In questo scritto Lenin polemizza sulla “logica” utilizzata da
alcuni “marxisti” che considerano, per esempio, l’imperialismo una politica
e non una fase superiore del capitalismo. O la necessità di alcuni paesi
di fatto occupati "militarmente ed economicamente" di liberarsi dall’imperialismo (autodecisione
delle nazioni). O ancora l’importanza della comprensione della contraddizione
in cui è abissalmente sprofondato l’imperialismo, anche quello odierno, o il
rapporto tra “democrazia”, imperialismo e reazione!
Chiaramente, per chi ha occhi per vedere, i fenomeni descritti da
Lenin si sviluppano ancora sotto i nostri occhi ad un livello ancora più
elevato!
Ma questa “caricatura del marxismo” la possiamo vedere ancora oggi
in tanti che si definiscono comunisti.
Il testo è stato scritto tra agosto e ottobre del 1916; ne riportiamo alcuni passaggi del solo punto 3. che si trova in Opere, Editori Riuniti,
vol.23. I grassetti sono nostri:
“P.
Kievski non fa nemmeno il tentativo di accostarsi a un’analisi economica! Egli confonde l’essenza
economica dell’imperialismo con le sue tendenze politiche, come balza
evidente dal primo capoverso del primo paragrafo del suo articolo. Eccolo:
“Il capitale industriale è
stato la sintesi della produzione precapitalistica e del capitale
commerciale-usurario. Il capitale usurario si è posto al servizio di quello
industriale. Attualmente, il capitalismo supera le varie forme di capitale;
nasce così un tipo superiore,
unificato di capitale, il capitale finanziario; e quindi tutta l’epoca può chiamarsi epoca del capitale finanziario, di cui l’imperialismo è il sistema corrispondente in politica estera”.
unificato di capitale, il capitale finanziario; e quindi tutta l’epoca può chiamarsi epoca del capitale finanziario, di cui l’imperialismo è il sistema corrispondente in politica estera”.
Sul piano economico questa
definizione non vale un bel niente: alle categorie economiche rigorose sono qui
sostituite semplici frasi. Ma non possiamo per il momento indugiare su questo
punto. L’essenziale è che P. Kievski ravvisa nell’imperialismo un “sistema di
politica estera”.
Si tratta, anzitutto, della
ripetizione sostanzialmente sbagliata di un’idea sbagliata di Kautsky.
Si tratta, inoltre, di una
definizione puramente ed esclusivamente politica dell’imperialismo. Definendo l’imperialismo come un
“sistema di politica estera”, P. Kievski cerca di eludere l’analisi economica,
che egli ha promesso dicendo che l’autodecisione è “altrettanto” irrealizzabile,
ossia economicamente irrealizzabile, nell’epoca dell’imperialismo, quanto il
denaro-lavoro con la produzione di merci!
Kautsky, in polemica con la
sinistra, ha sostenuto che l’imperialismo è “soltanto un sistema di politica estera” (e, più esattamente, di annessioni) e
che è impossibile definirlo una fase economica determinata, un grado di
sviluppo, del capitalismo.
Kautsky ha torto. È evidentemente sciocco discutere sulle
“parole”. Non si può vietare che si usi il “termine” di imperialismo in questa
o quella accezione. Ma bisogna chiarirne puntualmente il concetto, se si vuole
intavolare una discussione.
Sul piano economico,
l’imperialismo (o “epoca” del capitale finanziario, non è questione di parole)
è la suprema fase di sviluppo del capitalismo, quella fase in cui la produzione
ha assunto proporzioni tali che il monopolio sostituisce la libera
concorrenza. È questa la sostanza economica dell’imperialismo.
Il monopolio si manifesta nei trusts, nei cartelli, ecc., nell’onnipotenza di
banche gigantesche, nell’accaparramento delle fonti di materie prime, ecc.,
nella concentrazione del capitale bancario, ecc. Tutto consiste nel monopolio
economico.
La sovrastruttura politica
di questa nuova economia, del capitalismo monopolistico (l’imperialismo è
capitalismo monopolistico), consiste nel trapasso dalla democrazia alla reazione
politica. Alla libera
concorrenza corrisponde la democrazia. Al monopolio corrisponde la reazione
politica. “Il capitale finanziario aspira alla supremazia e non alla libertà”,
dice giustamente R. Hilferding nel suo Capitale finanziario.
