Imperia, sul banco degli imputati la solidarietà dei no-borders a Ventimiglia
Gli accusati sono i 31 che si trovavano sugli scogli dei Balzi Rossi al momento degli sgomberi
È iniziato ieri a Imperia il processo ai trentuno ‘no
borders’ che all’alba del 30 settembre 2015, il giorno dello sgombero,
si trovavano sugli scogli dei Balzi Rossi, a Ventimiglia, in solidarietà
con i sans-papiers respinti alla frontiera dalla Francia. Un centinaio
di persone hanno voluto essere presenti all’udienza indossando una
maglietta con la scritta ‘al campo c’ero anch’io’ a sostegno degli
imputati: «In assenza di adeguate risposte istituzionali all’inaspettata
sospensione di Schengen da parte francese – spiegano – per tutta
l’estate, centinaia di migranti trovarono protezione e solidarietà a
Ventimiglia solo grazie a quel presidio».
In un clima di “disordine organizzato” i
volontari, totalmente autofinanziati, andarono a colmare il ‘vuoto’
istituzionale di quella fase offrendo solidarietà diretta unita al
monitoraggio continuo delle
violenze e delle violazioni contro i diritti umani poi documentate e denunciate anche da
Amnesty International.
Le giornate al ‘campeggio no borders’, che era stato allestito tra gli
scogli e la piccola pineta vicino al parcheggio dei Balzi Rossi,
iniziavano con assemblee tradotte in arabo e francese, dove le persone
in transito verso altri paesi europei avevano modo di decidere rispetto a
iniziative comuni di protesta contro la chiusura della frontiera, ma
anche organizzarsi rispetto alla gestione del cibo e dei vestiti che
venivano portati al presidio da volontari italiani e francesi.
Se per molti l’esperienza di quel campo autogestito ha rappresentato un tentativo di costruire “un’internazionale della solidarietà”, dove migranti e europei lottavano assieme per il diritto di tutti alla libera circolazione, per la pubblica accusa si è trattato più prosaicamente di “occupazione di terreni altrui”, reato che prevede pene fino ai due anni e centinaia di euro di multa. Alla denuncia per occupazione che riguarda tutti i 31 imputati si aggiunge, per quattro persone, anche quella di aggressione depositata da un fotografo, al quale in quei giorni era stato impedito di riprendere il presidio.
Se per molti l’esperienza di quel campo autogestito ha rappresentato un tentativo di costruire “un’internazionale della solidarietà”, dove migranti e europei lottavano assieme per il diritto di tutti alla libera circolazione, per la pubblica accusa si è trattato più prosaicamente di “occupazione di terreni altrui”, reato che prevede pene fino ai due anni e centinaia di euro di multa. Alla denuncia per occupazione che riguarda tutti i 31 imputati si aggiunge, per quattro persone, anche quella di aggressione depositata da un fotografo, al quale in quei giorni era stato impedito di riprendere il presidio.
Se il processo è appena all’inizio (ieri sono
stati ascoltati i testimoni dell’accusa, la prossima udienza è fissata
per il 17 febbraio) quello che è certo è che quel
“We are not going back”
scelto dai migranti del presidio per protestare contro la chiusura
della frontiera ha finito per trasformare la vita delle tante persone
arrivate a Ventimiglia convinte di portare solo un
supporto ’temporaneo’ in una situazione di emergenza e che si trovano
oggi totalmente immerse nell’impegno, a diversi livelli, dalla parte
degli “scarti” delle politiche di chiusura delle frontiere.
Nessun commento:
Posta un commento