Filippine: inflazione ed economia pongono un’ipoteca sul consenso al presidente Duterte
Manila, 26 set 13:08 - (Agenzia Nova) - Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, che nei giorni scorsi è arrivato a ventilare il rischio di un golpe militare ai suoi danni, affronta effettivamente una minaccia concreta, che però è di natura più prosaica: Manila è alle prese con un’inflazione galoppante, e più in generale con segnali d’allarme sul fronte dell’attività economica. Nel corso degli ultimi due anni, Duterte ha superato una serie di crisi e di scontri diplomatici e istituzionali di grande profilo: dalla sanguinosa guerra al narcotraffico al conflitto con le milizie islamiche e con i ribelli maoisti; dagli insulti all’ex presidente Usa, Barack Obama, allo scontro istituzionale con l’ex presidente della Corte suprema, Maria Lourdes Sereno; dalla contestata politica di riorientamento strategico verso la Cina, sino al recente braccio di ferro con le opposizioni parlamentari e frange delle Forze armate, dopo la revoca della grazia al deputato ed ex militare Antonio Trillanes IV. Duterte ha navigato tra questi scogli “forte” di una retorica spesso incendiaria, di uno scarso riguardo per le formalità e le
consuetudini procedurali della politica e di un solido consenso tra gli elettori filippini. Proprio dal fronte dei consensi, però, giungono segnali preoccupanti per il presidente, a meno di un anno dalle elezioni politiche di medio termine.
Un sondaggio pubblicato sabato scorso dall’ente demoscopico indipendente Social Weather Stations
(Sws) attribuisce al presidente Duterte un indicatore di fiducia di +57: un dato di per sé positivo, che però segna un calo di ben sei punti in un trimestre e che rappresenta la peggior rilevazione dall’inizio della presidenza Duterte. Sws cacola l’indicatore sottraendo la percentuale di quanti professano “scarsa fiducia” nel presidente a quella di quanti invece nutrono “forte fiducia” nel capo dello Stato. Il sondaggio potrebbe risentire degli attacchi verbali che Duterte ha riservato lo scorso giugno alla religione cattolica (aveva definito Dio “stupido”, dopo le dure critiche di membri del clero filippino alle modalità della campagna contro il narcotraffico). Il calo dei consensi, però, pare determinato soprattutto dall’inflazione galoppante registrata nel paese, che ha subito un’ulteriore accelerazione dopo il passaggio del tifone Mangkhut su una delle principali regioni agricole del paese.
La Banca centrale filippina sta già tentando di contenere l’inflazione. Il brusco aumento dei prezzi dei generi alimentari causato dal tifone, però, è immediatamente percepito dai cittadini e ha dunque conseguenze quasi immediate sugli orientamenti dell’opinione pubblica. Nei giorni scorsi Duterte ha dato ordine alle agenzie governative di aumentare le importazioni di generi alimentari e alla Polizia di rafforzare il contrasto alla manipolazione dei prezzi, per far fronte a quella che ha ormai assunto il carattere di un’emergenza economica e politica. Il governo ha stimato i danni alle colture causati dal recente passaggio del tifone Mangkhut in 27 miliardi di peso, ma il danno reale rischia di giungere dall’improvviso calo dell’offerta. Un ordine esecutivo firmato dal presidente il 21 settembre, ma divenuto di pubblico dominio solamente lunedì, dà mandato al dipartimento del Commercio, alla National Food Authority e alla Sugar Regulatory Administration di allentare le restrizioni alle importazioni di generi alimentari e di revocare parte delle barriere non tariffarie, per garantire che le merci arrivino rapidamente ai consumatori. Funzionari del governo sperano che la misura elimini gli intermediari colpevoli di speculare sui prezzi.
Nel mese di agosto il tasso di inflazione nelle Filippine è aumentato del 6,4 per cento, un dato superiore alle previsioni e un’accelerazione rispetto al tasso già sostenuto registrato a luglio: più 5,7 per cento. L’inflazione, ai massimi da cinque anni, è un effetto collaterale delle politiche di stimolo economico adottate dal governo in carica, comunemente note come “Dutertenomics”. Agosto ha segnato il sesto mese consecutivo di inflazione oltre il limite di riferimento del quattro per cento individuato dalla Banca centrale filippina: un andamento che il governo imputa soprattutto a fattori globali, come l’aumento dei prezzi del petrolio, ma che diversi economisti attribuiscono almeno in parte alla Tax Reform for Acceleration and Inclusion (Train), la riforma fiscale varata lo scorso gennaio che ha comportato un aumento generalizzato dell’imposizione fiscale; proprio dal mese di gennaio il tasso di inflazione ha segnato un incremento progressivo, dal 3,4 per cento sino al 4,3 per cento di marzo e al 5,2 per cento del mese di giugno.