Isolare la “politica estera”
dalla politica in generale o, peggio, contrapporre la politica estera a quella
interna significa enunciare una idea radicalmente sbagliata, non marxista, non
scientifica. Tanto nella
politica estera quanto in quella interna l’imperialismo tende a violare la
democrazia, tende alla reazione. In questo senso, è incontestabile che
l’imperialismo è “negazione” della democrazia in generale, di tutta la
democrazia, e non già solo di una sua rivendicazione:
l’autodecisione delle nazioni.
Essendo “negazione” della
democrazia, l’imperialismo “nega” allo stesso modo la
democrazia nella questione nazionale (ossia l’auto-decisione delle nazioni):
“allo stesso modo”, tende cioè a violarla. L’autodecisione è più difficile da
realizzare nell’epoca dell’imperialismo, esattamente nella stessa misura e
nello stesso senso in cui sono difficili da realizzare in quest’epoca (rispetto
a quella del capitalismo premonopolistico) la repubblica, la milizia,
l’elezione dei funzionari da parte del popolo, ecc. Non si può quindi parlare
di irrealizzabilità “economica”.
P. Kievski (a parte la sua
generale incomprensione delle esigenze dell’analisi economica) è stato forse
tratto in errore anche dalla circostanza che, per i filistei, l’annessione
(ossia l’incorporamento di un territorio straniero, nonostante la volontà dei
suoi abitanti, ossia la violazione dell’autodecisione delle nazioni) è
l’equivalente dell’“allargamento” (espansione) del capitale finanziario su un
territorio economico più esteso.
Ma non si possono affrontare le
questioni teoriche con i criteri del filisteismo.
L’imperialismo è, sul piano
economico, il capitalismo monopolistico. Perché il monopolio sia completo, bisogna espellere i
concorrenti non solo dal mercato interno (dal mercato di un dato paese), ma
anche da quello estero, da tutto il mondo. Esiste, “nell’epoca del capitale
finanziario”, la possibilità economica di soppiantare la
concorrenza anche in uno Stato straniero? Non v’è dubbio che tale mezzo esiste:
è la soggezione finanziaria e l’accaparramento delle fonti di materie prime,
nonché in seguito di tutte le aziende, del concorrente.
I trusts americani sono
l’espressione suprema dell’economia imperialista o del capitalismo
monopolistico. Per eliminare i concorrenti, i trusts non si accontentano dei
soli mezzi economici, ma ricorrono di continuo a mezzi politici e persino a
quelli criminali. Ma sarebbe un gravissimo errore ritenere economicamente
irrealizzabile il monopolio dei trusts con mezzi di lotta puramente economici.
Viceversa, la realtà mostra ad ogni passo che la cosa è del tutto
“realizzabile”: i trusts minano il credito dei concorrenti attraverso la
mediazione delle banche (i padroni dei trusts sono padroni delle banche: se ne
accaparrano le azioni); i trusts sabotano i trasporti delle materie prime
destinate ai concorrenti (i padroni dei trusts sono padroni delle ferrovie: ne
accaparrano le azioni); i trusts riducono temporaneamente i prezzi al di sotto
del costo di produzione, sacrificando milioni, per sgominare i concorrenti
e accaparrarne le aziende, le fonti di materie prime (miniere,
terra, ecc.).
Ecco un’analisi puramente economica del potere dei trusts e della
loro espansione. Ecco una strada puramente economica per l’espansione: l’accaparramento delle
aziende, degli stabilimenti, delle fonti di materie prime.
Il grande capitale finanziario
di un paese può sempre soppiantare i suoi concorrenti, persino se appartengono
ad un paese straniero politicamente indipendente, e in realtà li soppianta
sempre. Si tratta di un mezzo economico pienamente applicabile. L’“annessione”
economica è pienamente “realizzabile” senza annessione politica, e
si verifica di continuo. Nella letteratura sull’imperialismo si trovano a
ogni passo indicazioni come: l’Argentina è di fatto una “colonia commerciale”
dell’Inghilterra; il Portogallo è di fatto un “vassallo” dell’Inghilterra, ecc.
