mercoledì 22 aprile 2020

pc 22 aprile - LENIN: la questione della tattica nella rivoluzione proletaria

“Bisogna saper integrare e correggere le vecchie ‘formule’ del bolscevismo, per esempio; perché se si sono rivelate giuste in generale, la loro applicazione concreta è risultata differente. Nessuno aveva mai pensato, né poteva pensare – ad esempio – al dualismo del potere” 
V. I. Lenin, Lettere sulla tattica [aprile 1917], in Sulla rivoluzione socialista, Edizioni Progress, Mosca 1979, p. 116.

Lettere sulla Tattica
Vladimir Lenin (1917)
Scritta tra l'8 e il 13 (21 e 26) aprile 1917
Pubblicata in opuscolo per le edizioni "Pribol", Pietrogrado, nell'aprile 1917

Prefazione
Sul tema indicato nel titolo, ho dovuto tenere a Pietrogrado un rapporto, il 4 aprile 1917, dapprima in una riunione di bolscevichi, delegati alla Conferenza panrussa dei Soviet dei deputati degli operai e
dei soldati, che, dovendo ripartire, non potevano concedermi alcuna dilazione. Alla fine della riunione il compagno G. Zinov'ev, che presiedeva, mi ha proposto a nome dell'assemblea di ripetere subito il mio rapporto in una riunione di delegati bolscevichi e menscevichi che desideravano discutere la questione dell'unificazione del Partito operaio socialdemocratico di Russia.

Benché mi fosse difficile ripetere subito il mio rapporto, non ho ritenuto di avere il diritto di rifiutare ciò che mi chiedevano i miei compagni e i menscevichi che, a causa dell'imminente partenza, non potevano concedermi rinvii.

Nel corso della relazione ho riletto le mie tesi [1], pubblicate nel n° 26 della Pravda, il 17 aprile 1917 [*1].

Le tesi e il rapporto hanno suscitato dissensi tra gli stessi bolscevichi e persino nella redazione della Pravda. Dopo varie riunioni siamo pervenuti all'unanime conclusione che era più opportuno discutere apertamente questi dissensi, fornendo così elementi per la conferenza panrussa del nostro partito (Partito operaio socialdemocratico di Russia, unificato dal Comitato centrale), convocata per il 20 aprile 1917 a Pietrogrado.

In conformità con questa decisione pubblico le lettere che seguono, senza pretendere di esaminare la questione in tutti i suoi aspetti, ma segnalando unicamente gli argomenti principali, che hanno particolare importanza sotto il profilo dei compiti pratici del movimento della classe operaia.

Lettera Prima
Valutazione del momento attuale

Il marxismo esige da noi una valutazione esatta e oggettivamente controllabile dei rapporti tra le classi e delle particolarità specifiche di ogni momento storico. Noi bolscevichi ci siamo sempre sforzati di rimanere fedeli a questa istanza che è assolutamente indispensabile per ogni politica scientificamente fondata.

"La nostra dottrina non è un dogma, ma una guida per l'azione" [2], hanno sempre sostenuto Marx ed Engels, burlandosi a ragione delle "formule" imparate a memoria e ripetute meccanicamente, le quali, nel migliore dei casi, possono tutt'al più indicare i compiti generali che vengono di necessità modificati dalla situazione economica e politica concreta di ciascuna fase particolare del processo storico.

Quali sono dunque i fatti oggettivi, rigorosamente accertati, sulla cui base il partito del proletariato rivoluzionario deve oggi orientarsi per determinare gli obiettivi e le forme della sua azione?

Nella mia prima Lettera da lontano (La prima fase della prima rivoluzione), pubblicata nella Pravda, nn. 14 e 15 del 21 e del 22 marzo 1917 e nelle mie tesi ho definito "L'originalità del momento attuale in Russia" come una fase di transizione dalla prima alla seconda tappa della rivoluzione. Ho ritenuto pertanto che la parola d'ordine fondamentale, il "compito del giorno", dovesse essere così formulata in quel momento: "Operai, avete compiuto miracoli di eroismo proletario, popolare, nella guerra civile contro lo zarismo; dovete adesso compiere miracoli nell'organizzazione del proletariato e di tutto il popolo per preparare la vostra vittoria nella seconda fase della rivoluzione" (Pravda, n° 15)

In che cosa consiste la prima fase?
Nel passaggio del potere statale alla borghesia.