La riforma del fisco varata da Duterte è stata concepita per garantire il finanziamento dell’ambizioso progetto di ammodernamento infrastrutturale del paese, dal costo stimato in ottomila miliardi di pesos (circa 150 miliardi di dollari) nell’arco di sei anni. Le maggiori entrate dovrebbero finanziare anche una serie di programmi di welfare tesi a ridurre il tasso di povertà dal 21 al 15 per cento entro la fine dell’attuale mandato presidenziale, nel 2022. Al momento, però, al sensibile aumento della tassazione non è corrisposta una materializzazione degli obiettivi di sviluppo infrastrutturale. Manila, comunque, può contare anche su una delle crescite economiche più sostenute della regione: il Pil è cresciuto del 6,9 per cento nel 2016 e del 6,7 per cento lo scorso anno.
La dottrina economica del presidente filippino, però desta crescente perplessità tra diversi analisti, che accusano Duterte di aver adottato un approccio nostalgico, dalle conseguenze potenzialmente nefaste sulla stabilità economica e sulle prospettive di crescita a medio termine. Dall’inizio dell’anno, il peso filippino ha perso l’8,4 per cento sul dollaro. Si tratta di una parabola che accomuna la valuta filippina a quelle di diverse altre economie emergenti, come le rupie di India e Indonesia. A cambiare, invece, è il punto di partenza. L’ex presidente Benigno Aquino, predecessore di Duterte, aveva lasciato in eredità a quest’ultimo, nel 2016, un’economia in ripresa, e il mandato di proseguire il rinascimento socio-politico del paese. Secondo il quotidiano “Nikkei”, però, la grandiosa visione di sviluppo infrastrutturale di Duterte ha trascurato il processo di rafforzamento del capitale umano e della produttività, oltre a ignorare quesiti relativi alla sostenibilità finanziaria.
Come a Davao, città che ha amministrato prima di divenire presidente, Duterte ha accelerato i progetti infrastrutturali tramite un drastico intervento di sburocratizzazione e di scavalcamento dei processi di supervisione e controllo, col rischio però di aumentare la corruzione e il debito pubblico. Il calo del peso contribuisce ad alimentare l’inflazione, e la fiducia dei consumatori è in calo per la prima volta da oltre due anni: un dato preoccupante, per un paese in cui i consumi privati contribuiscono al 70 per cento del prodotto interno lordo. La Banca centrale ha aumentato i tassi di interesse di 100 punti base da maggio, e ulteriori aumenti appaiono probabili. Nel frattempo, i media riferiscono di lunghe file per l’acquisto di riso sussidiato dal governo, di famiglie che saltano pasti e di crescente nervosismo nei confronti del governo. Per far fronte a queste storture, l’esecutivo pare intenzionato a ricorrere anche a mezzi contabili.
Lo scorso luglio Duterte ha dato il via libera alla bozza della legge di bilancio per l’anno fiscale 2019, approntata dal dipartimento del Bilancio e della gestione. Il segretario del bilancio, Benjamin E. Diokno, ha spiegato che il bilancio passa da un sistema contabile basato sulle obbligazioni pluriennali a uno basato sulla contabilità annuale. Sotto il nuovo sistema, “le agenzia non sottoporranno più al Dbm proposte che non siano pronte all’attuazione”. Diokno ha dichiarato questo mese che “la spesa pubblica rimarrà un motore di crescita per l’economia filippina, specie tramite gli investimenti in infrastrutture pubbliche e nello sviluppo del capitale umano. Siano ottimisti che riusciremo a sradicare il sottoutilizzo dei fondi nell’anno fiscale 2019, con la transizione a un modello di contabilità basato sui flussi di liquidità annui”. Il ministro ha aggiunto che il bilancio per il prossimo anno fiscale ammonterà al 19,4 per cento del prodotto interno lordo nazionale.
