Cisl: se questo è un sindacato…
di Sergio Scorza (ripreso da sinistrainrete)
Fatti e antefatti dell’inesorabile declino dei principali sindacati italiani.
Le vicende della CISL documentate dall’eccellente inchiesta di Report, andata qualche giorno fa su Rai3, avrebbero fatto arrossire anche uno come Jimmy Hoffa, se fosse ancora vivo.
Ispezioni pilotate, dimissioni forzate, opacità, omertà, violenze psicologiche, mobbing, abusi, distrazione di fondi, arricchimenti illeciti ai danni degli iscritti etc.
Tutto in un quadro di omertà e di opacità assoluta in cui il dirigente apicale di turno, pur di difendere il
proprio ruolo di padrone assoluto del sindacato e pappone alle spalle dei lavoratori, non va mai per il sottile quando si tratta di bastonare duramente qualche dirigente periferico che abbia osato – anche solo minimamente – criticare il suo sistema di potere personale ed i suoi enormi privilegi.Ma, riassumiamole per sommi capi, le vicende raccontate da Report (su Rai3, nella puntata del 14/12/2020):
- SUPERSTIPENDI E PENSIONI D’ORO. Nel 2015, un ex dirigente della #CISL, Fausto Scandola, aveva denunciato che alcuni dirigenti di quel sindacato avevano accumulato un lordo previdenziale ben superiore a quanto stabilito dal regolamento dell’epoca. In alcuni casi si arrivava anche al doppio, 200mila euro, quando il limite previsto era ca. 87mila.
Poco dopo Scandola viene espulso dai probiviri, una sorta di magistratura interna al sindacato: l’accusa è aver leso l’onore della segretaria, Anna Maria Furlan. Dopo poco Scandola muore. Non c’è più neppure la collega Nadia Toffa, che aveva realizzato per “Le iene” un’inchiesta memorabile su questa vicenda, pur non avendo ricevuto una risposta.
- LA COMMISTIONE TRA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E CISL. L’attuale vice-segretario della CISL nazionale, Luigi Sbarra, dal 2000 al 2009 è stato segretario regionale della Cisl Calabria. In quegli anni è stato anche assunto all’Anas. “Abbiamo provato a chiedergli in che anno“, dice la giornalista di Report, ma Sbarra non ha voluto rispondere.
- SEMPRE DUE PESI E DUE MISURE, ANCHE QUANDO RUBANO I SOLDI DEGLI ISCRITTI. L’ex segretaria della Cisl Campania, Lina Lucci, oggi è sotto processo per una presunta appropriazione indebita di 206 mila euro, ridotti a 77mila per avvenuta prescrizione. La Cisl si è costituita parte civile.
Ma non lo ha fatto nei confronti del funzionario amministrativo del sindacato Salvatore Denza, tirandolo così fuori dal processo. Il Tribunale aveva rinviato a giudizio anche lui per una presunta appropriazione indebita di 172 mila euro.
- PORTE GIREVOLI TRA PARTITI E CISL. A giugno del 2018 il sottosegretario all’economia Pierpaolo Baretta perde l’incarico di sottosegretario, e subito la sua portavoce Stella Teodonio trova casa nella Fim-Cisl, di cui Baretta in passato è stato segretario generale.
- IL SINDACALISTA CADE SEMPRE IN PIEDI. Tra il 2015 e il 2016, mentre fioccano i licenziamenti, solo alcuni dipendenti IAL Sicilia (formazione professionale) riescono a mantenere la continuità lavorativa e a passare ad altro ente di formazione: quelli che avevano condotto la trattativa con la Regione.
Insomma, Furlan e soci prendono stipendi d’oro e percepiranno pensioni d’oro, come quella dell’ex segretario CISL Bonanni (330mila euro annui). Per tutti gli altri, stipendi e salari al limite – se non al di sotto – della soglia di povertà e pensione a 67 anni (fino al prossimo scalino) o giù di lì, con importi da fame nera. Oppure fai un’“Ape social” che ti costa come un mutuo casa fino al trapasso, e alleluia.
Ma come siamo arrivati a questo punto? E, sopratutto, che senso ha continuare a trattenere migliaia di euro all’anno su salari e stipendi per fantomatici fini previdenziali visto che, se permangono l’attuale sistema di calcolo contributivo (legge Dini) e l’agganciamento dell’età pensionabile all’indice della speranza di vita previsto dalla riforma Fornero, una pensione vera non la vedrà quasi più nessuno?
Invece “loro”, i vertici dei sindacati complici, continueranno ad andare in pensione con un fantastico importo raggiunto mediante il vecchio calcolo retributivo e parametrato sull’ultimo mese di stipendio percepito dal sindacato stesso.
