Il 21 giugno del 1978 un reparto della clinica ostetrica del Policlinico di Roma viene occupato da un gruppo di compagne assieme ad alcuni lavoratori del complesso e alle donne in attesa di interrompere la gravidanza.
La scelta del luogo
non è casuale: si tratta infatti del reparto fino a poco tempo prima
riservato ai clienti “di riguardo” di alcuni personaggi di spicco
del Policlinico che sposavano la logica di un’assistenza
ospedaliera di prima e seconda classe. Il reparto, chiuso ed
inutilizzato ormai da un paio di anni, viene dunque occupato per far
fronte all’esigenza di uno spazio in cui le donne possano
affrontare consapevolmente la scelta dell’aborto... Per i collettivi femministi protagonisti dell’occupazione la scelta
è tutt’altro che lineare o libera da dubbi in quanto cozza
fortemente con una realtà controversa, quella della neonata legge
194 sull’aborto. Una legge che trasforma l’interruzione di
gravidanza in una mera trafila ambulatoriale, in qualcosa di cui
bisogna continuare a vergognarsi un po’ e che, tramite lo strumento
dell’obiezione di coscienza, lascia ampi margini per la sua non
applicazione.... In breve
l’azione del Collettivo si allarga dall’ambito dell’interruzione
di gravidanza a quello più generale della sfera della salute delle
donne (anche i parti, ad esempio, avvenivano spesso in condizioni
pessime, con mancanza di strumenti adatti e pressioni psicologiche
sulla madre). Passare attraverso la clinica occupata è fattore di
crescita politica e soggettivizzazione anche per le donne esterne al
Collettivo: lottare per l’aborto vuol dire rendere complessiva ogni
lotta per chiedere salario, per chiedere potere. L’esperienza ha
grande eco e risalto mediatico e comincia ad infastidire alcuni
Baroni e “luminari” del Policlinico... il Professor Marcelli nel mese di Settembre, dopo una riunione con alcuni colleghi, decide di richiedere l’intervento
della polizia per sgomberare la clinica e mettere fino al progetto
del Collettivo Policlinico. Il 25 Settembre del ’78, dopo più di
tre mesi di occupazione, la polizia irrompere nel reparto e mette
fine a questa esperienza, dando però un segno inequivocabile di
quanto quel percorso costituisse una lotta reale e fastidiosa per
certi poteri forti e dando di fatto a tante donne nuova forza per
future mobilitazioni. (da InfoAut)
di Infosex
... Al Policlinico si
susseguono riunioni e incontri con i collettivi femministi del
quartiere. Il 21
GIUGNO del 1978
viene occupato il Repartino... Con le
femministe capaci di attivare il metodo
Karman,
e il dottor Enzo Maiorana che garantisce l’accettazione delle prime
4 donne che devono abortire, si attiva il reparto di interruzione di
gravidanza. Il policlinico Umberto 1 è il primo ospedale romano che,
attraverso l’occupazione di un reparto inutilizzato ma funzionante,
impone l’aborto gratuito e autogestito. Gli altri ospedali romani,
come il San Giovanni o il San Camillo, non furono in grado di fare
un’occupazione vera e propria e i collettivi femministi aprirono
trattative con le direzioni sanitarie.
Graziella
Bastelli,
tra le protagoniste dell’occupazione al Policlinico, in
un’intervista rilasciata nel 21 Febbraio 2006 ricorda: «Nel 1978
la Legge 194 suscitò tante discussioni all’interno dei movimenti
femministi, soprattutto perché perpetuava un controllo sulle donne e
perché prevedeva la settimana di attesa in cui si invitavano le
donne a riflettere sull’azione che si apprestavano a compiere […]
Ma dopo un momento iniziale di sconcerto, era chiaro ai più che la
194 c’era e andava applicata. Il Repartino nasceva con lo slogan
‘abortiamo
per non abortire più’,
per dare massimo risalto alle lotte per l’autodeterminazione delle
donne, per la gestione della propria sessualità e per la scelta
della temporalità legata alla propria maternità. Ho cominciato come
studentessa di medicina e sono entrata nel collettivo a 20 anni. Ho
fatto esperienza del Repartino a 27 anni. Noi del Policlinico avevamo
bisogno di concretizzare e venivamo criticati come poco teorici. Ma
all’epoca c’erano i giusti rapporti di forza per passare dalla
teoria alla prassi, e il Repartino è stata una esperienza
ricchissima»...