È vero: la soggezione economica alle banche inglesi, l’indebitamento nei
confronti dell’Inghilterra, l’accaparramento da parte inglese delle ferrovie,
delle terre, delle miniere, ecc. trasformano questi paesi in “annessioni”
economiche dell’Inghilterra, senza che risulti violata la loro indipendenza
politica.
Si chiama autodecisione delle
nazioni la loro indipendenza politica. L’imperialismo aspira a distruggerla,
perché con l’annessione politica quella economica è spesso più agevole, meno
costosa (è più facile corrompere i funzionari, ottenere concessioni, far
promulgare una legge vantaggiosa, ecc.), meno complicata e più tranquilla; allo
stesso modo l’imperialismo tende a sostituire la democrazia in genere con
l’oligarchia. Ma parlare di “irrealizzabilità” economica dell’autodecisione
nell’epoca dell’imperialismo è semplicemente assurdo!”
P. Kievski elude le difficoltà teoriche ricorrendo a un metodo
oltremodo semplice e superficiale, che in tedesco si chiama linguaggio
“da Bursche”, ossia studentescamente semplicistico,
grossolano, usuale (e naturale) nell’ambiente della gozzoviglia studentesca.
Eccone un esempio: “Il suffragio universale, - egli scrive, - la giornata
lavorativa di otto ore, persino la repubblica sono logicamente compatibili
con l’imperialismo, benché non gli sorridano [!] e sia quindi molto difficile
realizzarli”.
Non avremmo assolutamente
niente contro questa espressione da Bursche: la repubblica non
“sorride” all’imperialismo (una locuzione allegra può rendere talora più
attraenti le discipline scientifiche!), se oltre ad essa, in
un ragionamento su una questione seria, vi fosse anche l’analisi economica e
politica. In P. Kievski la locuzione studentesca sostituisce l’analisi, ne
maschera l’assenza.
Che vuol dire: “La repubblica
non sorride all’imperialismo”? E perché questo accade?
La repubblica è una delle
forme possibili di sovrastruttura politica della società capitalista e, per
giunta, è la forma più democratica nelle presenti condizioni. Dire che la repubblica “non sorride”
all’imperialismo significa affermare che esiste una contraddizione tra
l’imperialismo e la democrazia. È assai probabile che la nostra conclusione
“non sorrida”, e anzi “non sorrida affatto”, a P. Kievski, e tuttavia è
incontestabile.
Ancora. Di che natura è la
contraddizione tra l’imperialismo e la democrazia? È di natura logica o non
logica? P. Kievski usa senza riflettere l’avverbio “logicamente” e non s’avvede
quindi che tale parola gli serve, in concreto, per occultare (agli
occhi e alla mente del lettore, nonché a quelli dell’autore) proprio la
questione intorno a cui si è accinto a dissertare. È la questione dei
rapporti tra economia e politica, la questione dei rapporti tra le condizioni
economiche e il contenuto economico dell’imperialismo, da un lato, e una
determinata forma politica, dall’altro. Ogni “contraddizione” che venga
accertata nei ragionamenti umani è una contraddizione logica: questa è una pura
tautologia. E con questa tautologia P. Kievski elude la sostanza del
problema: si tratta di una contraddizione “logica” 1) tra due fenomeni o
tesi economiche? 2) tra due fenomeni o tesi politiche? 3)
tra due termini, uno dei quali è economico e l’altro politico?
Ecco dove sta il nocciolo del
problema, una volta che si è posta la questione dell’irrealizzabilità economica
di una determinata forma politica.
Se P. Kievski non avesse eluso
questa sostanza, avrebbe probabilmente notato che la contraddizione tra
l’imperialismo e la repubblica è una contraddizione tra l’economia del
capitalismo contemporaneo (ossia del capitalismo monopolistico) e la democrazia
politica in generale. Egli infatti non potrà mai dimostrare che una grande e
radicale istanza democratica (elezione dei funzionari o degli ufficiali da
parte del popolo, completa libertà di associazione e di riunione, ecc.)
contraddica all’imperialismo meno (o, se si vuole, gli “sorrida” di più) della
repubblica.