Prima della rivoluzione del febbraio-marzo 1917, il potere dello Stato apparteneva in Russia ad una vecchia classe, alla nobiltà terriera feudale capeggiata da Nicola Romanov.
Dopo questa rivoluzione il potere è passato ad un'altra classe, a una classe nuova, alla borghesia.
Il passaggio del potere statale, da una classe ad un'altra è il primo segno, il carattere principale, fondamentale, di una rivoluzione, sia nel senso rigorosamente scientifico che nel senso pratico-politico del termine.

Pertanto la rivoluzione borghese o democratico-borghese è già terminata in Russia.

Sentiamo levarsi qui la protesta dei contraddittori ai quali piace chiamarsi "vecchi bolscevichi": non abbiamo sempre detto che la rivoluzione democratica borghese può essere portata a termine solo dalla "dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini"? e la rivoluzione agraria, che è anch'essa democratica borghese, è forse terminata? non è invece un fatto che essa non è ancora cominciata?

Rispondo: le idee e le parole d'ordine dei bolscevichi sono state interamente confermate dalla storia nel loro insieme, ma in concreto le cose sono andate in maniera diversa da quanto io (o qualunque altro) potevo prevedere, si sono cioè svolte in modo più originale, peculiare e vario.

Ignorare, dimenticare questo fatto significherebbe porsi sul piano di quei "vecchi bolscevichi" che più d'una volta hanno avuto una triste funzione nella storia del nostro partito, ripetendo stolidamente una formula imparata a memoria invece di studiare quanto vi era di originale nella nuova e vivente realtà.

La "dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini" è già un fatto [*2] nella rivoluzione russa, poiché questa "formula" prevede soltanto un rapporto tra le classi, e non un'istituzione politica concreta che realizzi questo rapporto e questa collaborazione. Il "Soviet dei deputati degli operai e dei soldati" è la "dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini" già realizzata dalla vita.

Questa formula è ormai invecchiata. La vita l'ha trasferita dal regno delle formule in quello della realtà, le ha dato carne e sangue, l'ha concretata e per ciò stesso modificata.

All'ordine del giorno si pone adesso un compito diverso, un compito nuovo: la scissione, all'interno di questa dittatura, tra gli elementi proletari (antidifensisti, internazionalisti, "comunisti", fautori del passaggio alla Comune) e gli elementi piccolo proletari o piccolo-borghesi (Ckheidze, Tsereteli, Steklov, i socialisti-rivoluzionari e tutti gli altri difensisti rivoluzionari che avversano il movimento verso la Comune e propugnano l' "appoggio" alla borghesia e al governo borghese).

Chi parla oggi soltanto della "dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini" è in ritardo sulla vita e di conseguenza è passato di fatto nel campo della piccola borghesia, contro la lotta di classe proletaria, e merita di essere relegato nell'archivio delle curiosità "bolsceviche" prerivoluzionarie (si potrebbe dire, nell'archivio dei "vecchi bolscevichi").

La dittatura democratica del proletariato e dei contadini è già realizzata, ma in modo molto originale, con una serie di modificazioni della massima importanza. Ne parlerò specificamente in una delle mie prossime lettere. Per il momento basterà assimilare l'innegabile verità che il marxista deve tener conto della vita concreta, dei fatti precisi della realtà, e non abbarbicarsi alla teoria di ieri, che, come ogni teoria, indica nel migliore dei casi soltanto il fondamentale, il generale, si approssima soltanto a cogliere la complessità della vita.

"Grigia è la teoria, amico mio, ma verde è l'albero eterno della vita" [3].

Chi pone il problema del "compimento" della rivoluzione borghese alla vecchia maniera, sacrifica il marxismo vivente alla lettera morta.

La vecchia formula era: al dominio della borghesia può e deve seguire il dominio del proletariato e dei contadini, la loro dittatura.

Ma nella vita reale è già andata diversamente: si è avuto un intreccio estremamente originale, nuovo, senza precedenti dell'uno e dell'altro dominio. Infatti esistono, l'uno accanto all'altro, insieme, simulataneamente, e il dominio della borghesia (governo Lvov-Guckov) e la dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini, che cede volontariamente il potere alla borghesia e si trasforma volontariamente in una sua appendice.