Gli investitori internazionali sono particolarmente preoccupati per la seconda parte della Riforma fiscale per l’accelerazione e l’inclusione: il programma, noto come “Train”, è stato lanciato dal governo di Duterte per finanziare gli ambiziosi piani infrastrutturali da 160 miliardi di dollari di Manila. La prima parte del piano, varato lo scorso dicembre, riduce la tassa sui redditi delle persone fisiche, ma aumenta le accise su prodotti come carbone e carburanti. Il governo punta ora a varare la seconda parte del programma, che ridurrebbe gradualmente la tassazione sulle imprese dal 30 al 25 per cento, ma taglierebbe anche drasticamente gli incentivi attualmente concessi alle grandi imprese tramite la Philippine Economic Zone Authority (Peza). Nei mesi scorsi si è espressa contro la riforma il direttore generale del Peza, Charito Plaza, che ha invitato Duterte a “non uccidere la gallina dalle uova d’oro, vale a dire le nostre imprese e gli investitori”.
Questa concatenazione di dinamiche economiche rischia di frenare la crescita delle Filippine in un frangente pericoloso, segnato dal conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina e da un clima di crescente incertezza globale. Gli investitori hanno già additato le Filippine come un “anello debole” della catena delle forniture asiatica. Per il momento, comunque, le prospettive di crescita restano positive: secondo una recente previsione formulata da First Metro Investment Corp (Fmic) e dalla University of Asiaand the Pacific (Ua&P), l’economia delle filippine crescerà quest’anno tra il 7 e il 7,5 per cento, nella fascia più bassa dell’obiettivo fissato dal governo. La spesa in infrastrutture e la domanda domestica si confermeranno i principali motori della crescita economica. Il governo filippino ha fissato per quest’anno un obiettivo di crescita economica compreso tra il 7 e l’8 per cento del prodotto interno lordo. Il presidente di Fmic, Robonni Francis Arjonillo, ha sottolineato che la domanda interna delle Filippine resta forte, con un tasso di crescita dell’8,3 per cento, mentre gli investimenti hanno esibito una crescita a due cifre in 15 degli ultimi 24 trimestri.
Manila, 26 set 13:08 - (Agenzia Nova) - Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, che nei giorni scorsi è arrivato a ventilare il rischio di un golpe militare ai suoi danni, affronta effettivamente una minaccia concreta, che però è di natura più prosaica: Manila è alle prese con un’inflazione galoppante, e più in generale con segnali d’allarme sul fronte dell’attività economica. Nel corso degli ultimi due anni, Duterte ha superato una serie di crisi e di scontri diplomatici e istituzionali di grande profilo: dalla sanguinosa guerra al narcotraffico al conflitto con le milizie islamiche e con i ribelli maoisti; dagli insulti all’ex presidente Usa, Barack Obama, allo scontro istituzionale con l’ex presidente della Corte suprema, Maria Lourdes Sereno; dalla contestata politica di riorientamento strategico verso la Cina, sino al recente braccio di ferro con le opposizioni parlamentari e frange delle Forze armate, dopo la revoca della grazia al deputato ed ex militare Antonio Trillanes IV. Duterte ha navigato tra questi scogli “forte” di una retorica spesso incendiaria, di uno scarso riguardo per le formalità e le
consuetudini procedurali della politica e di un solido consenso tra gli elettori filippini. Proprio dal fronte dei consensi, però, giungono segnali preoccupanti per il presidente, a meno di un anno dalle elezioni politiche di medio termine.
Un sondaggio pubblicato sabato scorso dall’ente demoscopico indipendente Social Weather Stations
(Sws) attribuisce al presidente Duterte un indicatore di fiducia di +57: un dato di per sé positivo, che però segna un calo di ben sei punti in un trimestre e che rappresenta la peggior rilevazione dall’inizio della presidenza Duterte. Sws cacola l’indicatore sottraendo la percentuale di quanti professano “scarsa fiducia” nel presidente a quella di quanti invece nutrono “forte fiducia” nel capo dello Stato. Il sondaggio potrebbe risentire degli attacchi verbali che Duterte ha riservato lo scorso giugno alla religione cattolica (aveva definito Dio “stupido”, dopo le dure critiche di membri del clero filippino alle modalità della campagna contro il narcotraffico). Il calo dei consensi, però, pare determinato soprattutto dall’inflazione galoppante registrata nel paese, che ha subito un’ulteriore accelerazione dopo il passaggio del tifone Mangkhut su una delle principali regioni agricole del paese.