Si ricava così la formulazione,
sulla quale abbiamo insistito nelle nostre tesi:
l’imperialismo contraddice, contraddice “logicamente”, a tutto il
complesso della democrazia politica. A P. Kievski questa nostra tesi
“non sorride”, perché demolisce la sua illogica costruzione, ma che farci? Si
può forse tollerare che qualcuno, facendo mostra di respingere determinate
tesi, cerchi di spacciarle di soppiatto con la frase: “La repubblica non
sorride all’imperialismo”?
Ancora. Perché mai la
repubblica non sorride all’Imperialismo?
E come può l’imperialismo
“conciliare” la sua economia con la repubblica?
P. Kievski non ha meditato su
questo punto. Gli rammentiamo le seguenti parole di Engels. Il discorso
verte sulla repubblica democratica. E la questione si pone a questo modo: può
la ricchezza predominare sotto tale forma di governo? È qui in causa il
problema delle “contraddizioni” tra economia e politica.
Engels risponde: “...la
repubblica democratica non conosce più affatto ufficialmente le differenze di
possesso” (tra i cittadini). “In essa la ricchezza esercita il suo potere
indirettamente, ma in maniera tanto più sicura. Da una parte nella forma
della corruzione diretta dei funzionari, della quale l’America è il modello
classico, dall’altra nella forma dell’alleanza tra governo e Borsa...”.
Ecco un modello di analisi
economica sul problema della “realizzabilità” della democrazia in regime
capitalistico, problema di cui quello della “realizzabilità” dell’autodecisione
nell’epoca dell’imperialismo è solo un aspetto particolare.
La repubblica democratica contraddice “logicamente” al capitalismo,
perché “ufficialmente” eguaglia il ricco e il povero. È questa una
contraddizione tra la struttura economica e la sovrastruttura politica. Nel
mondo imperialista si ha la stessa contraddizione, approfondita o aggravata dal
fatto che la sostituzione della libera concorrenza con il monopolio rende ancor
più “difficile” la realizzazione di tutte le libertà politiche.
Come si concilia il capitalismo con la democrazia? Mediante la
realizzazione pratica indiretta dell’onnipotenza del capitale! I mezzi economici
sono due: 1. la corruzione diretta; 2. l’alleanza del governo con la Borsa.
(Nelle nostre tesi questo concetto è espresso dove si dice che in regime
borghese il capitale finanziario “comprerà e corromperà “liberamente” il più
libero dei governi democratici e repubblicani e i funzionari elettivi di
qualsiasi paese”.)
Là dove dominano la
produzione mercantile, la borghesia e il potere del denaro, la corruzione
(diretta o attraverso la Borsa) è “realizzabile” sotto ogni forma di governo,
in ogni democrazia.
Ci si domanda che cosa cambia,
sotto questo riguardo, allorché il capitalismo viene sostituito
dall’imperialismo cioè quando al capitalismo premonopolistico subentri il
capitalismo monopolistico.
L’unico cambiamento è che il
potere della Borsa si espande! Il capitale finanziario è infatti il capitale industriale
ingigantito, che ha assunto le dimensioni del monopolio, che si è fuso
con il capitale bancario. Le grandi banche si fondono con la Borsa,
assorbendola. (Nella letteratura sull’imperialismo si parla di decadenza della
funzione della Borsa, ma solo nel senso che ogni grande banca è essa stessa una
Borsa.)
Ancora. Se per la “ricchezza”
in generale risulta pienamente realizzabile il suo predominio in ogni
repubblica democratica mediante la corruzione e la Borsa, in qual modo può P.
Kievski sostenere, senza cadere in una spassosa “contraddizione logica”, che la
maggiore ricchezza dei trusts e delle banche, che maneggiano miliardi, non può
“realizzare” il potere del capitale finanziario su una repubblica straniera,
ossia politicamente indipendente?
La corruzione dei funzionari è
forse “irrealizzabile” in uno Stato straniero? Oppure 1’“alleanza del governo
con la Borsa” riguarda soltanto il proprio governo?
Il lettore può già vedere come,
per districare e chiarire, siano occorse dieci pagine contro dieci righe di
confusione. Non possiamo quindi analizzare in modo altrettanto minuzioso ogni
singolo ragionamento di P. Kievski (non ce n’è uno, letteralmente uno, che non
sia confuso!), e del resto non è nemmeno necessario, dal momento che si è
chiarito l’essenziale..."
Nessun commento:
Posta un commento