MATTEO PUCCIARELLI
PRIMA parolacce e spintoni, ma si fa presto: schiaffi, calci, bastonate
e contusi, sette lavoratori medicati sul posto dal 118, macchine sfregiate coi
cacciavite. E poi lo scambio di accuse, «provocatori» di qua, «mazzieri
fascisti» di là. È la guerra tra ultimi e penultimi quella che va in scena a
Trezzo sull’Adda. Camionisti e padroncini che attaccano i facchini delle
cooperative; esasperati i primi — bloccati in magazzino dalla protesta — ma
ancor più esasperati i secondi, perché il lavoro non ce l’hanno proprio più.
Storia che si ripete: c’è chi sta male e poi c’è chi sta peggio. Nel novembre di
tre anni fa scoppiò un putiferio simile fuori dall’Esselunga di Pioltello. Anche
in questo caso, di sfondo ci sono gli appalti per la grande distribuzione e di
mezzo ci sono le cooperative.
Cooperative sì, ma all’italiana: «Lo sanno
anche i muri — dice Bruno Verco della Cisl, il sindacato moderato in tutta
questa faccenda — nel 90 per cento dei casi si chiamano così ma lo sono di
facciata, hanno dei padroni veri e propri che affittano delle braccia. Le apri,
le richiudi quando vuoi, le riapri subito dopo con un altro nome levandoti di
torno gli esuberi senza alcuna responsabilità davanti alla legge». Il sindacato
più radicale — anzi «di classe», come si definiscono loro — , cioè lo Slai
Cobas, ripete la stessa cosa: cambia solo il metodo di lotta. I duri che da
giorni picchettavano il nuovo polo logistico di viale Lombardia; i duri che
rappresentano la maggioranza dei 130 lavoratori delle ex “cooperative”
appaltatrici della Lombardini nei precedenti magazzini di Vignate e Capriate, a
loro volta rifornitori dei supermercati Ld di tutto il nord Italia. Solo che poi
la società è andata in crisi e ha venduto tutto alla casertana Lillo spa (quella
degli Md discount), la quale in sostanza si è portata dietro altre “cooperative”
con altri lavoratori. Le trattative sono andate male, i campani sono per
prendersi solo una quota dei vecchi facchini. E allora si è passati al blocco:
di qui i camion non escono, e poi vediamo come va a finire. Appunto: a
botte.
«I dipendenti di cooperativa devono diventare obbligatoriamente soci —
racconta Sebastiano Lamera del sindacato di base — ma in realtà non partecipano
a nessun processo decisionale. Sono sottopagati, non viene mai applicato il
contratto nazionale, ferie e malattia non sono retribuite. Il tutto per 5 euro
lordi l’ora. Il tempo di vita medio di queste cooperative è di circa un anno.
Gli ultimi mesi non pagano. Poi spariscono e riaprono con un’altra ragione
sociale». Lavori di fatica dove si privilegia ancora il cottimo: più bancali
scarichi e più guadagni, più fatica uguale più soldi. Poi siccome anche gli
ipermercati non tirano come una volta e la merce venduta cala, chiaro che
diminuisce anche il lavoro della logistica. Se prima per spostare il carico ti
occorreva cento, oggi ce la fai con ottanta. E chi saranno mai i venti da
tagliare? «Ovvio, i rompiscatole, quelli che si sono conquistati più diritti»,
spiega Lamera. Gli altri, i padroncini, sono per «il rispetto della verità» —
assicura Mario Quarti, dirigente della “Coop logic service” e accusato dal Cobas
di essere stato in prima fila nell’agguato — ma quale sia è impossibile
scoprirlo: «Scusi ma lei chi è? Mica ci conosciamo».
|
Nessun commento:
Posta un commento