LA NASCITA DEL
REPARTINO: La
storia del Repartino di aborti autogestiti del Policlinico è una
storia emblematica: di gioia, lotta e conquista. Dal punto di vista
umano, il fattore aggregante e la solidarietà tra categorie di
lavoratori e lavoratrici con le utenze della struttura sanitaria è
il valore aggiunto, a cui aspirano da anni le proteste degli
“autonomi” del Policlinico: cambiare il rapporto con il paziente,
che da spettatore passivo deve divenire attore consapevole e quindi
‘attivo’ di quanto si muove sulla sua pelle. Infatti, grazie
anche al sostegno di collettivi femministi come quello di San Lorenzo
con Simonetta Tosi, il Repartino degli aborti, nella sua fase
autogestita, non fu solo un contesto medico e medicalizzato nel suo
operato, quanto piuttosto un punto di riferimento per le donne che
dovevano abortire o avevano abortito, attraverso assemblee quotidiane
e incontri sulla prevenzione. Sul terreno della pratica della lotta
dal basso e quello della conquista l’esperienza del Repartino
permise:
- quartiere di San Lorenzo e un collettivo misto di operatori sanitari, arrivando ad una condivisione di agiti che, nell’applicazione di una legge piena di contraddizioni e illegalità legalizzate, ne imponeva l’applicazione con una gestione totale da parte dell’utenza, ovvero delle DONNE;
- di dare senso e contenuti all’autodeterminazione tramite l’ascolto dei bisogni soggettivi e collettivi per offrire salute e benessere, libertà di scelta nell’essere madre e donna, conoscenze
sul corpo e sulla sessualità intesa anche e principalmente come piacere. Il tutto in una struttura sanitaria pubblica professionale e di qualità fatta dalle donne per le donne; - di mettere in evidenza l’ipocrisia di chi aveva “partorito” questa legge per NON applicarla e farla applicare. Sicuri che l’obiezione di coscienza, i vari passaggi burocratici che penalizzavano e colpevolizzavano le donne, la mancanza/carenza di finanziamenti, di spazi e di operatori nelle strutture sanitarie, avrebbero lasciato solo sulla carta questa legge voluta con lotte e mobilitazioni dalle donne. Venne inoltre messa in luce l’ipocrisia del potere ecclesiastico e medico che doveva mantenere i profitti nelle cliniche e negli studi privati che si erano arricchiti con gli aborti clandestini;
- di chiarire che l’occupazione e l’autogestione di un repartino IVG, a pochi giorni da una legge nazionale, non poteva essere riportata alla “normalità” e strumentalizzata dalle strutture pubbliche che lo dovevano garantire, perché era una provocazione nei confronti della loro assenza e perché era nata chiarendo che non avrebbe sostituito quello che loro dovevano attivare in tutti gli ospedali e con precise indicazioni: applicazione del metodo Karman, ovvero dell’aspirazione, perché meno medico, meno violento e meno invasivo del raschiamento, imparando questa nuova pratica dalle compagne femministe che, negli anni precedenti erano state l’unica alternativa ai “viaggi della speranza” in Inghilterra e alle mammane nostrane;
- di imporre che l’occupazione del Repartino potesse favorire l’estensione delle pratiche oltre quello stesso servizio. Nelle sale parto contro le violenze ostetriche e la disumanizzazione dei suoi spazi; negli ambulatori con le lunghe liste di attesa; nei reparti ostetrico-ginecologici pretendendo un reparto per le puerpere e più personale; in riferimento al nido tanto distante dalla sala parto che costringeva le donne che avevano partorito con il cesareo a non poter vedere e allattare i propri figli per 24/48 se non avevano un familiare che le accompagnava con una delle rare sedie a rotelle della clinica; nella denuncia costante dei medici obiettori del Policlinico (il 99%) che lavoravano nel privato clandestino. Tutti gli spazi e l’offerta sanitaria venivano controllati, perché l’OCCUPAZIONE del Repartino aveva la precisa progettualità di concretizzare una sanità pubblica gestita dall’utenza e dove i medici non erano i detentori di un potere scientifico sui corpi passivi di chi richiedeva ascolto, prevenzione, cure, rispetto, ma semplici persone che condividevano con altre le loro conoscenze...
