Francesco Pinna: lavorare e morire all'ombra dei riflettori
Lunedì 19 Dicembre 2011 00:18 Clash City Workers . 12 dicembre, Trieste,
Palasport: la struttura del palco sul quale sta lavorando Francesco Pinna,
ragazzo, studente, operaio di 22 anni, cede e cade. Francesco resta ucciso
sotto tonnellate di layer e altri sette operai feriti.
Sono passati 6 giorni da quando è morto. Morto mentre stava montando il
palco su cui si sarebbe esibito Jovanotti (all'anagrafe Lorenzo Cherubini),
in giro con il tour "Ora". La notizia rimbalza velocemente dalle testate
giornalistiche ai telegiornali nazionali come se fosse un evento, raccontata
come un "caso limite". In realtà tragedie come questa accadono molto spesso
e se la storia di Francesco è venuta alla ribalta è solo perché il palco che
calpestava era quello di Jovanotti che, dopo la sua morte, si dichiara
terribilmente dispiaciuto e annulla la data e il tour.
Francesco Pinna era uno studente-lavoratore. Uno come tanti che, per
guadagnare qualcosa, magari per poter essere indipendente e fittare una
stanza, ha scelto di fare questo tipo di lavoro. Un minuto dopo tutti si
stupivano per i 5 euro all'ora che guadagnava, e si dicevano che non si può
morire così, pensando che la sua sciagura era tanto più grande perché lo
avrebbe fatto anche "gratis", per passione.
Ecco quindi il caso limite raccontatoci dai giornali, una versione che non
rende giustizia alcuna della realtà, quella che i media main stream non
raccontano, quella di moltissime persone che con queste paghe da miseria e
con lavori tanto poco tutelati portano avanti famiglie; in tantissimi casi
queste persone sono lavoratori immigrati, pagati, se possibile, ancora meno,
perché più ricattabili, (per non parlare del fatto che se fosse stato un
immigrato a fare la stessa fine di Francesco probabilmente, come spesso
accade, non ne avremmo neppure sentito parlare al telegiornale) e che
svolgono un lavoro per il quale non hanno la minima preparazione.
"Facchinaggio". Così Assomusica (l'associazione degli organizzatori e dei
produttori di spettacoli di musica) inquadra la figura professionale di
Pinna. "Era addetto a montare le casse a terra", sottolinea Tramontin. "Si
trattava di un lavoro molto semplice, che non richiede particolari
specializzazioni. Ha avuto la sfortuna di trovarsi al posto sbagliato nel
momento sbagliato. L'impianto audio sospeso gli è caduto in testa,
spaccandogli il caschetto".
Dichiarazioni tanto vergognose quanto false, utili solo a liquidare la
questione come "fatalità", come se Francesco avesse avuto solo sfortuna. Ci
sono, invece, delle precise responsabilità. Basta fare un giro nei backstage
dei piccoli e grandi eventi, per vedere tanti giovani e meno giovani che
svolgono compiti per i quali non sono pagati come nel caso di Francesco. È
la "norma" nel "mondo dello spettacolo", infatti, che siano i facchini a
svolgere la maggior parte del lavoro: le produzioni, anche le più
importanti, girano con un team tecnico che non basta per svolgere tutte le
operazioni previste prima e dopo uno spettacolo. Perché? Semplice, perché le
ditte che forniscono facchinaggio, assicurano anche la manovalanza per tutte
le mansioni accessorie: dal montaggio luci, dell'audio, della scenografia,
al montaggio, in taluni casi, anche della struttura stessa dei palchi.
"Il suo era un lavoro a giornata ed era assunto con contratto regolare. Io
personalmente pretendo sempre che tutti quelli coinvolti anche
indirettamente in un lavoro che riguardi la mia musica siano sempre tutelati
in ogni forma e anche in questo caso era così"... Così dichiara nella sua
nota su facebook Jovanotti, ma, ci dispiace per i sui fan, è una cazzata di
dimensioni epocali! Il contratto col quale si lavora in queste situazioni
non è mai regolare! Se per regolare non intendiamo, banalmente e
"formalmente" che sia registrato. I contratti sono per turni di 4 o 8 ore
mentre si lavora anche 14 ore. Le mansioni svolte non sono previste nel
contratto (a volte ci si ritrova addirittura a salire fino a 16 metri -
mansione per la quale la produzione dovrebbe sborsare centinaia d'euro per
tecnici con qualifiche e brevetti specifici).
