Ancora una volta nei dati che in questi giorni appaiono sui mass media bisogna andare a cercare col lanternino i dati sulla condizione di disoccupazione, di lavoro e non lavoro delle donne. Come se non è poi così "sconvolgente" che le donne non lavorino o lavorino in lavori ultraprecari.
Riportiamo un piccolo stralcio del documentato opuscolo "S/catenate del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, che invece su questa condizione delle donne fornisce un quadro ampio e anche complesso (l'opuscolo si può richiedere a mfpr.naz@gmail.com):
"La
maggior parte delle donne non lavora, l’occupazione è al 46,4%
(anche la Grecia
è sopra di noi, con il 48,1), contro il 68,6% degli uomini. Tra le
donne il 34,8%
(contro il 27,4% dei maschi) ha rapporti di lavoro a tempo
determinato e la
percentuale delle giovani donne (tra 18 e 29 anni) con contratti part
time è del
31,2% (contro il 10,4% di quella maschile).
Nel
sud appena il 13% delle donne è occupata nelle industrie, mentre sul piano
nazionale la presenza si attesta intorno al 15%. Al Sud l’occupazione scende
al 30,6%, (quasi la metà di quella maschile al 59%), quindi, 2 donne
su tre
non lavora, o è occupata in lavori a nero, a domicilio, e nelle
tantissime forme
di super sfruttamento e sottosalario. La disoccupazione delle donne rasenta
al sud il 50%.
Le
differenze di genere nelle possibilità di lavoro e di guadagno
rafforzano la divisione
del lavoro in famiglia. Ma molte donne al sud rinunciano a cercare lavoro
perché dichiarano che non troverebbe lavoro, non per il peso dei
servizi di
cura che è solo leggermente di più, come motivazione, rispetto al
centronord.
Il
calo maggiore dell’occupazione si ha proprio nelle attività
lavorative part time,
a dimostrazione che questo rapporto sbandierato come favorevole all’occupazione
femminile e a conciliare i tempi di lavoro con i tempi di vita (vale
a dire, più brutalmente, i tempi del doppio lavoro, nelle aziende e
in casa), non
significa salvaguardia o aumento dell’occupazione delle donne.
D’altra
parte il part time per la maggior parte delle donne non è affatto
una scelta,
ma l’unico lavoro trovato o un ripiego rispetto al carico
familiare; nel sud
più della metà delle donne con figli conviventi dichiara che
avrebbe voluto un
lavoro a tempo pieno ma non lo ha trovato (il 50,2%).
La
parola chiave per le lavoratrici è “precariato”. I contratti
atipici, nei quali si concentrano
donne e giovani, rappresentano per i padroni una valvola di flessibilità
in caso di necessità di ridimensionamento dell’attività
produttiva.
Tra
le operaie con meno di 35 anni una su cinque (21%) ha un contratto di lavoro temporaneo, precario. La flessibilità, lungi da essere una
opportunità per i
tempi delle donne, liberi da rigidi vincoli, “creativo”, a misura
della conciliazione
tempo di lavoro/tempo di vita, è, insieme al peggioramento delle condizioni
di lavoro, una catena, perchè tutta la vita è legata alle esigenze aziendali.
Questa condizione diventa spesso uno status permanente; e l'incertezza
del mantenimento del salario e del posto di lavoro, spinge non a fare
meno lavoro ma a fare più lavoro, più lavori, e a passare spesso il
tempo “libero”
a cercare altri lavori.
Quindi
con la precarietà, la flessibilizzazione del lavoro le donne in
generale non
lavorano di meno, ma di più e prendendo una miseria! La precarietà
si somma
alla fatica e produce uno stress psicofisico...
…Altro
aspetto. La mancanza di lavoro costringe le donne a restare nella
propria famiglia
di origine (tra i 18 e i 29 anni il 71,4% vive con i genitori). Ma le giovani
donne cercano più dei maschi di andarsene di casa - questi infatti restano
in famiglia nell’83,2% dei casi - a dimostrazione di un maggior
bisogno delle
donne di indipendenza e di uscire da un’oppressione familiare, a differenza
dei maschi che dichiarano di rimanere perché stanno bene così, ì potendo
mantenere comunque la loro libertà. Un dato chiarisce bene questa
differenza:
la quota di ragazze-figlie coinvolta nel lavoro familiare è doppia rispetto
a quella degli uomini (75,4% contro il 37,3%), come quasi doppio è
il tempo
che ragazze e ragazzi dedicano al lavoro in famiglia (1 ora e 59
minuti ledonne
e 1 ora e 15 minuti gli uomini).
Questa
spiega probabilmente anche un altro dato: le donne giovani studiano
di più
degli uomini, con una quota più alta proprio nel Sud dove la
dipendenza dalla
famiglia delle ragazze è maggiore"
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