VITA DI
REPARTINO: L’approvazione
della Legge 194 fu il risultato di un compromesso che le donne non
accettarono facilmente, nonostante si richiedesse a gran voce
l’urgenza di una legge sull’aborto. Le donne, attraverso le lotte
e il referendum, rivendicavano la loro libertà di scelta e
l’annullamento del mercato clandestino di aborti. La Legge
194
tradì entrambe le aspettative sotto diversi punti di vista. Per
questo il Repartino occupato fu un tentativo concreto per misurarsi
con tutti i diversi bisogni delle donne, facendo i conti con le
contraddizioni che dovevamo affrontare. Con l’introduzione
dell’aspetto della prevenzione, quello dell’ “abortire per non
abortire più”, si caricò di un forte senso di solidarietà e
confronto. Racconta ancora Graziella: «Molte delle donne che avevano
subito l’intervento, spesso tornavano per darci una mano e fare le
volontarie con noi nel Repartino, magari facendo più caciara che
altro, perché c’era un clima di grande allegria al Repartino, più
che coordinarsi e organizzarsi!» Ben presto l’accettazione delle
donne diventò problematica, perché oltre Maiorana non c’era
nessun altro medico. Molte donne del collettivo facevano i loro turni
nei reparti e poi, finito il turno, andavano al Repartino. Dopo un
mese il Repartino autogestito viene dotato di un infermiere e un
portantino ufficiale. Personale ‘ufficiale’ concesso dalla
struttura sanitaria, per permettere ai ‘volontari’ di continuare
a praticare aborti e tenere in piedi il Repartino, seppur occupato e
gestito in modo assembleare. C’erano assemblee tutti i giorni con
le stesse donne che si affacciavano al Repartino per abortire, e si
discuteva soprattutto della prevenzione all’aborto: pillola,
diaframma, preservativo, spirale. «Si condividevano i nostri sogni
con la necessità di rendere un servizio, che per molti mesi, anche
dopo l’emanazione della legge, non era praticato in altri ospedali,
perché ovviamente non garantiva interessi economici rilevanti.
L’esperienza del Repartino occupato stravolse gli equilibri interni
nella clinica ostetrica: i volontari e le volontarie entrano ovunque,
anche nelle sale parto, dove ci sono e c’erano condizioni
pazzesche, con donne in barella anche dopo il cesareo» – racconta
ancora Graziella- «C’erano ostetriche anziane che dialogavano con
le pazienti in modo aggressivo e cattivo: ‘hai voluto la bici e mo
pedali’…’t‘è piaciuto e mo piagni». In un contesto dove
vigeva la cultura predominante, quella gerarchica in cui la donna è
ai piani bassi, il Repartino «diventava una spina nel fianco di
ostetrica. Le donne aumentavano di giorno in giorno, si praticavano
anche 7-8 aborti al giorno, lavorando dalla mattina alla sera in modo
costante. La pressione e presenza continua costrinse
l’amministrazione a concedere un minimo fondo per disinfettanti
vari e beni di necessità. Alcuni medici si affiancarono a questo
punto cominciando a dare un contributo, che si comprenderà dopo, a
doppio fine. Quando la polizia sgomberò per la terza volta a
Settembre il Repartino cacciando gli occupanti, l’attività
continuò ad opera di questi medici che ottennero contratti e che
operavano con le guardie alle porte per tenere fuori chi
volontariamente, all’indomani della 194, ne aveva reso possibile
l’applicazione in Italia». Il ‘Cetriolo contro’, rivista
autoprodotta all’interno del Policlinico, raccontava le faccende
dei professori baroni Marcelli e Coscia: «sono tutte persone che
usano poi il Repartino per fare la loro carriera: cariche e ruoli
all’interno di ostetricia; mentre le compagne come Simonetta Tosi,
femminista e medico, vivono il Repartino differentemente, dando
importanza ai discorsi della prevenzione e controinformazione,
nell’ottica di spingere sull’autodeterminazione. Non era il
medico che faceva il servizio e basta! Ma si viveva questa azione
medica come azione umana. Un sogno che l’esperienza del Repartino
ha trasformato in realtà».
