mercoledì 22 aprile 2020

pc 22 aprile - Lenin e la critica ai falsi marxisti nello scritto “Intorno a una caricatura del marxismo”

La battaglia teorica è una di quelle in cui Lenin si misura fin dall’inizio della sua militanza contro i riformisti del suo tempo di qualunque colore si travestissero.
In questo scritto Lenin polemizza sulla “logica” utilizzata da alcuni “marxisti” che considerano, per esempio, l’imperialismo una politica e non una fase superiore del capitalismo. O la necessità di alcuni paesi di fatto occupati "militarmente ed economicamente" di liberarsi dall’imperialismo (autodecisione delle nazioni). O ancora l’importanza della comprensione della contraddizione in cui è abissalmente sprofondato l’imperialismo, anche quello odierno, o il rapporto tra “democrazia”, imperialismo e reazione!
Chiaramente, per chi ha occhi per vedere, i fenomeni descritti da Lenin si sviluppano ancora sotto i nostri occhi ad un livello ancora più elevato!
Ma questa “caricatura del marxismo” la possiamo vedere ancora oggi in tanti che si definiscono comunisti.
Il testo è stato scritto tra agosto e ottobre del 1916; ne riportiamo alcuni passaggi del solo punto 3. che si trova in Opere, Editori Riuniti, vol.23. I grassetti sono nostri:
 ***
P. Kievski non fa nemmeno il tentativo di accostarsi a un’analisi economica! Egli confonde l’essenza economica dell’imperialismo con le sue tendenze politiche, come balza evidente dal primo capoverso del primo paragrafo del suo articolo. Eccolo:
“Il capitale industriale è stato la sintesi della produzione precapitalistica e del capitale commerciale-usurario. Il capitale usurario si è posto al servizio di quello industriale. Attualmente, il capitalismo supera le varie forme di capitale; nasce così un tipo superiore,
unificato di capitale, il capitale finanziario; e quindi tutta l’epoca può chiamarsi epoca del capitale finanziario, di cui l’imperialismo è il sistema corrispondente in politica estera”.
Sul piano economico questa definizione non vale un bel niente: alle categorie economiche rigorose sono qui sostituite semplici frasi. Ma non possiamo per il momento indugiare su questo punto. L’essenziale è che P. Kievski ravvisa nell’imperialismo un “sistema di politica estera”.
Si tratta, anzitutto, della ripetizione sostanzialmente sbagliata di un’idea sbagliata di Kautsky.
Si tratta, inoltre, di una definizione puramente ed esclusivamente politica dell’imperialismo. Definendo l’imperialismo come un “sistema di politica estera”, P. Kievski cerca di eludere l’analisi economica, che egli ha promesso dicendo che l’autodecisione è altrettanto” irrealizzabile, ossia economicamente irrealizzabile, nell’epoca dell’imperialismo, quanto il denaro-lavoro con la produzione di merci!
Kautsky, in polemica con la sinistra, ha sostenuto che l’imperialismo è “soltanto un sistema di politica estera” (e, più esattamente, di annessioni) e che è impossibile definirlo una fase economica determinata, un grado di sviluppo, del capitalismo.
Kautsky ha torto. È evidentemente sciocco discutere sulle “parole”. Non si può vietare che si usi il “termine” di imperialismo in questa o quella accezione. Ma bisogna chiarirne puntualmente il concetto, se si vuole intavolare una discussione.
Sul piano economico, l’imperialismo (o “epoca” del capitale finanziario, non è questione di parole) è la suprema fase di sviluppo del capitalismo, quella fase in cui la produzione ha assunto proporzioni tali che il monopolio sostituisce la libera concorrenza. È questa la sostanza economica dell’imperialismo. Il monopolio si manifesta nei trusts, nei cartelli, ecc., nell’onnipotenza di banche gigantesche, nell’accaparramento delle fonti di materie prime, ecc., nella concentrazione del capitale bancario, ecc. Tutto consiste nel monopolio economico.