La Banca centrale filippina sta già tentando di contenere l’inflazione. Il brusco aumento dei prezzi dei generi alimentari causato dal tifone, però, è immediatamente percepito dai cittadini e ha dunque conseguenze quasi immediate sugli orientamenti dell’opinione pubblica. Nei giorni scorsi Duterte ha dato ordine alle agenzie governative di aumentare le importazioni di generi alimentari e alla Polizia di rafforzare il contrasto alla manipolazione dei prezzi, per far fronte a quella che ha ormai assunto il carattere di un’emergenza economica e politica. Il governo ha stimato i danni alle colture causati dal recente passaggio del tifone Mangkhut in 27 miliardi di peso, ma il danno reale rischia di giungere dall’improvviso calo dell’offerta. Un ordine esecutivo firmato dal presidente il 21 settembre, ma divenuto di pubblico dominio solamente lunedì, dà mandato al dipartimento del Commercio, alla National Food Authority e alla Sugar Regulatory Administration di allentare le restrizioni alle importazioni di generi alimentari e di revocare parte delle barriere non tariffarie, per garantire che le merci arrivino rapidamente ai consumatori. Funzionari del governo sperano che la misura elimini gli intermediari colpevoli di speculare sui prezzi.
Nel mese di agosto il tasso di inflazione nelle Filippine è aumentato del 6,4 per cento, un dato superiore alle previsioni e un’accelerazione rispetto al tasso già sostenuto registrato a luglio: più 5,7 per cento. L’inflazione, ai massimi da cinque anni, è un effetto collaterale delle politiche di stimolo economico adottate dal governo in carica, comunemente note come “Dutertenomics”. Agosto ha segnato il sesto mese consecutivo di inflazione oltre il limite di riferimento del quattro per cento individuato dalla Banca centrale filippina: un andamento che il governo imputa soprattutto a fattori globali, come l’aumento dei prezzi del petrolio, ma che diversi economisti attribuiscono almeno in parte alla Tax Reform for Acceleration and Inclusion (Train), la riforma fiscale varata lo scorso gennaio che ha comportato un aumento generalizzato dell’imposizione fiscale; proprio dal mese di gennaio il tasso di inflazione ha segnato un incremento progressivo, dal 3,4 per cento sino al 4,3 per cento di marzo e al 5,2 per cento del mese di giugno.
La riforma del fisco varata da Duterte è stata concepita per garantire il finanziamento dell’ambizioso progetto di ammodernamento infrastrutturale del paese, dal costo stimato in ottomila miliardi di pesos (circa 150 miliardi di dollari) nell’arco di sei anni. Le maggiori entrate dovrebbero finanziare anche una serie di programmi di welfare tesi a ridurre il tasso di povertà dal 21 al 15 per cento entro la fine dell’attuale mandato presidenziale, nel 2022. Al momento, però, al sensibile aumento della tassazione non è corrisposta una materializzazione degli obiettivi di sviluppo infrastrutturale. Manila, comunque, può contare anche su una delle crescite economiche più sostenute della regione: il Pil è cresciuto del 6,9 per cento nel 2016 e del 6,7 per cento lo scorso anno.
La dottrina economica del presidente filippino, però desta crescente perplessità tra diversi analisti, che accusano Duterte di aver adottato un approccio nostalgico, dalle conseguenze potenzialmente nefaste sulla stabilità economica e sulle prospettive di crescita a medio termine. Dall’inizio dell’anno, il peso filippino ha perso l’8,4 per cento sul dollaro. Si tratta di una parabola che accomuna la valuta filippina a quelle di diverse altre economie emergenti, come le rupie di India e Indonesia. A cambiare, invece, è il punto di partenza. L’ex presidente Benigno Aquino, predecessore di Duterte, aveva lasciato in eredità a quest’ultimo, nel 2016, un’economia in ripresa, e il mandato di proseguire il rinascimento socio-politico del paese. Secondo il quotidiano “Nikkei”, però, la grandiosa visione di sviluppo infrastrutturale di Duterte ha trascurato il processo di rafforzamento del capitale umano e della produttività, oltre a ignorare quesiti relativi alla sostenibilità finanziaria.
