Un anno fa il crollo. In
Italia una delegazione di lavoratrici da Dacca: il «marchio» deve
pagare i risarcimenti per la strage del tessile, più di 1.100 morti.
Oggi assemblea a Treviso.
«Facciamo appello a tutto il sistema manifatturiero
italiano, alle cittadine e ai cittadini, a senatrici e senatori
e a tutte le istituzioni, oltre alle aziende coinvolte con le filiere
produttive collegate a Rana Plaza, affinché si attivino non solo
in un’opera di sensibilizzazione e sostegno verso le vittime di
Rana Plaza, ma contribuendo al Fondo internazionale negoziato
e gestito direttamente dall’llo che consente alle imprese e a
chiunque desideri, di contribuire alla raccolta fondi in favore
delle vittime di Rana Plaza, il palazzo di otto piani costruito senza
il rispetto degli standard adeguati di sicurezza che, in
Bangladesh, ospitava 5 fabbriche tessili e che è costato la vita
a 1138 persone». Firmato: Valeria Fedeli, Luigi Manconi.
Alla famiglia Benetton, uno degli imperi del tessile italiano che
con Manifattura Corona e Yes Zee lavoravano con le fabbriche del
Rana Plaza, devono essere fischiate le orecchie. Anche perché si sono
ben guardate dal contribuire al Fondo... Forse a Benetton le orecchie fischiano già da
un pezzo perché la Campagna ha invitato i responsabili
dell’azienda di Treviso a partecipare alla tappa del tour europeo
che ieri era a Roma ma oggi è nella città che ospita il marchio noto in
tutto il mondo grazie alle immagini shock... Allo shock del Rana Plaza Benetton ha
però risposto solo a metà. Ha firmato l’accordo che prevede
controlli rigorosi nelle fabbriche del tessile del Bangladesh ma
per ora non ha ancora aperto i forzieri della multinazionale per
alimentare il Fondo risarcimenti...
...quanto emerse, con i cadaveri di oltre mille vittime, dalle macerie del Rana Plaza fu che i lavoratori erano del Bangladesh ma i marchi erano europei e americani. Italiani anche...
...Una stima di quanto dovrebbe Benetton (di risarcimento) si aggira sui 5 milioni...
*Lettera22
...quanto emerse, con i cadaveri di oltre mille vittime, dalle macerie del Rana Plaza fu che i lavoratori erano del Bangladesh ma i marchi erano europei e americani. Italiani anche...
...Una stima di quanto dovrebbe Benetton (di risarcimento) si aggira sui 5 milioni...
*Lettera22
Un Filo rosso sangue tessuto a macchina
"C'è un filo rosso, un filo tessuto a macchina, che dalle rovine di Dacca, in Bangladesh, si dipana in tutta l’Asia: dalla Turchia a Ovest all’Indonesia a Est. Un filo rosso che passa dalla Cina (primo produttore mondiale del tessile con un fatturato di 115 miliardi di dollari), dai quartieri di molte città indiane o dalle periferie dei centri cambogiani.
Proprio la Cambogia, non meno che in Bangladesh, la vicenda del Rana Plaza — ma anche i tanti incidenti nelle fabbrichette spesso prive delle elementari norme di sicurezza – ha dato la stura a una protesta che rivendica da mesi un salario decente. Diversi manifestanti sono stati uccisi da una dura repressione dei moti sindacali che, dal 24 dicembre scorso, chiedono un aumento del salario minimo da 80 dollari a 160.
In Bangladesh invece, forse il Paese più conveniente per i marchi che hanno deciso di investire qui preferendolo persino alla Cina e all’India (13 mld di fatturato), la richiesta di adeguamento salariale si è fermata a ottanta dollari. Le lotte innescate l’anno scorso hanno fatto siglare un parziale aumento al governo, ma da qui a farlo rispettare ce ne corre.