La sovrastruttura politica di questa nuova economia, del capitalismo monopolistico (l’imperialismo è capitalismo monopolistico), consiste nel trapasso dalla democrazia alla reazione politica. Alla libera concorrenza corrisponde la democrazia. Al monopolio corrisponde la reazione politica. “Il capitale finanziario aspira alla supremazia e non alla libertà”, dice giustamente R. Hilferding nel suo Capitale finanziario.

Isolare la “politica estera” dalla politica in generale o, peggio, contrapporre la politica estera a quella interna significa enunciare una idea radicalmente sbagliata, non marxista, non scientifica. Tanto nella politica estera quanto in quella interna l’imperialismo tende a violare la democrazia, tende alla reazione. In questo senso, è incontestabile che l’imperialismo è “negazione” della democrazia in generale, di tutta la democrazia, e non già solo di una sua rivendicazione: l’autodecisione delle nazioni.
Essendo “negazione” della democrazia, l’imperialismo “nega” allo stesso modo la democrazia nella questione nazionale (ossia l’auto-decisione delle nazioni): “allo stesso modo”, tende cioè a violarla. L’autodecisione è più difficile da realizzare nell’epoca dell’imperialismo, esattamente nella stessa misura e nello stesso senso in cui sono difficili da realizzare in quest’epoca (rispetto a quella del capitalismo premonopolistico) la repubblica, la milizia, l’elezione dei funzionari da parte del popolo, ecc. Non si può quindi parlare di irrealizzabilità “economica”.
P. Kievski (a parte la sua generale incomprensione delle esigenze dell’analisi economica) è stato forse tratto in errore anche dalla circostanza che, per i filistei, l’annessione (ossia l’incorporamento di un territorio straniero, nonostante la volontà dei suoi abitanti, ossia la violazione dell’autodecisione delle nazioni) è l’equivalente dell’“allargamento” (espansione) del capitale finanziario su un territorio economico più esteso.
Ma non si possono affrontare le questioni teoriche con i criteri del filisteismo.
L’imperialismo è, sul piano economico, il capitalismo monopolistico. Perché il monopolio sia completo, bisogna espellere i concorrenti non solo dal mercato interno (dal mercato di un dato paese), ma anche da quello estero, da tutto il mondo. Esiste, “nell’epoca del capitale finanziario”, la possibilità economica di soppiantare la concorrenza anche in uno Stato straniero? Non v’è dubbio che tale mezzo esiste: è la soggezione finanziaria e l’accaparramento delle fonti di materie prime, nonché in seguito di tutte le aziende, del concorrente.
I trusts americani sono l’espressione suprema dell’economia imperialista o del capitalismo monopolistico. Per eliminare i concorrenti, i trusts non si accontentano dei soli mezzi economici, ma ricorrono di continuo a mezzi politici e persino a quelli criminali. Ma sarebbe un gravissimo errore ritenere economicamente irrealizzabile il monopolio dei trusts con mezzi di lotta puramente economici. Viceversa, la realtà mostra ad ogni passo che la cosa è del tutto “realizzabile”: i trusts minano il credito dei concorrenti attraverso la mediazione delle banche (i padroni dei trusts sono padroni delle banche: se ne accaparrano le azioni); i trusts sabotano i trasporti delle materie prime destinate ai concorrenti (i padroni dei trusts sono padroni delle ferrovie: ne accaparrano le azioni); i trusts riducono temporaneamente i prezzi al di sotto del costo di produzione, sacrificando milioni, per sgominare i concorrenti e accaparrarne le aziende, le fonti di materie prime (miniere, terra, ecc.).
Ecco un’analisi puramente economica del potere dei trusts e della loro espansione. Ecco una strada puramente economica per l’espansione: l’accaparramento delle aziende, degli stabilimenti, delle fonti di materie prime.
Il grande capitale finanziario di un paese può sempre soppiantare i suoi concorrenti, persino se appartengono ad un paese straniero politicamente indipendente, e in realtà li soppianta sempre. Si tratta di un mezzo economico pienamente applicabile. L’“annessione” economica è pienamente “realizzabile” senza annessione politica, e si verifica di continuo. Nella letteratura sull’imperialismo si trovano a ogni passo indicazioni come: l’Argentina è di fatto una “colonia commerciale” dell’Inghilterra; il Portogallo è di fatto un “vassallo” dell’Inghilterra, ecc. È vero: la soggezione economica alle banche inglesi, l’indebitamento nei confronti dell’Inghilterra, l’accaparramento da parte inglese delle ferrovie, delle terre, delle miniere, ecc. trasformano questi paesi in “annessioni” economiche dell’Inghilterra, senza che risulti violata la loro indipendenza politica.