LE TESTIMONIANZE
DELLE DONNE: Quelle
che seguono sono due diverse testimonianze. La prima di una donna che
venne ricoverata al Repartino IVG, e la seconda di una lavoratrice
che partecipò all’occupazione dal 21 giugno del 1978:
«Superato il primo
momento di sgomento nell’apprendere il mio stato di gravidanza,
piena di illusioni per la tanto strombazzata Legge 194, ho iniziato
il mio giro (…) nei vari ospedali di Roma e provincia. Ben presto
il mio ottimismo si trasformò in angoscia mista a rabbia di fronte a
liste interminabili. (…) Le cose andarono diversamente alla seconda
clinica Ginecologica del Policlinico, dove un Repartino era stato
occupato ed autogestito da un gruppo di femministe. (…) Cartelli
con vistose frecce mi condussero per mano al secondo piano di questa
clinica. Entrando, sui muri, brevi e indicativi riassunti dei fatti
più salienti di una lotta assurda, impari, condotta per anni da
queste donne contro istituzioni atte solo alla salvaguardia di un
potere che fa di chi dovrebbe essere al servizio delle donne, in
questo caso, un proprietario di cose e persone che assolutamente
debbono appartenergli. La disponibilità delle ragazze che si
trovavano nel corridoio quasi mi lasciò incredula. Alle timide
domande le risposte erano chiare (…). La mattina del 22 agosto,
dopo una settimana insonne e agitata, mi trovai con altre sette donne
ad espletare quelle formalità richieste dalla Legge, dopodiché
prendemmo possesso dei nostri letti che con mio grande stupore non
avevano lenzuola rotte o sporche ed erano ben fatti e candidi. Tra di
noi non parlavamo (…) soprattutto guardavo con tristezza due
ragazze sole, questo mi colpì. Infatti mi chiedevo se questo aborto
era poi una conquista delle donne. In una maniera o nell’altra
l’uomo ne è sempre fuori. (…) Venne il mio turno, dopo aver
salutato mio marito, mi trovai in sala operatoria dove ebbi
l’attenzione e l’affetto di tutte. Abbiamo parlato e scherzato
con quelle donne, mentre l’anestesista mi spiegava cosa mi stava
facendo, quello che avrei dovuto provare. Chiesi di collaborare con
lui comunicandogli tutte le sensazioni che provavo, mi sentivo più
sollevata e tranquilla. (…) Era finita, non avevo assolutamente
dolore, allora feci il confronto con un precedente raschiamento di
alcuni anni fa. Stavo bene, solo avevo sonno. Tra il dormiveglia
passò un lungo pomeriggio. Alle cinque circa ci fu una riunione
delle femministe sui contraccettivi, La sera stavamo tutte bene e
perciò parlammo fino a tardi, di tutto, come se ci conoscessimo da
tempo. (…) Tornai ancora in quel reparto e con qualcuna di loro ho
seguitato a vedermi, a parlare dei miei e dei loro problemi».