Come a Davao, città che ha amministrato prima di divenire presidente, Duterte ha accelerato i progetti infrastrutturali tramite un drastico intervento di sburocratizzazione e di scavalcamento dei processi di supervisione e controllo, col rischio però di aumentare la corruzione e il debito pubblico. Il calo del peso contribuisce ad alimentare l’inflazione, e la fiducia dei consumatori è in calo per la prima volta da oltre due anni: un dato preoccupante, per un paese in cui i consumi privati contribuiscono al 70 per cento del prodotto interno lordo. La Banca centrale ha aumentato i tassi di interesse di 100 punti base da maggio, e ulteriori aumenti appaiono probabili. Nel frattempo, i media riferiscono di lunghe file per l’acquisto di riso sussidiato dal governo, di famiglie che saltano pasti e di crescente nervosismo nei confronti del governo. Per far fronte a queste storture, l’esecutivo pare intenzionato a ricorrere anche a mezzi contabili.
Lo scorso luglio Duterte ha dato il via libera alla bozza della legge di bilancio per l’anno fiscale 2019, approntata dal dipartimento del Bilancio e della gestione. Il segretario del bilancio, Benjamin E. Diokno, ha spiegato che il bilancio passa da un sistema contabile basato sulle obbligazioni pluriennali a uno basato sulla contabilità annuale. Sotto il nuovo sistema, “le agenzia non sottoporranno più al Dbm proposte che non siano pronte all’attuazione”. Diokno ha dichiarato questo mese che “la spesa pubblica rimarrà un motore di crescita per l’economia filippina, specie tramite gli investimenti in infrastrutture pubbliche e nello sviluppo del capitale umano. Siano ottimisti che riusciremo a sradicare il sottoutilizzo dei fondi nell’anno fiscale 2019, con la transizione a un modello di contabilità basato sui flussi di liquidità annui”. Il ministro ha aggiunto che il bilancio per il prossimo anno fiscale ammonterà al 19,4 per cento del prodotto interno lordo nazionale.
Gli investitori internazionali sono particolarmente preoccupati per la seconda parte della Riforma fiscale per l’accelerazione e l’inclusione: il programma, noto come “Train”, è stato lanciato dal governo di Duterte per finanziare gli ambiziosi piani infrastrutturali da 160 miliardi di dollari di Manila. La prima parte del piano, varato lo scorso dicembre, riduce la tassa sui redditi delle persone fisiche, ma aumenta le accise su prodotti come carbone e carburanti. Il governo punta ora a varare la seconda parte del programma, che ridurrebbe gradualmente la tassazione sulle imprese dal 30 al 25 per cento, ma taglierebbe anche drasticamente gli incentivi attualmente concessi alle grandi imprese tramite la Philippine Economic Zone Authority (Peza). Nei mesi scorsi si è espressa contro la riforma il direttore generale del Peza, Charito Plaza, che ha invitato Duterte a “non uccidere la gallina dalle uova d’oro, vale a dire le nostre imprese e gli investitori”.
Questa concatenazione di dinamiche economiche rischia di frenare la crescita delle Filippine in un frangente pericoloso, segnato dal conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina e da un clima di crescente incertezza globale. Gli investitori hanno già additato le Filippine come un “anello debole” della catena delle forniture asiatica. Per il momento, comunque, le prospettive di crescita restano positive: secondo una recente previsione formulata da First Metro Investment Corp (Fmic) e dalla University of Asiaand the Pacific (Ua&P), l’economia delle filippine crescerà quest’anno tra il 7 e il 7,5 per cento, nella fascia più bassa dell’obiettivo fissato dal governo. La spesa in infrastrutture e la domanda domestica si confermeranno i principali motori della crescita economica. Il governo filippino ha fissato per quest’anno un obiettivo di crescita economica compreso tra il 7 e l’8 per cento del prodotto interno lordo. Il presidente di Fmic, Robonni Francis Arjonillo, ha sottolineato che la domanda interna delle Filippine resta forte, con un tasso di crescita dell’8,3 per cento, mentre gli investimenti hanno esibito una crescita a due cifre in 15 degli ultimi 24 trimestri.
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