Si chiama autodecisione delle nazioni la loro indipendenza politica. L’imperialismo aspira a distruggerla, perché con l’annessione politica quella economica è spesso più agevole, meno costosa (è più facile corrompere i funzionari, ottenere concessioni, far promulgare una legge vantaggiosa, ecc.), meno complicata e più tranquilla; allo stesso modo l’imperialismo tende a sostituire la democrazia in genere con l’oligarchia. Ma parlare di “irrealizzabilità” economica dell’autodecisione nell’epoca dell’imperialismo è semplicemente assurdo!”

P. Kievski elude le difficoltà teoriche ricorrendo a un metodo oltremodo semplice e superficiale, che in tedesco si chiama linguaggio “da Bursche”, ossia studentescamente semplicistico, grossolano, usuale (e naturale) nell’ambiente della gozzoviglia studentesca. Eccone un esempio: “Il suffragio universale, - egli scrive, - la giornata lavorativa di otto ore, persino la repubblica sono logicamente compatibili con l’imperialismo, benché non gli sorridano [!] e sia quindi molto difficile realizzarli”.
Non avremmo assolutamente niente contro questa espressione da Bursche: la repubblica non “sorride” all’imperialismo (una locuzione allegra può rendere talora più attraenti le discipline scientifiche!), se oltre ad essa, in un ragionamento su una questione seria, vi fosse anche l’analisi economica e politica. In P. Kievski la locuzione studentesca sostituisce l’analisi, ne maschera l’assenza.
Che vuol dire: “La repubblica non sorride all’imperialismo”? E perché questo accade?
La repubblica è una delle forme possibili di sovrastruttura politica della società capitalista e, per giunta, è la forma più democratica nelle presenti condizioni. Dire che la repubblica “non sorride” all’imperialismo significa affermare che esiste una contraddizione tra l’imperialismo e la democrazia. È assai probabile che la nostra conclusione “non sorrida”, e anzi “non sorrida affatto”, a P. Kievski, e tuttavia è incontestabile.
Ancora. Di che natura è la contraddizione tra l’imperialismo e la democrazia? È di natura logica o non logica? P. Kievski usa senza riflettere l’avverbio “logicamente” e non s’avvede quindi che tale parola gli serve, in concreto, per occultare (agli occhi e alla mente del lettore, nonché a quelli dell’autore) proprio la questione intorno a cui si è accinto a dissertare. È la questione dei rapporti tra economia e politica, la questione dei rapporti tra le condizioni economiche e il contenuto economico dell’imperialismo, da un lato, e una determinata forma politica, dall’altro. Ogni “contraddizione” che venga accertata nei ragionamenti umani è una contraddizione logica: questa è una pura tautologia. E con questa tautologia P. Kievski elude la sostanza del problema: si tratta di una contraddizione “logica” 1) tra due  fenomeni o tesi economiche? 2) tra due fenomeni o tesi politiche? 3) tra due termini, uno dei quali è economico e l’altro politico?
Ecco dove sta il nocciolo del problema, una volta che si è posta la questione dell’irrealizzabilità economica di una determinata forma politica.
Se P. Kievski non avesse eluso questa sostanza, avrebbe probabilmente notato che la contraddizione tra l’imperialismo e la repubblica è una contraddizione tra l’economia del capitalismo contemporaneo (ossia del capitalismo monopolistico) e la democrazia politica in generale. Egli infatti non potrà mai dimostrare che una grande e radicale istanza democratica (elezione dei funzionari o degli ufficiali da parte del popolo, completa libertà di associazione e di riunione, ecc.) contraddica all’imperialismo meno (o, se si vuole, gli “sorrida” di più) della repubblica.