Inoltre, se Francesco aveva un contratto ad ore (cioè percepiva una paga
oraria), nella maggior parte dei casi, soprattutto nel Sud Italia, quella
che viene percepita è una paga giornaliera che va dai 30 ai 50 euro, per un
numero di ore che può arrivare anche a 16 negli spettacoli per i quali è
previsto il montaggio e lo smontaggio a fine spettacolo nella stessa
giornata. Per capirci meglio, dare un po' di cifre e essere un po'
populisti, ci basta ricordare che, in molti casi, un singolo biglietto
d'ingresso
equivale all'intera paga giornaliera di un facchino: secondo il rapporto
annuale di Assomusica, infatti, i ricavi dell'industria dei concerti,
nonostante la crisi, nel 2010 è stata pari a circa 180 milioni di euro e il
costo medio di un biglietto è di 36 euro.
Questo accade perché le produzioni danno gli incarichi di fornire materiali
e personale all'agenzie di facchinaggio che gli garantiscono il rapporto
qualità/prezzo migliore. Quindi le ditte giocano a ribasso per assicurarsi
le "date" e i tagli, per permettersi prezzi bassi e guadagni consistenti,
sono sui salari. La paga giornaliera che si dichiara (quando c'è un
contratto, attenzione!) alla produzione, è quella minima sindacale, mentre i
facchini guadagnano praticamente, meno della metà. Le ore e i turni di
lavoro non sono rispettati e il numero di persone richieste nemmeno. In
definitiva: queste bestie che permettono a persone come Jovanotti di ballare
e cantare per migliaia di euro sul palco, guadagnano sulla pelle di chi
lavora, in maniera quasi schiavistica!
Insomma, un mondo, quello dello spettacolo, che nasconde più ombre che luci.
Affrontando quindi la questione in questo modo, non si può che dire che
Francesco è morto per le condizioni di lavoro assurde alle quali sono
sottoposti coloro che praticano questo tipo di lavoro, eliminando qualsiasi
riferimento alla tragica fatalità.
Di chi è quindi la responsabilità? Certo ci si potrebbe raccontare la favola
"di questi piccoli imprenditori senza scrupoli", appellandosi a un'etica del
lavoro che a molti piace ancora molto sbandierare. Noi diciamo che è sempre
dei padroni, dal grande al piccolo e ci interessa anche poco ripetere
banalità su quanto si pensi "solo" ai profitti, ci interessa invece
sottolineare che le istituzioni avrebbero tutte le carte in regola per
essere dalla parte di chi lavora: gli enti locali sono i primi interlocutori
dai quali pretendere garanzie per i lavori che facciamo, hanno strumenti e
organi di controllo (polizia municipale, ispettorato del lavoro ecc.)
preposti a vigilare attentamente sulle condizioni di lavoro, in primis per
combattere il lavoro nero e non lo fanno. Noi dobbiamo obbligarli a tutelare
chi lavora!
Lavorare a nero significa morire nell'ombra. Francesco sarà ricordato e
forse sarà un esempio per tutti e perché tutti cominciamo a comprendere che
nessuno fa i nostri interessi e dobbiamo cominciare a pretendere che i
nostri diritti di lavoratori siano rispettati; ma tanti ragazzi, soprattutto
qui al sud, muoiono e si infortunano lontani dalle luci della ribalta, nella
campagne, sui cantieri, sulle torri dalle quali scendono le casse per i
concerti, oppure si usurano per pochi euro nelle cucine dei ristoranti, dei
locali.
Non è un problema "da Jovanotti" o una "tragica casualità" la morte di
Francesco! Per qualche giorno Francesco è stato un eroe, da domani sarà un
ragazzo qualunque morto sul lavoro. e lo spettacolo continua
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