel bollettino ufficiale pubblicato
dal Governo indiano dal titolo “Indian Minerals Yearbooks 2012 - Asbestos -
Final Release”. Dalle indagini è emerso che si tratterebbe di quantità
assolutamente rilevanti: 1.040 tonnellate nel biennio 2011-2012, ben oltre,
quindi, i termini previsti dalla legge per l’acquisto, l’importazione e
l’utilizzo di questo materiale.
L’amianto sarebbe
stato poi venduto a una decina di imprese e impiegato nella produzione di vari
manufatti: lastre di fibrocemento, pannelli, guarnizioni per freni e frizioni di
autoveicoli.
Ma non basta, la
stessa Agenzia delle Dogane, interpellata dalla Procura, non solo ha confermato
l’ingresso dell’amianto nel territorio nazionale ma ha anche confermato che
questi flussi commerciali sono continuati fino allo scorso anno, il 2014.
Molte le domande
ancora da chiarire sulla vicenda.
Possibile che
nessuno si sia accorto di un simile commercio? E come mai nessuno ha denunciato
un simile traffico illecito (almeno stando a quanto previsto dalla normativa
vigente)?
E poi, che fine
hanno fatto i prodotti realizzati dalle aziende italiane in cui veniva
utilizzato, sebbene vietato, l’amianto? Come ha riportato La Stampa, pare che i
manufatti realizzati da aziende italiane e contenenti amianto siano stati per la
maggior parte esportati in molti Paesi: negli Emirati Arabi, in Arabia Saudita,
ma anche in Nepal, Israele, Angola, Sud Africa, Oman e Canada.
Un mercato
multimiliardario. Un mercato sporco e non solo a causa dell’amianto: sulle carte
che riportano questi commerci, infatti, non compare traccia del fatto che i
prodotti venduti contenevano amianto (anche questo è oggetto delle indagini in
corso).
Martedì 20 Gennaio
2015
Alessandro
Mauceri
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