E come possono, solo loro? Possono eccome, grazie ad una legge del 1996 [1]: i trenta denari (si fa per dire) per cui si sono vendute le pensioni di anzianità – guarda un po’- proprio un anno prima, ovvero, nel 1995 [2] quando, CGIL CISL e UIL concorsero attivamente alla stesura ed all’approvazione della Legge Dini che abrogò le pensioni di anzianità, estese a tutti i lavoratori dipendenti il famigerato metodo di calcolo contributivo ed introdusse la previdenza complementare.
Il nuovo metodo di calcolo non si basava più sugli ultimi stipendi o retribuzioni percepite, come nel sistema retributivo, ma sui contributi effettivamente versati nel corso dell’attività lavorativa, rivalutati e trasformati in rendita da un coefficiente che aumenta all’aumentare dell’età pensionabile.
Una controriforma a tutti gli effetti che decretò la fine del sistema previdenziale basato sul principio di solidarietà ed su un minimo di equa redistribuzione dei contributi versati da tutte le categorie, da quelle più fortunate a quelle meno retribuite.
Ma perché soppressero le pensioni di anzianità? Perché introdussero il calcolo contributivo, che ti costringe a lavorare una vita per non prendere una pensione da fame? Perché quella complicità di CGIL, CISL e UIL nell’approvazione di una norma che faceva a pezzi uno dei pilastri principali del nostro stato sociale?
Eppure si trattava degli stessi sindacati che, il 12 novembre 1994, fermarono la riforma delle pensioni di Berlusconi quando, sotto la guida di Cofferati, lanciarono una manifestazione che rimane tutt’ora la più grande manifestazione sindacale dell’Italia del dopoguerra.
Era una protesta contro la finanziaria ’95 di Berlusconi, che riformava il sistema pensionistico in modo quasi identico a quella che fu approvata da governo Dini (che era stato ministro del Tesoro nel governo Berlusconi), appena un anno dopo.
Ma allora come fece Dini ad ottenere il consenso dei tre principali sindacati italiani?
Entrambi i disegni di riforma prevedevano l’introduzione dei fondi pensione, che proprio la drastica riduzione degli importi per effetto del nuovo calcolo contributivo avrebbero dovuto agevolare. Ma mentre Berlusconi, co-proprietario di Mediolanum, voleva i Consigli di Amministrazione dei fondi pensione aperti solo “al mercato”, Dini concesse ai sindacati di inserirsi nei CdA chiusi dei Fondi di previdenza complementare, previsti dalla legge (Dm 703/1996 e poi dal D.Lgs. 252/2005).
Dunque, anziché difendere le pensioni dei lavoratori, ne accettarono la distruzione per compartecipare al passaggio al nuovo sistema articolato su due gambe: quella pubblica (Inps, ecc, sempre più povera) e quella privata complementare offerta dalla grandi compagnie assicurative (Unipol, Generali, Ras, ecc).
In ballo c’era la grande torta dei trattamenti di fine rapporto (le vecchie liquidazioni): quasi 20 miliardi. Mediante un incentivo si cercò di convincere i lavoratori, pubblici e privati, a destinare il proprio TFR al pagamento della quota di adesione ai vari fondi pensione.
Ma, grazie ad una grande campagna di controinformazione imbastita dai sindacati di base, molti lavoratori non caddero nella trappola e mantennero il Tfr nelle proprie mani.
Ecco, era un po’ di storia per capire come siamo arrivati alla costituzione di una casta di sindacalisti di vertice che vanta stipendi stellari e superpensioni d’oro, alla progressiva trasformazione delle sedi sindacali in agenzie assicurative e dei delegati sindacali in procacciatori di ogni genere di polizza.
Tutto ciò mentre i lavoratori italiani hanno il duplice record delle retribuzioni più basse e dell’età pensionabile più alta di tutti i paesi dell’aerea UE.
D’altronde, dopo la demolizione dell’articolo 18 (contro cui la CGIL fece sole 2 ore di sciopero, neanche la finta) recentemente Furlan, Landini e Barbagallo si sono opposti fermamente sia al Reddito di Cittadinanza che al salario minimo.
Non fa una piega: sono posizioni assolutamente coerenti con la storia che vi ho qui raccontato e che ha raggiunto il suo acme con l’accordo firmato unitamente dalla maggiore associazione padronale italiana, ovvero Confindustria, con CGIL, CISL e UIL in cui si impegnano a “fare sistema”.
NOTE
[1] Legge n. 564/1996; scritta nel 1996 da Tiziano Treu, prima commissario INPS poi Direttore del CNEL di cui voleva però l’abrogazione. Si tratta di una norma che permette ai sindacalisti apicali – segretari e cariche di vertice – di ottenere una pensione d’oro dopo soltanto un mese di lavoro.
[2] Legge n. 335/1995, meglio conosciuta come “Riforma Dini”, che ha introdotto il sistema di calcolo contributivo per chi ha meno di 18 anni di anzianità lavorativa alla data di entrata in vigore della norma ed un sistema progressivo di “finestre d’uscita”, successivamente superato da vari interventi normativi ed infine dalla “Riforma Fornero”.
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