Rabbia popolare contro i massacri di Erdogan
La
notizia è di queste ore. A Shiladze, nel distretto di Duhok in Bashur
(Kurdistan meridionale/iracheno) migliaia di abitanti si sono radunati
oggi davanti al quartier generale dell'esercito turco di stanza nella
regione, che ospita anche i servizi segreti del MIT - in protesta contro
l'assassinio negli scorsi giorni di quattro civili da parte
dell'aviazione di Erdogan e per reclamare il ritiro delle truppe di
occupazione.
Meno nota ma altrettanto odiosa delle Operazioni Scudo dell'Eufrate (che ha occupato la regione siriana di Sebha e la città di al-Bab) e Ramo d'Ulivo (che ha occupato Afrin consegnandola ad un'amministrazione jihadista), l'Operazione Scudo del Tigri lanciata da Erdogan nel marzo scorso ha comportato la penetrazione dell'esercito turco nell'Iraq settentrionale per colpire le basi del PKK. Una spedizione tenutasi grazie alla debolezza del governo centrale iracheno e nella compiacenza di quello regionale curdo (un regime pluridecennale sostenuto anche dall'Italia e retto dal clan mafioso dei Barzani - in cui le elezioni sono sospese e che nulla ha da invidiare ad altre autocrazie mediorientali) per scopi puramente propagandistici. Un anno fa, infatti, la posta in palio era la vittoria al referendum sulla riforma in senso presidenzialista dell'AKP, e adesso quella alle elezioni locali in Turchia.
Le forze di sicurezza hanno sparato sulla folla provocando un morto e svariati feriti: è stato cosi che, liberandosi della polizia delle Asayish di Barzani che cercavano di interporsi, i manifestanti sono dilagati nella base in massa e l'hanno rasa al suolo, non prima di essersi impossessati di una partita di armi e munizioni ed aver dato fuoco ai cingolati, ai pick-up, alle tende e ad altra strumentazione presente. Secondo alcune fonti sarebbero stati catturati anche dei soldati turchi ed, allertati, i jet di Ankara stanno volteggiando a bassa quota sull'area. Ma la popolazione non cede.
Meno nota ma altrettanto odiosa delle Operazioni Scudo dell'Eufrate (che ha occupato la regione siriana di Sebha e la città di al-Bab) e Ramo d'Ulivo (che ha occupato Afrin consegnandola ad un'amministrazione jihadista), l'Operazione Scudo del Tigri lanciata da Erdogan nel marzo scorso ha comportato la penetrazione dell'esercito turco nell'Iraq settentrionale per colpire le basi del PKK. Una spedizione tenutasi grazie alla debolezza del governo centrale iracheno e nella compiacenza di quello regionale curdo (un regime pluridecennale sostenuto anche dall'Italia e retto dal clan mafioso dei Barzani - in cui le elezioni sono sospese e che nulla ha da invidiare ad altre autocrazie mediorientali) per scopi puramente propagandistici. Un anno fa, infatti, la posta in palio era la vittoria al referendum sulla riforma in senso presidenzialista dell'AKP, e adesso quella alle elezioni locali in Turchia.
Le forze di sicurezza hanno sparato sulla folla provocando un morto e svariati feriti: è stato cosi che, liberandosi della polizia delle Asayish di Barzani che cercavano di interporsi, i manifestanti sono dilagati nella base in massa e l'hanno rasa al suolo, non prima di essersi impossessati di una partita di armi e munizioni ed aver dato fuoco ai cingolati, ai pick-up, alle tende e ad altra strumentazione presente. Secondo alcune fonti sarebbero stati catturati anche dei soldati turchi ed, allertati, i jet di Ankara stanno volteggiando a bassa quota sull'area. Ma la popolazione non cede.
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