Gli investitori stranieri sono continuamente in cerca di nuove strade dove pagare meno, ottenere qualità, non dover fare i conti col sindacato, poter trattare con governi compiacenti. La Cambogia è una di queste nuove frontiere ma anche il Vietnam: Paesi meno cari dell’Indonesia (15,5 mld di fatturato) che vanta però una manodopera specializzata in un Paese dove ormai la dittatura trentennale di Suharto è un ricordo, dove il tessile ha una lunga storia e si fa anche molta formazione e quindi la qualità del prodotto – oltre che il politically correct — è garantita, pur se costa di più per unità di prodotto. Se Hanoi e Phnom Penh sono le capitali più gettonate, una parte importante della delocalizzazione del tessile resta ancora in India e Pakistan per la capacità, tra l’altro, di garantire sistemi industriali di confezione e di spedizione. Poco importa se anche qui la catena di incidenti è lunga e le condizioni di lavoro spesso bestiali; situazioni dove si sfrutta una manodopera – per lo più femminile e spesso minorile — reclutata nelle campagne dove c’è fame di lavoro e riluce il fascino della modernità urbana.
Comunque, per capire come va il mercato bisogna guardare i dati dell’export tessile: al primo posto c’è la Cina (159,6 mln di dollari), il Bangladesh è al terzo (oltre 19 mln), al sesto, settimo e ottavo rispettivamente Turchia, Vietnam e India (circa 14 mln), al 13mo l’Indonesia (7,5). Chi compra? Ai primi posti gli Stati uniti, seguiti da Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Hong Kong, Italia, e Spagna". (Da Il Manifesto)
Il nostro articolo un anno fa:
BANGLADESH: VETRINE SPORCHE DI SANGUE...
I parenti delle operaie e operai della fabbrica del Rana Palza a Savar, periferia di Dacca, dicono, piangendo, gridando, mostrando le foto, che ancora più di 700 sono dispersi, finora è già sicuro che sono morti più di 300 operai, ma ancora tanti sono sotto le macerie.
La stragrande maggioranza erano donne, in quel maledetto fabbricato in cui lavoravano, nelle 5 fabbriche di abbigliamento esistenti e in condizione da moderno schiavismo 3.122 lavoratori. Migliaia di operaie che producono 3 milioni di vestiti, jeans, camicie all'anno, a 28 euro al mese, salario che neanche viene pagato tutti i mesi, con un orario di lavoro che arriva a 18 ore al giorno "a ridosso della consegna".
La rabbia e la lotta degli operai, delle operaie, dei giovani è esplosa subito in tante fabbriche di Dacca - non fermata certo dalla risposta del governo, complice di questa strage, che ha usato lacrimogeni e proiettili di gomma contro operai, parenti degli stessi morti nel crollo.
"...da molte delle migliaia di fabbriche tessili a rischio che sono il cuore dell'economia del Bangladesh sono partiti cortei oceanici di operai: hanno sfilato davanti alla sede della Confederazione delle industrie tessili, ritenute le principali responsabili dei mancati controlli di sicurezza... la folla infuriata, con decine di feriti e assalti a colpi di bastone contro auto e camion che non rispettavano il giorno di lutto nazionale..." (La Repubblica).
Ma non è una strage del "terzo mondo", per cui le coscienze democratiche dei paesi del "primo mondo" possono mettersi la coscienza a posto e "indignarsi".
E' una programmata strage dei paesi più "avanzati" dell'occidente imperialista! Queste morti ricadono sulle spalle dei ricchi proprietari dei più grandi imperi industriali, degli Usa, dell'Europa, dell'Italia, tra cui Benetton! che, in una catena di appalti e subappalti per tagliare al massimo il costo del lavoro, in una nera catena di padroni e padroncini sciacalli assetati di avere le briciole dei profitti delle grandi Marche, arrivano nei paesi come il Bangladesh (2° esportatore al mondo di tessile).
Profitti fatti spingendo le operaie, più di 3 milioni in tutto il Bangladesh su 4 milioni di lavoratori, a lavorare fino allo sfinimento, ad andare a lavorare anche se c'è un evidente pericolo per la loro sicurezza - "... il giorno prima del crollo sulle pareti del Plaza erano apparse crepe minacciose e il palazzinaro Rana (legato al partito di governo) si era fatto intervistare: "nessun pericolo". I manager avevano diffuso messaggi più discreti: "venite a lavorare, tutto a posto", aveva fatto sapere il capo di Sofura, aggiungendo una minaccia più grande di una crepa: "Altrimenti vi lasciamo a casa e vi scordate gli arretrati".... l'edificio (di 8 piani) era omologato per cinque piani (gli altri tre abusivi)...". (Corriere della Sera).
I grandi capitalisti nostrani non si sporcano le mani! "Non spetta a noi occuparcene" hanno dichiarato la gran parte delle industrie mondiali. Loro lasciano fare agli schiavisti locali di rovinare, fino alla morte, vite giovanissime. A novembre scorso 112 operaie erano bruciate vive, producevano golf e calzoncini. Ai capitalisti interessano gli utili miliardari, puliti (oltre 20 miliardi di dollari di fatturato).
