Romana Blasotti Pavesi: “Stremata dalla sentenza di assoluzione, continuate voi”
Romana Blasotti Pavesi davanti alla Corte di
Cassazione, Roma, 19 novembre 2014: 85 anni portati benissimo, nonostante i
cinque lutti che l’amianto ha causato alla sua famiglia, la signora che guida
l’Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto stamani è arrivata in Cassazione
accompagnata dal figlio Ottavio Pavesi
silvana mossano
casale monferrato
La Romana lascia. Giovedì, in assemblea pubblica, annuncerà che non ce
la fa più a continuare a rivestire il ruolo di presidente dell’Associazione
Famigliari e Vittime Amianto. Lo è stata per ventisette anni, simbolo vivente
che ha fatto il giro del mondo, persino nei villaggi dell’Amazzonia.
Adesso è stanca. Sì, pesano gli 86 anni che compirà il 3 marzo, ma più di tutto è stata la sentenza della Cassazione, che ha buttato nel cestino della prescrizione il maxiprocesso Eternit, ad averla stroncata. «Da quella sera a Roma, sto male» confida. Anche fisicamente: «Lo strascico è una brutta congiuntivite».
«Verdetto ingiusto»
«È stata una grande ingiustizia - dice con amarezza -. Che, poi, mi domando: cosa vuol dire ingiustizia? Cosa mi sarei aspettata? Eh, non è facile!». Le domande si moltiplicano. Lei, che non ha mai accettato nulla senza sforzarsi di capire (fin da quando le dissero che suo marito Mario, ex operaio dell’Eternit, sarebbe morto di mesotelioma perché il cancro dell’amianto ancora non perdona), adesso ha «perso il sonno», sommersa da interrogativi.
«Ci hanno tagliato fuori»
«Come faccio - dice a voce alta - ad accettare che non c’è stata giustizia per le vittime? Che, per via della prescrizione, sono come “sparite”? Ma quei giudici sapevano bene che cosa è accaduto a Casale? La loro sentenza ci ha tagliato fuori».
In che senso? Si siede, le gambe pesano. «Ci hanno tolto tutte le possibilità di vedere riconosciuto un colpevole della tragedia che c’è stata e che continua». Poi il dubbio: «Non si poteva prevedere dall’inizio? Ci siamo illusi oppure c’era qualche possibilità e non è stata tenuta in conto?». Non trova pace Romana Blasotti Pavesi che, quando, nell’88, fu nominata presidente Afeva, era una «vedova dell’amianto». Poi, nel ’90 ha perso la sorella, e il figlio di sua sorella, una cugina e, nel 2004, la figlia Maria Rosa. «Così bella!». Tutti per mesotelioma.
La sentenza
Sul verdetto della Cassazione molti esperti si sono espressi; la Romana, pragmatica, lo riassume così: «Una risposta cattiva e implacabile, disprezzo per le vittime che ci sono state e per quelle che ci saranno».
Ripercorre «i trent’anni di battaglia: sono contenta di aver lottato come ho lottato e, se tornassi indietro, rifarei quello che ho fatto, grazie a quanti hanno condiviso con me questo cammino difficile e testardo. Siamo stati uniti: è la nostra forza». E aggiunge: «Sento molto la vicinanza della gente, è un dono meraviglioso, più di qualsiasi medaglia». Sa bene che non è finita: «Non è che mi pesino troppo gli 86 anni - dice -, ma so di averli e non posso più pretendere da me quello che ho dato fino adesso. Tocca ad altri proseguire, l’Afeva ha ancora molto da fare».
Presidente d’onore
Vorrebbe vedere realizzata, al posto dell’ex fabbrica, la collinetta della memoria: «Sarà l’anno buono?». E, più di tutto, spera che le promesse avute da Renzi, Boldrini e Grasso sull’introduzione del reato di disastro ambientale nel Codice penale siano vere: «Vale per l’amianto e per tutti i veleni. Non si può morire per lavorare e poi nessuno viene punito!».
Le è stato chiesto di rimanere come presidente d’onore dell’Afeva, monito indomito di questa lotta caparbia. Sul volto, che sembra scavato nella pietra e che da anni non è più stato bagnato da una lacrima, abbozza un sorriso. Magari, vuol dire sì.
Adesso è stanca. Sì, pesano gli 86 anni che compirà il 3 marzo, ma più di tutto è stata la sentenza della Cassazione, che ha buttato nel cestino della prescrizione il maxiprocesso Eternit, ad averla stroncata. «Da quella sera a Roma, sto male» confida. Anche fisicamente: «Lo strascico è una brutta congiuntivite».
«Verdetto ingiusto»
«È stata una grande ingiustizia - dice con amarezza -. Che, poi, mi domando: cosa vuol dire ingiustizia? Cosa mi sarei aspettata? Eh, non è facile!». Le domande si moltiplicano. Lei, che non ha mai accettato nulla senza sforzarsi di capire (fin da quando le dissero che suo marito Mario, ex operaio dell’Eternit, sarebbe morto di mesotelioma perché il cancro dell’amianto ancora non perdona), adesso ha «perso il sonno», sommersa da interrogativi.
«Ci hanno tagliato fuori»
«Come faccio - dice a voce alta - ad accettare che non c’è stata giustizia per le vittime? Che, per via della prescrizione, sono come “sparite”? Ma quei giudici sapevano bene che cosa è accaduto a Casale? La loro sentenza ci ha tagliato fuori».
In che senso? Si siede, le gambe pesano. «Ci hanno tolto tutte le possibilità di vedere riconosciuto un colpevole della tragedia che c’è stata e che continua». Poi il dubbio: «Non si poteva prevedere dall’inizio? Ci siamo illusi oppure c’era qualche possibilità e non è stata tenuta in conto?». Non trova pace Romana Blasotti Pavesi che, quando, nell’88, fu nominata presidente Afeva, era una «vedova dell’amianto». Poi, nel ’90 ha perso la sorella, e il figlio di sua sorella, una cugina e, nel 2004, la figlia Maria Rosa. «Così bella!». Tutti per mesotelioma.
La sentenza
Sul verdetto della Cassazione molti esperti si sono espressi; la Romana, pragmatica, lo riassume così: «Una risposta cattiva e implacabile, disprezzo per le vittime che ci sono state e per quelle che ci saranno».
Ripercorre «i trent’anni di battaglia: sono contenta di aver lottato come ho lottato e, se tornassi indietro, rifarei quello che ho fatto, grazie a quanti hanno condiviso con me questo cammino difficile e testardo. Siamo stati uniti: è la nostra forza». E aggiunge: «Sento molto la vicinanza della gente, è un dono meraviglioso, più di qualsiasi medaglia». Sa bene che non è finita: «Non è che mi pesino troppo gli 86 anni - dice -, ma so di averli e non posso più pretendere da me quello che ho dato fino adesso. Tocca ad altri proseguire, l’Afeva ha ancora molto da fare».
Presidente d’onore
Vorrebbe vedere realizzata, al posto dell’ex fabbrica, la collinetta della memoria: «Sarà l’anno buono?». E, più di tutto, spera che le promesse avute da Renzi, Boldrini e Grasso sull’introduzione del reato di disastro ambientale nel Codice penale siano vere: «Vale per l’amianto e per tutti i veleni. Non si può morire per lavorare e poi nessuno viene punito!».
Le è stato chiesto di rimanere come presidente d’onore dell’Afeva, monito indomito di questa lotta caparbia. Sul volto, che sembra scavato nella pietra e che da anni non è più stato bagnato da una lacrima, abbozza un sorriso. Magari, vuol dire sì.
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