Su questo - cominciando da oggi - pubblichiamo alcuni contributi
Tratto da un lavoro universitario di un compagno
"Una
lettura non materialistico storico dialettica del rapporto
uomo/natura, che mette l'accento sulla natura, non solo non colloca
questo rapporto nel sistema capitalista, precludendosi una analisi
reale, per cui vede gli effetti ma non la causa, vede l'albero ma non
la foresta, non il sistema del capitale che impone per il suo
profitto quella
organizzazione, produzione del lavoro, ecc.; ma più
in generale esprime una visione statica, immobile di questo rapporto,
perchè ne nega la dinamicità e la dialettica.
E
andando al cuore di questa visione, essa nega
l'uomo storico, l'umanità reale, per affermare l'idea di "Uomo"
(mai apparso nella storia reale), l'idea di una presunta immutabile
natura umana, l'uomo astratto.
A questa visione, si oppone l'uomo concreto, che è il reale attore della storia nell'usare a suo vantaggio lo sviluppo delle forze produttive e della tecnica portata avanti dal capitalismo; che volge alla propria liberazione i limiti irrisolvibili in cui il capitale ha portato le sue stesse contraddizioni. Il limite del capitale, riaffermiamolo, è il capitale stesso ed è quindi questo che va "negato".
Questo
"uomo" è il proletariato, la classe operaia.
Il
proletariato è frutto e nodo centrale della contraddizione del
sistema del capitale tra massimo sviluppo delle forze produttive,
potremmo dire massima potenzialità di un uso "umano" della
natura, e loro massimo uso distruttivo, strette come sono nel loro
utilizzo, capitalistico, "contro-natura" e "contro
umano" potremmo dire, al solo fine del massimo profitto.
Il
proletariato come "becchino" del capitale apre la strada a
una realizzabile "riconciliazione" dell'uomo con la natura.
Chi nega il proletariato, la sua funzione storica, nega questa "riconciliazione" e contrasta l'unica forza che può volgere a favore dello sviluppo dell'umanità la contraddizione "distruttiva" a cui è giunto il sistema del capitale.
Cercando
di esprimere il concetto con maggior efficacia si potrebbe
sottolineare come la massima appropriazione della natura da parte
dell'uomo, raggiunta grazie alla grande industria nel sistema
capitalistico, capace di porre al servizio della produzione le leggi
e la scienza della natura, il punto più elevato, quindi, nel quale
la natura è umanizzata e l'uomo è naturalizzato, sia, allo stesso
tempo e proprio per ciò, il momento in cui il rapporto di
oggettivazione umana per mezzo del lavoro raggiunge il massimo grado
di estraneazione, rendendo netta come non mai la separazione tra i
due poli, pur nel loro collegamento inscindibile. In tale orizzonte
l'uomo viene separato dalla natura proprio per assicurare la più
profonda appropriazione della stessa al lavoro sociale determinato
dal capitale.
Le
macchine e il sistema della grande industria risultano incarnare
dialetticamente il punto di maggiore sviluppo del capitale e il punto
di maggiore messa in crisi dello stesso; il punto nel quale esso
spinge all'estremo se stesso proprio nell'ineliminabile scontro con i
suoi propri invalicabili (per il capitale che ne è l'incarnazione)
limiti.
Solo
superando il capitale stesso, è possibile realizzare le potenzialità
rese storicamente reali dal capitale".
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