#FreePia. “La sua condanna rappresenterebbe la resa dell’umanità in Europa”. In poche ore quasi 85.000 persone hanno firmato un appello su Change.org per chiedere che l’Italia rinunci ai procedimenti penali contro Pia Klemp, 35 anni, tedesca, ex capitano delle navi Iuventa e Sea Watch-3, indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il processo dovrebbe iniziare a breve e la condanna rischia di essere pesante: fino a 20 anni di carcere.
Klemp ha iniziato la sua carriera sei anni fa a bordo della nave del gruppo ambientalista Sea Shepard, poi è passata alla Sea Watch e infine alla Iuventa. Con il suo equipaggio – ricorda Newsweek – ha salvato oltre mille migranti nel Mar Mediterraneo.
Nell’agosto 2017 le autorità italiane hanno sequestrato, nell’ambito di un’inchiesta partita nel 2016, la nave Iuventa, comandata dalla donna, al largo di Lampedusa. Anche i computer e i telefoni cellulari che erano a bordo sono stati sequestrati. La decisione della giustizia italiana di poter leggere il contenuto dei dispositivi della Iuventa – posticipata più volte – è arrivata nel maggio 2018 dal procuratore siciliano che ha ordinato il sequestro, Ambrogio Cartosio.
Secondo le informazioni che Pia Klemp ha avuto dal suo avvocato, almeno quattro diverse autorità investigative italiane hanno lavorato sul suo conto e su quello del suo equipaggio, compresi i servizi segreti italiani.
L’inchiesta che ha portato all’attuale processo deve quindi determinare se il capitano Pia Klemp abbia “collaborato” con i contrabbandieri libici per salvare i migranti presi in mare con la sua nave: questa “complicità”, se fosse dimostrata dalla giustizia italiana, trasformerebbe lo status dell’ex capitano della Sea Watch da “soccorritore umanitario di migliaia di persone in mare” a “complice dell’immigrazione clandestina”.
Un fatto inaccettabile per i promotori della petizione #FreePia, secondo cui la carcerazione del capitano Klemp rappresenterebbe “la resa dell’umanità” in Europa.
Nella petizione si sottolinea che le azioni del capitano della barca nel Mediterraneo erano in linea sia con le politiche delle Nazioni Unite sui salvataggi in mare sia con le responsabilità umanitarie di un capitano. “Abbiamo seguito solo il diritto internazionale, in particolare la legge del mare, dove la massima priorità è salvare le persone dall’angoscia”, ha detto la stessa Klemp nell’intervista al quotidiano svizzero Basler Zeitung. In caso di condanna, la 35enne è pronta a fare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. Anche se l’amarezza è destinata a restare: “Il peggio è già accaduto... le missioni di salvataggio in mare sono state criminalizzate. Siamo già stati paralizzati. Ed è per questo che le persone muoiono nel Mediterraneo”.
E mentre il ministro dell’Interno Matteo Salvini si vanta di aver “salvato migliaia di vite umane” chiudendo i porti, Sos Mediterranee e Medici senza frontiere denunciano una situazione drammatica: a un anno dall’annuncio del governo italiano di chiudere i porti alle navi umanitarie almeno 1.151 persone - uomini, donne e bambini - sono morte, e oltre 10.000 sono state riportate forzatamente in Libia, esposte a ulteriori e inutili sofferenze. Lo scrivono Sos Mediterranee e Medici senza frontiere che chiedono di garantire con urgenza un sistema di ricerca e soccorso in mare adeguato, “compreso un coordinamento delle autorità competenti nel Mar Mediterraneo, per evitare morti inutili”.
Klemp ha iniziato la sua carriera sei anni fa a bordo della nave del gruppo ambientalista Sea Shepard, poi è passata alla Sea Watch e infine alla Iuventa. Con il suo equipaggio – ricorda Newsweek – ha salvato oltre mille migranti nel Mar Mediterraneo.
Nell’agosto 2017 le autorità italiane hanno sequestrato, nell’ambito di un’inchiesta partita nel 2016, la nave Iuventa, comandata dalla donna, al largo di Lampedusa. Anche i computer e i telefoni cellulari che erano a bordo sono stati sequestrati. La decisione della giustizia italiana di poter leggere il contenuto dei dispositivi della Iuventa – posticipata più volte – è arrivata nel maggio 2018 dal procuratore siciliano che ha ordinato il sequestro, Ambrogio Cartosio.
Secondo le informazioni che Pia Klemp ha avuto dal suo avvocato, almeno quattro diverse autorità investigative italiane hanno lavorato sul suo conto e su quello del suo equipaggio, compresi i servizi segreti italiani.
L’inchiesta che ha portato all’attuale processo deve quindi determinare se il capitano Pia Klemp abbia “collaborato” con i contrabbandieri libici per salvare i migranti presi in mare con la sua nave: questa “complicità”, se fosse dimostrata dalla giustizia italiana, trasformerebbe lo status dell’ex capitano della Sea Watch da “soccorritore umanitario di migliaia di persone in mare” a “complice dell’immigrazione clandestina”.
Un fatto inaccettabile per i promotori della petizione #FreePia, secondo cui la carcerazione del capitano Klemp rappresenterebbe “la resa dell’umanità” in Europa.
Nella petizione si sottolinea che le azioni del capitano della barca nel Mediterraneo erano in linea sia con le politiche delle Nazioni Unite sui salvataggi in mare sia con le responsabilità umanitarie di un capitano. “Abbiamo seguito solo il diritto internazionale, in particolare la legge del mare, dove la massima priorità è salvare le persone dall’angoscia”, ha detto la stessa Klemp nell’intervista al quotidiano svizzero Basler Zeitung. In caso di condanna, la 35enne è pronta a fare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. Anche se l’amarezza è destinata a restare: “Il peggio è già accaduto... le missioni di salvataggio in mare sono state criminalizzate. Siamo già stati paralizzati. Ed è per questo che le persone muoiono nel Mediterraneo”.
E mentre il ministro dell’Interno Matteo Salvini si vanta di aver “salvato migliaia di vite umane” chiudendo i porti, Sos Mediterranee e Medici senza frontiere denunciano una situazione drammatica: a un anno dall’annuncio del governo italiano di chiudere i porti alle navi umanitarie almeno 1.151 persone - uomini, donne e bambini - sono morte, e oltre 10.000 sono state riportate forzatamente in Libia, esposte a ulteriori e inutili sofferenze. Lo scrivono Sos Mediterranee e Medici senza frontiere che chiedono di garantire con urgenza un sistema di ricerca e soccorso in mare adeguato, “compreso un coordinamento delle autorità competenti nel Mar Mediterraneo, per evitare morti inutili”.
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