Negli ultimi anni, e in particolare quest'anno il mercato
dell'acciaio ha iniziato ad essere sommerso da una valanga di acciaio a
prezzi sempre più bassi, svelando lo stato di enorme sovrapproduzione in
cui versa il comparto siderurgico su scala mondiale. Il Coranavirus ha
amplificato la crisi di sovrapproduzione, "con una domanda in
regressione e un'offerta in espansione al traino solo dei mercati
emergenti" (Sole 24 ore). E' in atto una guerra commerciale intorno
all’acciaio che sta assumendo aspetti sempre più drammatici - a vendere
sottocosto i prodotti della propria industria siderurgica sono le
nazioni che si ritrovano oggi con il maggior eccesso di
capacità produttiva, Cina in testa.
"Al 18 maggio - scrive il Sole 24 ore - la capacità produttiva in
Europa è stata ridotta del 12%... La stessa ArcelorMittal ha ridotto la
capacità produttiva di 245 milioni di tonnellate e prevede una
riduzione del 30% delle spedizioni nel secondo trimestre".
Gli
effetti di questa crisi di sovrapproduzione e della guerra commerciale
vengono scaricati sugli operai, prima di tutto con un massiccio taglio
di posti di lavoro, che sono in proporzione più del doppio del
taglio della produzione, ma anche riduzione rilevante dei salari (sempre
più coperti con lunghi periodi di cassintegrazione che copre solo il
60% del salario perso), taglio ai costi della sicurezza, e chiaramente
ai diritti dei lavoratori e sindacali.
In questo modo i
capitalisti cercano di salvaguardare la produzione e i profitti con meno
operai e più
produttività, cioè aumentando il grado di sfruttamento di
quei lavoratori che restano in produzione, accorciando il tempo che deve
essere impiegato per fabbricare una data quantità di prodotto.
In
questo e solo per questo ci sta anche l'adozione di nuove tecnologie,
che permettano una produzione di acciaio in un tempo inferiore a quello
prima impiegato - poco gliene importa invece al capitalista di
salvaguardare l'ambiente se non è costretto dai rapporti di forza.
L’impresa che ha innovato potrà allora offrire sul mercato il proprio
prodotto a un prezzo inferiore a quello dei suoi concorrenti, ma
comunque sempre superiore a quanto veramente vale (cioè al suo prezzo di
costo). .
Nello stesso tempo, come sta facendo
ArcelorMittal, i capitalisti pretendono (e ottengono) aiuti di Stato,
sia attraverso forti riduzioni di oneri e costi a loro carico (in
particolare per la sicurezza, la salute, l'ambiente, ma anche sugli
oneri fiscali, ecc.), sia attraverso soldi freschi e concreti che il
governo immette - anche qui la vicenda ArcelorMittal è esemplare: non
solo a Mittal è stato quasi dimezzato il costo di acquisto dell'Ilva, ma
lo Stato interverrà in maniera "diretta e indiretta", come ha detto il Min. Gualtieri,
per sostenere una multinazionale che fino a poco tempo fa era il primo
produttore di acciaio nel mondo e i profitti gli uscivano da tutti i
pori.
Ma la sovrapproduzione non è un accidenti del mercato inevitabile, essa è frutto della legge del modo di produzione capitalista.
Ciascun singolo capitalista non tiene affatto in conto né la domanda
reale né i bisogni; il capitalismo è autentica produzione per aumentare
il capitale, per realizzare dalla vendita dei prodotti il profitto.
C'è
sovrapproduzione solo rispetto ai rapporti di produzione capitalistici,
ma c'è poca produzione rispetto ai bisogni delle popolazioni. Di
acciaio ce ne sarebbe eccome bisogno per realizzare infrastrutture,
macchinari, abitazioni, ecc. per migliorare le condizioni delle masse,
ma finchè c'è il sistema del capitale, e gli Stati e i governi, le
istituzioni finanziarie al suo servizio, non sono queste necessità delle
masse lo scopo della produzione, ma, appunto, la realizzazione del
profitto (se non si può realizzare, il capitale arriva a distruggere la
produzione, a chiudere le fabbriche, anche se in tanti paesi le masse
non possono avere neanche un elettrodomestico).
Tutt'altra cosa
sarebbe in una società in cui non vige più la legge del modo di
produzione capitalista, una società socialista che ha come scopo solo il
benessere delle masse.
Sarebbe logico, pur in un
sistema di produzione capitalista, che a fronte della volontà di una
grande multinazionale come ArcelorMittal di salvaguardare i suoi
profitti tagliando i posti di lavoro degli operai e aumentando lo
sfruttamento di chi resta occupato, governo e sindacati ponessero invece
la questione della riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga. Se
con l'aumento della produttività (intensificazione del lavoro) ci vuole
meno tempo per fabbricare una data quantità di prodotto, che si riduca
l'orario complessivo di lavoro per ridurre il tempo di sfruttamento e
difendere il salario, non che deve andare a vantaggio solo del padrone.
Ma questo non viene chiesto neanche in questi giorni di ripresa
delle minacce di ArcelorMittal, in cui si continua, soprattutto da parte
del governo, a concedere tempi e ad accettare condizioni ricattatorie.
In
questo senso sono pure inutili richieste illusorie a questo governo, a
questo Stato al servizio del capitale, quelle fatte anche in questi
giorni, per es, dall'Usb, secondo cui lo Stato deve chiudere con Mittal,
mettere in sicurezza la fabbrica e garantire la continuità lavorativa
con una riconversione e accordo di programma.
Primo. Lo Stato, al
massimo, come è già successo, si prende aziende in crisi, le rimette su e
dopo un po' le restituisce sottocosto ai capitalisti privati,
internazionali o nazionali che siano.
Secondo. Lo Stato avrebbe
comunque il problema della “crisi di mercato”. Non è che solo perchè
interviene lo Stato il mercato improvvisamente compra l'acciaio e non
c'è più il problema della crisi di sovrapproduzione che loro stessi
hanno provocato, della guerra commerciale. E lo Stato borghese si
comporterebbe come un qualsiasi padrone, deve realizzare profitti. E
anche la cosiddetta "riconversione" deve garantire profitti - il
problema non è mai cosa si produce ma come si produce, e in una società
capitalista anche lo Stato si comporta come un impreditore, produce per
il profitto e fino a quando c'è profitto.
Terzo. Genova mostra
cosa significa per i lavoratori messi fuori dalla fabbrica l'accordo di
programma: ammortizzatori sociali e messa a disposizione quasi gratis
dei Comuni della forza-lavoro operaia.
Non se ne esce
se non si pongono in maniera netta e con la lotta prolungata, obiettivi
chiari e seri.
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