Nadia Lioce è stata assolta. La sua tenace resistenza alle condizioni di detenzione disumane a cui è sottoposta col regime di isolamento, alla fine ha pagato!
Ma ha pagato anche la mobilitazione continua e costante del movimento militante della solidarietà di classe, che ha appoggiato Nadia nella sua battaglia di dignità. Questo movimento mai ha smesso di denunciare in questi anni, nonostante le minacce repressive degli apparati polizieschi agli ordini dei governi borghesi, l’obbrobrioso articolo 41 bis a cui sono sottoposti, come Nadia, centinaia di detenuti e detenute (politici e comuni) nelle carceri speciali nel nostro Paese.
La prigioniera Nadia in carcere dal 2003 è da 13 anni segregata nel carcere speciale in
località Costarelle a L’Aquila, nella sezione femminile a regime di 41 Bis.
Condannata a tre ergastoli assieme ad altri militanti delle denominate nuove Brigate Rosse per la morte dei giuslavoristi D’Antona, Biagi (i consulenti dei governi padronali che esigevano la flessibilità e la precarietà del lavoro) e il poliziotto Petri, nel marzo 2015 Nadia iniziò dalla sua cella una protesta contro le condizioni di detenzione disumane e vessatorie in cui è costretta. Nel modo più classico delle proteste dei detenuti, Nadia incominciò la sua protesta con la “battitura”: due volte al giorno con una bottiglia di plastica e della durata di mezz’ora l’una, Nadia batteva sul blindo della sua cella.
La protesta della prigioniera avveniva a seguito dell’ennesimo sopruso da parte della direzione carceraria che decideva della sottrazione ingiustificata, durante le perquisizioni quotidiane in cella, di materiale cartaceo, corrispondenza e atti giudiziari. Nadia Lioce concluse la sua protesta nel settembre del 2015 quando il materiale le fu parzialmente riconsegnato. Per questa azione di autentica ribellione la compagna fu denunciata dai suoi carcerieri per disturbo della quiete della sezione e per oltraggio nei confronti delle secondine.
Ieri l’altro alla quinta udienza del processo che si è svolta nel Tribunale de L’Aquila, il giudice Cervellini, anche per richiesta dello stesso Pubblico ministero Di Gennaro, ha assolto Lioce “perché il fatto non sussiste”.
Ci sono voluti quindi 3 anni e tanti soldi a carico dei contribuenti perché si giungesse alla conclusione che l’azione della prigioniera “indisciplinata” era più che legittima. Questo dovrebbe come minimo fare riflettere, ma anche fare arrossire il giudice che decise tale rinvio a giudizio.
Il fatto che Nadia sia stata mandata a processo per le ragioni che sono state alla base della sua protesta e che ovviamente non erano solo la sottrazione impropria di quel materiale di cui sopra, bensì soprattutto la condizione ben più grave di tortura che contiene il regime di 41 bis, deve fare pensare e agire tutti. In particolare devono pensare e agire coloro che colgono in modo critico i diversi aspetti della condizione carceraria nel nostro paese, aspetti che possiamo definire umani, politici e di cultura giuridica che sono propri di una società divisa in classi e per questo in perenne conflitto tra loro, tra classi sfruttatrici e classi sfruttate.
È in questo quadro di oppressori e oppressi che in generale le condizioni di detenzioni nel nostro paese fanno centinaia di morti all’anno tra i carcerati per suicidi, per mancanza di assistenza sanitaria, per pestaggi da parte di squadracce di secondini come ci ricorda il processo sulla “cella zero” che si sta celebrando con molta fatica al Tribunale di Napoli https://www.youtube.com/watch?.
Questo è l’ordinario da sempre nel sistema detentivo del nostro Paese. Ma il 41 bis è il top di questo sistema. È veramente esplicativo il racconto di questa misura carceraria che ci fa la stessa prigioniera Nadia con il suo documento messo agli atti nell’udienza del novembre dello scorso anno.
È stato importante il gesto della compagna Nadia. Quel suo battere una bottiglina di plastica sulla porta della sua cella oltre ad avere disturbato la quiete delle sue carceriere acefale e dall’animo algido, che denunciando la Lioce non hanno fatto altro che amplificare il rumore di quella bottiglia, ha avuto il grande effetto di richiamare l’attenzione di settori intellettuali e tecnici delle scienze giuridiche di orientamento autenticamente democratico e garantista dei diritti. Non solo quindi si sono mossi quei militanti solidali di classe che da sempre lottano per la difesa dei detenuti, ma anche magistrati, avvocati attivisti di associazioni dei diritti umani in qualche modo hanno ripreso a ragionare sulla incostituzionalità di regimi di detenzione come il 41 bis.