Si ricava così la formulazione, sulla quale abbiamo insistito nelle nostre tesi: l’imperialismo contraddice, contraddice “logicamente”, a tutto il complesso della democrazia politica. A P. Kievski questa nostra tesi “non sorride”, perché demolisce la sua illogica costruzione, ma che farci? Si può forse tollerare che qualcuno, facendo mostra di respingere determinate tesi, cerchi di spacciarle di soppiatto con la frase: “La repubblica non sorride all’imperialismo”?
Ancora. Perché mai la repubblica non sorride all’Imperialismo?
E come può l’imperialismo “conciliare” la sua economia con la repubblica?
P. Kievski non ha meditato su questo punto. Gli rammentiamo le seguenti parole di Engels. Il discorso verte sulla repubblica democratica. E la questione si pone a questo modo: può la ricchezza predominare sotto tale forma di governo? È qui in causa il problema delle “contraddizioni” tra economia e politica.
Engels risponde: “...la repubblica democratica non conosce più affatto ufficialmente le differenze di possesso” (tra i cittadini). “In essa la ricchezza esercita il suo potere indirettamente, ma in maniera tanto più sicura. Da una parte nella forma della corruzione diretta dei funzionari, della quale l’America è il modello classico, dall’altra nella forma dell’alleanza tra governo e Borsa...”.
Ecco un modello di analisi economica sul problema della “realizzabilità” della democrazia in regime capitalistico, problema di cui quello della “realizzabilità” dell’autodecisione nell’epoca dell’imperialismo è solo un aspetto particolare.
La repubblica democratica contraddice “logicamente” al capitalismo, perché “ufficialmente” eguaglia il ricco e il povero. È questa una contraddizione tra la struttura economica e la sovrastruttura politica. Nel mondo imperialista si ha la stessa contraddizione, approfondita o aggravata dal fatto che la sostituzione della libera concorrenza con il monopolio rende ancor più “difficile” la realizzazione di tutte le libertà politiche.
Come si concilia il capitalismo con la democrazia? Mediante la realizzazione pratica indiretta dell’onnipotenza del capitale! I mezzi economici sono due: 1. la corruzione diretta; 2. l’alleanza del governo con la Borsa. (Nelle nostre tesi questo concetto è espresso dove si dice che in regime borghese il capitale finanziario “comprerà e corromperà “liberamente” il più libero dei governi democratici e repubblicani e i funzionari elettivi di qualsiasi paese”.)
Là dove dominano la produzione mercantile, la borghesia e il potere del denaro, la corruzione (diretta o attraverso la Borsa) è “realizzabile” sotto ogni forma di governo, in ogni democrazia.
Ci si domanda che cosa cambia, sotto questo riguardo, allorché il capitalismo viene sostituito dall’imperialismo cioè quando al capitalismo premonopolistico subentri il capitalismo monopolistico.
L’unico cambiamento è che il potere della Borsa si espande! Il capitale finanziario è infatti il capitale industriale  ingigantito, che ha assunto le dimensioni del monopolio, che si è fuso con il capitale bancario. Le grandi banche si fondono con la Borsa, assorbendola. (Nella letteratura sull’imperialismo si parla di decadenza della funzione della Borsa, ma solo nel senso che ogni grande banca è essa stessa una Borsa.)
Ancora. Se per la “ricchezza” in generale risulta pienamente realizzabile il suo predominio in ogni repubblica democratica mediante la corruzione e la Borsa, in qual modo può P. Kievski sostenere, senza cadere in una spassosa “contraddizione logica”, che la maggiore ricchezza dei trusts e delle banche, che maneggiano miliardi, non può “realizzare” il potere del capitale finanziario su una repubblica straniera, ossia politicamente indipendente?
La corruzione dei funzionari è forse “irrealizzabile” in uno Stato straniero? Oppure 1’“alleanza del governo con la Borsa” riguarda soltanto il proprio governo?
Il lettore può già vedere come, per districare e chiarire, siano occorse dieci pagine contro dieci righe di confusione. Non possiamo quindi analizzare in modo altrettanto minuzioso ogni singolo ragionamento di P. Kievski (non ce n’è uno, letteralmente uno, che non sia confuso!), e del resto non è nemmeno necessario, dal momento che si è chiarito l’essenziale..."

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