E quegli abiti, sporchi di sudore e sangue, pagati a sotto centesimi in Bangladedsh, arrivano poi nelle nostre vetrine luccicanti, attraenti, spesso costosi.
Finchè il capitalismo con la sua sete di profitti continua a sopravvivere è un inferno per i proletari - con le donne e i ragazzi più sfruttati, oppressi, violentati - per i popoli, per l'umanità!
Per questo è vitale per i proletari, le donne, i popoli rovesciare il capitalismo con la rivoluzione proletaria.
La stragrande maggioranza erano donne, in quel maledetto fabbricato in cui lavoravano, nelle 5 fabbriche di abbigliamento esistenti e in condizione da moderno schiavismo 3.122 lavoratori. Migliaia di operaie che producono 3 milioni di vestiti, jeans, camicie all'anno, a 28 euro al mese, salario che neanche viene pagato tutti i mesi, con un orario di lavoro che arriva a 18 ore al giorno "a ridosso della consegna".
La rabbia e la lotta degli operai, delle operaie, dei giovani è esplosa subito in tante fabbriche di Dacca - non fermata certo dalla risposta del governo, complice di questa strage, che ha usato lacrimogeni e proiettili di gomma contro operai, parenti degli stessi morti nel crollo.
"...da molte delle migliaia di fabbriche tessili a rischio che sono il cuore dell'economia del Bangladesh sono partiti cortei oceanici di operai: hanno sfilato davanti alla sede della Confederazione delle industrie tessili, ritenute le principali responsabili dei mancati controlli di sicurezza... la folla infuriata, con decine di feriti e assalti a colpi di bastone contro auto e camion che non rispettavano il giorno di lutto nazionale..." (La Repubblica).
Ma non è una strage del "terzo mondo", per cui le coscienze democratiche dei paesi del "primo mondo" possono mettersi la coscienza a posto e "indignarsi".
E' una programmata strage dei paesi più "avanzati" dell'occidente imperialista! Queste morti ricadono sulle spalle dei ricchi proprietari dei più grandi imperi industriali, degli Usa, dell'Europa, dell'Italia, tra cui Benetton! che, in una catena di appalti e subappalti per tagliare al massimo il costo del lavoro, in una nera catena di padroni e padroncini sciacalli assetati di avere le briciole dei profitti delle grandi Marche, arrivano nei paesi come il Bangladesh (2° esportatore al mondo di tessile).
Profitti fatti spingendo le operaie, più di 3 milioni in tutto il Bangladesh su 4 milioni di lavoratori, a lavorare fino allo sfinimento, ad andare a lavorare anche se c'è un evidente pericolo per la loro sicurezza - "... il giorno prima del crollo sulle pareti del Plaza erano apparse crepe minacciose e il palazzinaro Rana (legato al partito di governo) si era fatto intervistare: "nessun pericolo". I manager avevano diffuso messaggi più discreti: "venite a lavorare, tutto a posto", aveva fatto sapere il capo di Sofura, aggiungendo una minaccia più grande di una crepa: "Altrimenti vi lasciamo a casa e vi scordate gli arretrati".... l'edificio (di 8 piani) era omologato per cinque piani (gli altri tre abusivi)...". (Corriere della Sera).
I grandi capitalisti nostrani non si sporcano le mani! "Non spetta a noi occuparcene" hanno dichiarato la gran parte delle industrie mondiali. Loro lasciano fare agli schiavisti locali di rovinare, fino alla morte, vite giovanissime. A novembre scorso 112 operaie erano bruciate vive, producevano golf e calzoncini. Ai capitalisti interessano gli utili miliardari, puliti (oltre 20 miliardi di dollari di fatturato).
E quegli abiti, sporchi di sudore e sangue, pagati a sotto centesimi in Bangladedsh, arrivano poi nelle nostre vetrine luccicanti, attraenti, spesso costosi.
Finchè il capitalismo con la sua sete di profitti continua a sopravvivere è un inferno per i proletari - con le donne e i ragazzi più sfruttati, oppressi, violentati - per i popoli, per l'umanità!
Per questo è vitale per i proletari, le donne, i popoli rovesciare il capitalismo con la rivoluzione proletaria.
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