Ne è un esempio importante e utile per il risveglio delle coscienze il convegno che si è tenuto il 10 maggio 2018 “Art. 41 bis ordinamento penitenziario. Insicurezza sociale e immanente stato di emergenza”, organizzato dalla Camera Penale di Roma in cui è stata parte attiva Caterina Calia avvocata di Nadia Lioce da sempre attiva nella lotta per i diritti dei detenuti, e che le compagne del “Movimento femminista proletario rivoluzionario” hanno ritenuto giustamente di trascrivere per renderlo maggiormente fruibile, dargli il massimo dell’importanza e dell’efficacia.
Occorre fare il massimo di “rumore” possibile, così come ha fatto relativamente alle sue condizioni la compagna Lioce, per fare sì che la battaglia contro la tortura dell’isolamento carcerario e dunque per l’abrogazione/cancellazione dell’articolo 41 dell’ordinamento penitenziario finisca per essere vittoriosa. Questo vuol dire che al silenzio/censura generale dei grandi media (stampa, radio e tv), dei pennivendoli amalgamati e organici al sistema borghese, va opposto il massimo delle mobilitazioni popolare e della comunicazione diretta.
Ma la censura è uno dei modi perché non si parli del 41 bis, o per lo meno che non se ne parli in chiave critica mettendo in evidenza le stesse contraddizioni che sul tema della tortura emergono anche tra le istituzioni democratiche borghesi internazionali (i richiami dell’ONU e quelli della Corte europea dei diritti umani sono noti). Dopo tante insistenze internazionali in Italia non è stata fatta alcuna legge seria contro il reato di tortura praticato in particolare dalle forze di polizia che abusano impunemente dei loro poteri. Quella legge licenziata dal parlamento italiano sotto il governo Gentiloni alla fine veniva snaturata nella sua essenza al fine di proteggere sempre le forze dell’ordine. Proprio il ministro della giustizia di questo governo, Andrea Orlando, rinnovava poi a settembre del 2017 a Lioce altri due anni di isolamento. Mentre l’attuale ministro giallo verde Buonafede, a sua volta in perfetta continuità inaugura il suo mandato dicendo che c’è bisogno ancora di 41 bis. Naturalmente sempre per combattere le mafie.
Come i fatti ci dimostrano, la repressione dello stato è l’altro modo per tappare le bocche e rendere invisibile alle masse popolari chi lotta anche per i diritti dei detenuti. Gli apparati repressivi fanno bene attenzione a che queste lotte e denunce non si uniscano alla protesta generale di resistenza popolare che serpeggia nel paese contro le politiche dei sacrifici che i governi dei finanzieri, banchieri e industriali, coalizzati nella Unione europea e NATO, mettono in campo.
La lotta contro il 41 bis e in solidarietà con la resistenza della Lioce ha visto, come era scontato per le cose dette anzi, oltre 30 condanne pecuniarie contro i militanti che in questi messi hanno manifestato a L’Aquila durante le udienze del processo. Condanne perché questi solidali avevano violato il divieto emanato dal Questore de L’Aquila per motivi di ordine pubblico. Ma è stato altrettanto chiaro che nessuna denuncia e condanna, tra l’altro subito impugnata, avrebbe fermato la solidarietà di classe e la lotta per i diritti. Questo episodio è al tempo stesso emblematico poiché fa vedere da un lato come l’ordine pubblico viene applicato al campo della classe degli sfruttati che lottano, nonostante tutto, in uno schema di norme costituzionali. Mentre al tempo stesso si lasciano da parte di Questori, Prefetti e Procure del Bel Paese che bande di fascisti si organizzino nettamente in contrasto con la Costituzione che li ha messi al bando nelle loro rappresentazioni simboliche e scorrerie razziste.
Non ci può essere dunque lotta che vinca senza una resistenza decisa alla repressione dello stato borghese a cui va buttata giù senza pietà la maschera ipocrita della democrazia, dello stato di diritto fasullo e delle false libertà che vengono propagandate a destra e a manca dai lacchè del potere.
La lotta contro il 41 bis e per i diritti dei detenuti va continuata sempre più forte, senza risparmio di energie e senza ripensamenti e indugi. Essa va portata avanti con un largo fronte di forze nei quartieri popolari in fermento per i diritti al lavoro, alla casa, ai servizi; come nei luoghi del lavoro attraversate dalle lotte per la difesa e il miglioramento dei salari e per la sicurezza. Non solo quindi occorre agire fuori ai tribunale e fuori le mura delle carceri per fare sentire la solidarietà a chi vi è rinchiuso dentro, ma la lotta va portata nelle assemblee popolari, nei cortei, nei circuiti culturali e artistici e in fine soprattutto fuori le sedi di chi ha le dirette responsabilità politiche e morali dello scempio delle condizioni carcerarie.
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