(Testimonianza
scritta di una donna che ha abortito al Repartino): «Il
21 giugno le compagne femministe e lavoratrici del Policlinico
insieme con le donne che attendevano di interrompere la gravidanza
hanno occupato un reparto della seconda clinica ostetrica, riservato
in passato ai clienti di riguardo dei baroni Crainz e Carenza e che
da qualche anno, in seguito alle lotte portate avanti dai lavoratori
del Policlinico contro le speculazioni sulla pelle dei malati e
contro un’assistenza ospedaliera di prima e seconda classe, era
stato chiuso ed era rimasto inutilizzato. Questa occupazione nasce
dall’esigenza di tutte le donne che, in attesa di abortire e da
tempo sbattute da un ospedale a un altro, hanno deciso di
organizzarsi per garantirsi gli interventi che nessun ospedale ancora
praticava e che anche i nuclei di compagne che fino a quel momento
l’avevano praticato clandestinamente, avevano correttamente sospeso
volendo mettere a nudo la responsabilità delle istituzioni, di
fronte alla necessità di applicare immediatamente la legge. Questa
spinta all’occupazione ha subito legato con le compagne femministe,
proprio per la volontà di queste di entrare negli ospedali: questa
scelta da parte di vari collettivi femministi è stata tutt’altro
che comoda, poiché andava a cozzare con una realtà che
istintivamente ci veniva da rifiutare, quella legge sull’aborto.
Una legge che non avevamo voluto, che rinnegava l’aborto come
un’esperienza da vivere coscientemente, da vivere come donne tra
donne e la trasformava invece in una trafila ambulatoriale, in un
normale intervento chirurgico. (…) Infine una legge che di per sè
era perfetta per non venire applicata, con quella dell’articolo che
prevede l’obiezione di coscienza. (…). Questa legge che mette in
mano la donna a pochi medici ‘volenterosi’, solo di far carriera
andava fatta funzionare? Oppure è necessario essere coerenti fino in
fondo e lasciare questo compito in mano alle baronie da un lato e
dall’altro a quel baraccone che è la struttura sanitaria (…)?
Questo nodo ancora non l’abbiamo sciolto (…) ovvero non è
l’autogestione del nostro repartino, ovvero della legge che
vogliamo, né ci spinge l’entusiasmo dell’esemplarità di questa
lotta. Semmai è il bisogno di irrompere nel sacro tempio
(l’ospedale) in cui dovremmo passare come soggetti totalmente
passivi e scardinare gli sporchi progetti che i baroni stanno facendo
sul nostro corpo. Insomma non intendiamo sostituirci alle
istituzioni: siano loro ad applicare la legge! (…). Noi vogliamo
però imporre il controllo sull’applicazione di questa legge, il
controllo sui medici, su come vengono fatti gli interventi, su come
li vivono le donne; vogliamo stravolgere con i nostri contenuti il
concetto di una medicina da subire in una da vivere consapevolmente.
(…) I medici hanno appreso il Karman dalle compagne dei nuclei.
(…). Inoltre ha reso possibile un continuo scambio con le donne, ed
è proprio per questo rapporto che insieme siamo riuscite a
sdrammatizzare il problema dell’aborto facendo in modo che ogni
donna fosse lei in prima persona a decidere la scelta di una
maternità, a vivere fino in fondo quel che vuol dire decidere del
proprio corpo. Ma il discorso che le compagne hanno portato avanti
non è solo quello dell’aborto; è il controllo su tutte le sfere
della salute della donna: entrare nella sala parto, vedere con quanta
violenza sia psicologica che materiale le donne vengono trattate,
tutto ciò e molto ancora è per noi il ‘controllo’. Ed è
proprio perché i nostri contenuti andavano in conflitto con la
figura del medico, del barone, dell’amministrazione, che la polizia
è intervenuta a sgomberare il reparto».
(Testimonianza di
una compagna del Policlinico che, con i collettivi femministi, ha
occupato il Repartino IVG)
Intervista video
a Graziella Bastelli, realizzata presso il Nuovo
Cinema Palazzo,
in occasione del Festival
di Storia “Roma città ribelle”.
Graziella ci racconta l’occupazione del Repartino e le lotte
femministe che ha vissuto in prima persona e che continua ad animare
anche oggi con il movimento Non una di meno. A lei vanno i nostri
ringraziamenti per averci inoltrato il materiale storiografico da cui
ha preso vita questo articolo.
Consigliamo la
lettura di
questo testo
di
Alessandra Conte, pubblicato su “Napoli Monitor” e linkato sul
blog di Non una di meno.
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