lunedì 1 giugno 2020

pc 1 giugno - "GLI ESPROPRIATORI VENGONO ESPROPRIATI..."


Proletari comunisti/PCm in questo periodo sta portando avanti la Formazione Operaia, sia nelle forma storica del giovedì on line, sia con il recente ciclo di lezioni/dibattito col Prof. Di Marco, che ha avuto una sua prima conclusione il 29 maggio con la assemblea pubblica telematica, sull'analisi marxista del sistema capitalista, per comprendere la causa vera delle pandemie.  
Di questa assemblea pubblica forniremo dal prossimo giovedì le registrazioni.
Una delle leggi fondamentali del Capitale analizzate da Marx, a cui durante questa FO si è fatto molto riferimento, è quella sul processo di accumulazione del capitale. 
Ci sembra utile - per la comprensione anche delle lezioni - riportare l'ultimo paragrafo di Marx del cap. 24° "La cosiddetta accumulazione originaria".     

TENDENZA STORICA DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA.
"A che: cosa si riduce l’accumulazione originaria del capitale, cioè la sua genesi storica? In quanto non è trasformazione immediata di schiavi e di servi della gleba in operai salariati,
cioè semplice cambiamento di forma, l’accumulazione originaria del capitale significa soltanto l’espropriazione dei produttori immediati, cioè la dissoluzione della proprietà privata fondata sul lavoro personale.
La proprietà privata, come antitesi della proprietà sociale, collettiva, esiste soltanto là dove i mezzi di lavoro e le condizioni esterne del lavoro appartengono a privati. Ma, a seconda che questi privati sono i lavoratori o i non lavoratori, anche la proprietà privata assume carattere differente. Le infinite sfumature che la proprietà privata presenta a prima vista sono soltanto un riflesso degli stati intermedi che stanno fra questi due estremi.
La proprietà privata del lavoratore sui suoi mezzi di produzione è il fondamento della piccola azienda; la piccola azienda è condizione necessaria dello sviluppo della produzione sociale e della libera individualità dell’operaio stesso. Certo, questo modo di produzione esiste anche nella schiavitù, nella servitù della gleba e in altri rapporti di dipendenza, ma esso fiorisce, fa scattare tutta la sua energia, conquista la sua forma classica e adeguata soltanto là dove il lavoratore è libero proprietario privato delle proprie condizioni di lavoro ch’egli stesso maneggia: quando il contadino è libero proprietario del campo che coltiva e così l’artigiano dello strumento che maneggia da virtuoso.
Questo modo di produzione presuppone uno sminuzzamento del suolo e degli altri mezzi di produzione; ed esclude, oltre alla concentrazione dei mezzi di produzione, anche la cooperazione, la divisione del lavoro all’interno degli stessi processi di produzione, la dominazione e la disciplina della natura da parte della società, il libero sviluppo delle forze produttive sociali. Esso è compatibile solo con dei limiti ristretti, spontanei e naturali, della produzione e della società. Volerlo perpetuare significherebbe, come dice bene il Pecqueur, «decretare la mediocrità generale». Quando è salito a un certo grado, questo modo di produzione genera i mezzi materiali della propria distruzione. A partire da questo momento, in seno alla società si muovono forze e passioni che si sentono incatenate da quel modo di produzione: esso deve essere distrutto, e viene distrutto. La sua distruzione, che è la trasformazione dei mezzi di produzione individuali e dispersi in mezzi di produzione socialmente concentrati, e quindi la trasformazione della proprietà minuscola di molti nella proprietà colossale di pochi, quindi l’espropriazione della gran massa della popolazione, che viene privata della terra, dei mezzi di sussistenza e degli strumenti di lavoro; questa terribile e difficile espropriazione della massa della popolazione costituisce la preistoria del capitale. Essa comprende tutt’una serie di metodi violenti, dei quali noi abbiamo passato in rassegna solo quelli che fanno epoca come metodi dell’accumulazione originaria del capitale. L’espropriazione dei produttori immediati viene compiuta con il vandalismo più spietato e sotto la spinta delle passioni più infami, più sordide e meschinamente odiose. La proprietà privata acquistata col proprio lavoro, fondata per così dire sulla unione intrinseca della singola e autonoma individualità lavoratrice e delle sue condizioni di lavoro, viene soppiantata dalla proprietà privata capitalistica che è fondata sullo sfruttamento di lavoro che è sì lavoro altrui, ma, formalmente, è libero.
Appena questo processo di trasformazione ha decomposto a sufficienza l’antica società in profondità e in estensione, appena i lavoratori sono trasformati in proletari e le loro condizioni di lavoro in capitale, appena il modo di produzione capitalistico si regge su basi proprie, assumono una nuova forma la ulteriore socializzazione del lavoro e l’ulteriore trasformazione della terra e degli altri mezzi di produzione in mezzi di produzione sfruttati socialmente, cioè in mezzi di produzione collettivi, e quindi assume una forma nuova anche l’ulteriore espropriazione dei proprietari privati. Ora, quello che deve essere espropriato non è più il lavoratore indipendente che lavora per sè, ma il capitalista che sfrutta molti operai.
Questa espropriazione si compie attraverso il gioco delle leggi immanenti della stessa produzione capitalistica, attraverso la centralizzazione dei capitali. Ogni capitalista ne ammazza molti altri. Di pari passo con questa centralizzazione ossia con l’espropriazione di molti capitalisti da parte di pochi, si sviluppano su scala sempre crescente la forma cooperativa del processo di lavoro, la consapevole applicazione tecnica della scienza, lo sfruttamento metodico della terra, la trasformazione dei mezzi di lavoro in mezzi di lavoro utilizzabili solo collettivamente, la economia di tutti i mezzi di produzione mediante il loro uso come mezzi di produzione del lavoro sociale, combinato, mentre tutti i popoli vengono via via intricati nella rete del mercato mondiale e così si sviluppa in misura sempre crescente il carattere internazionale del regime capitalistico. Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più s’ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalisticoIl monopolio del capitale diventa un vincolo del modo di produzione, che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati.
Il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capitalistico, e quindi la proprietà privata capitalistica, sono la prima negazione della proprietà privata individuale, fondata sul lavoro personale.
Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo naturale, la propria negazioneÈ la negazione della negazione. E questa non ristabilisce la proprietà privata, ma invece la proprietà individuale fondata sulla conquista dell’era capitalistica, sulla cooperazione e sul possesso collettivo della terra e dei mezzi di produzione prodotti dal lavoro stesso.
La trasformazione della proprietà privata sminuzzata poggiante sul lavoro personale degli individui in proprietà capitalistica è naturalmente un processo incomparabilmente più lungo, più duro e più difficile della trasformazione della proprietà capitalistica, che già poggia di fatto sulla conduzione sociale della produzione, in proprietà socialeLà si trattava dell’espropriazione della massa della popolazione da parte di pochi usurpatori, qui si tratta dell’espropriazione di pochi usurpatori da parte della massa del popolo".

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