Non bisogna infatti dimenticare che nella pratica a Pietrogrado il potere è nelle mani degli operai e dei soldati e che contro di essi il nuovo governo non ricorre e non può ricorrere alla violenza, perché non esistono né una polizia né un esercito distinti dal popolo e neanche una burocrazia onnipotente al di sopra del popolo. Questo è un fatto. Un fatto che caratterizza appunto uno Stato del tipo della Comune di Parigi. Un fatto che non s'inquadra nei vecchi schemi. Bisogna saper adattare gli schemi alla vita e non ripetere parole prive ormai di senso sulla "dittatura del proletariato e dei contadini" in generale.

Esaminiamo la questione da un altro lato, per chiarirla meglio.

Il marxista non deve mai abbandonare il solido terreno dell'analisi dei rapporti di classe. Al potere c'è la borghesia. Ma i contadini non sono anch'essi una borghesia d'un altro strato, d'un altro genere, d'un altro carattere? Da che cosa si deduce che questo strato non può arrivare al potere "portando a termine" la rivoluzione democratica borghese? Perché questo sarebbe impossibile?

Così ragionano spesso i vecchi bolscevichi.

Rispondo che questo è perfettamente possibile. Ma il marxista, per valutare una situazione, deve procedere dal reale e non dal possibile.

Ora, la realtà ci addita il fatto che i deputati dei contadini e dei soldati, liberamente eletti, entrano liberamente nel secondo governo, nel governo collaterale, lo integrano, lo sviluppano e lo perfezionano liberamente, e, non meno liberamente, cedono il potere alla borghesia: fatto che non "contrasta" in alcun modo con la teoria marxista, perché noi abbiamo sempre saputo e indicato più volte che la borghesia rimane al potere non soltanto con la violenza, ma anche in virtù dell'incoscienza, dell'abitudinarismo, della passività e della disorganizzazione delle masse.

Ed è davvero ridicolo, dinanzi alla realtà di oggi, lasciar da parte i fatti e parlare delle "possibilità".

è possibile che i contadini prendano tutte le terre e tutto il potere. Non solo non dimentico questa eventualità e non circoscrivo all'oggi il mio orizzonte, ma formulo esattamente e con chiarezza il programma agrario, tenendo conto di un nuovo fenomeno: l'approfondirsi della scissione tra gli operai agricoli e i contadini poveri, da una parte, e i contadini-proprietari, dall'altra.

Ma esiste anche una diversa possibilità: i contadini possono dare ascolto ai consigli del partito socialista-rivoluzionario, partito piccolo-borghese soggetto all'influenza dei borghesi e schierato nel campo dei difensisti, il quale raccomanda ai contadini di aspettare fino all'Assemblea costituente, benché sino ad oggi non sia stata fissata ancora nemmeno la data della sua convocazione! [*3]

è possibile che i contadini mantengano e prolunghino il compromesso con la borghesia, compromesso che hanno ora concluso non solo formalmente, ma anche di fatto attraverso i Soviet dei deputati degli operai e dei soldati.

Le possibilità sono diverse. Sarebbe un gravissimo errore dimenticare il movimento e il programma agrario. Ma sarebbe un errore non meno grave dimenticare la realtà, che ci addita l'esistenza di un accordo o, per usare un'espressione più esatta, meno giuridica, più economico-classista, l'esistenza di una collaborazione di classe tra la borghesia e i contadini.

Quando questo fatto cesserà di essere un fatto, quando i contadini si separeranno dalla borghesia, s'impadroniranno della terra contro di essa e prenderanno il potere contro di essa, allora avrà inizio una nuova fase della rivoluzione democratica borghese, della quale tratteremo a parte.

Il marxista che, di fronte all'eventualità di questa fase futura, dimentichi i suoi doveri di oggi, del momento in cui i contadini si accordano con la borghesia, diventerebbe un piccolo borghese. Di fatto predicherebbe al proletariato la fiducia nella piccola borghesia ("questa piccola borghesia, questa popolazione contadina, deve separarsi dalla borghesia nel quadro stesso della rivoluzione democratica borghese"). La "possibilità" di un avvenire dolce e gradevole, in cui i contadini non saranno più a rimorchio della borghesia e in cui i socialisti-rivoluzionari, Ckheidze, Tsereteli, Steklov, non saranno più un'appendice del governo borghese, la "possibilità" di questo gradevole avvenire gli farebbe dimenticare lo sgradevole presente, in cui i contadini sono ancora a rimorchio della borghesia e in cui i socialisti-rivoluzionari e i socialdemocratici sono ancora un'appendice del governo borghese, l'opposizione di "sua maestà" [4] Lvov.

Questo ipotetico personaggio rassomiglierebbe ad un mellifluo Louis Blanc, a un dolciastro kautskiano, ma in nessun caso ad un marxista rivoluzionario.

Non si rischia però di cadere nel soggettivismo quando si desidera "saltare" dalla rivoluzione democratica borghese ancora incompiuta - che non ha superato il movimento contadino - alla rivoluzione socialista?

Se dicessi: "Niente zar, ma un governo operaio" [5], incorrerei in questo pericolo. Ma io non dico questo, dico tutt'altra cosa, dico che non vi può essere in Russia altro governo (escluso il governo borghese) se non i Soviet dei deputati degli operai, dei salariati agricoli, dei soldati e dei contadini. Dico che oggi in Russia il potere può passare da Guckov e Lvov soltanto a questi Soviet, nei quali predominano appunto i contadini, i soldati, predomina la piccola borghesia, per usare un termine marxista, scientifico, per usare una definizione di classe e non un'espressione corrente, filistea e puramente professionale.

Nelle mie tesi mi sono ben premunito contro ogni tentativo di saltare al di sopra del movimento contadino o piccolo-borghese in generale, che non ha ancora esaurito tutte le sue possibilità, contro ogni tentativo di giocare alla "presa del potere" da parte di un governo operaio, contro ogni avventura blanquista, perché mi sono richiamato espressamente all'esperienza della Comune di Parigi. E quell'esperienza, come è noto e come Marx ha esaurientemente dimostrato nel 1871 e Engels nel 1891 [6], escluse del tutto il blanquismo, garantì il dominio diretto, immediato e incondizionato della maggioranza e l'iniziativa delle masse soltanto nella misura in cui questa massa intervenne coscientemente.

Nelle mie tesi ho ricondotto tutto, nel modo più esplicito, alla lotta per l'influenza all'interno dei Soviet dei deputati degli operai, dei salariati agricoli, dei contadini e dei soldati. E, per non lasciare in proposito nemmeno l'ombra di un dubbio, nelle tesi ho sottolineato due volte la necessità di un lavoro di "spiegazione", paziente e tenace, che "si conformi ai bisogni pratici delle masse".

Gli ignoranti o i rinnegati del marxismo, come il signor Plekhanov e i suoi simili, possono gridare all'anarchia, al blanquismo, ecc. Chi vuole invece riflettere e imparare non può non capire che il blanquismo è la presa del potere da parte di una minoranza, mentre i Soviet dei deputati operai, ecc., sono notoriamente l'organizzazione diretta e immediata della maggioranza del popolo. Un'azione ricondotta alla lotta per assicurare la propria influenza all'interno dei Soviet non può, non può assolutamente, portare nel pantano del blanquismo. E non può condurre neanche sul pantano dell'anarchismo, poiché l'anarchismo è la negazione della necessità dello Stato e del potere statale nel periodo di transizione dal dominio della borghesia al dominio del proletariato. Io sostengo invece, con una chiarezza che esclude qualsiasi possibilità di malinteso, la necessità dello Stato in questo periodo, però, d'accordo con Marx e con l'esperienza della Comune di Parigi, non di uno Stato parlamentare borghese ordinario, ma di uno Stato senza esercito permanente, senza una polizia opposta al popolo, senza una burocrazia posta al di sopra del popolo.

Se il signor Plekhanov, nel suo Edinstvo, grida con tutte le sue forze all'anarchia, non fa che dare ancora una prova della sua rottura con il marxismo. Alla mia sfida, pubblicata nella Pravda, a dirci che cosa Marx ed Engels hanno insegnato riguardo allo Stato, nel 1871, nel 1872 e nel 1875, il signor Plekhanov è e sarà sempre costretto a replicare col silenzio sull'importanza della questione e con strepiti degni di un borghese esasperato.

L'ex marxista signor Plekhanov non ha compreso affatto la teoria marxista dello Stato. I germi di questa incomprensione sono visibili del resto nella sua incomprensione sono, del resto, visibili nel suo opuscolo in tedesco sull'anarchismo.

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