giovedì 24 gennaio 2019

pc 24 gennaio - Nella settimana internazionale di mobilitazione e solidarietà per l'India - l'intervento introduttivo al meeting internazionalista di Milano 8 dicembre - ICSPWI

Denuncia del regime indiano e dell'imperialismo

È indubbio che l’attuale regime indiano con al governo il fascista indù Narendra Modi del BJP (partito nazionalista indù, di fatto fascista) sia uno dei più brutali della storia del Paese per estensione e profondità delle atrocità che sta perpetrando contro il proprio popolo (“genocidio silenzioso”, secondo Arundhati Roy) fondamentalmente al servizio dell’imperialismo.
Questa enorme e impressionante guerra civile è l’unica “opera umana”, potremmo dire con una battuta, ad essere visibile, come la Muraglia Cinese, dallo spazio, ma la stampa mondiale non la vede, e per conseguenza la maggior parte dell’“opinione pubblica mondiale” non la “percepisce”; questo fatto è dovuto certo alla informazione negata dalla borghesia imperialista, innanzi tutto, che mette in risalto qualche notizia solo quando è costretta dall’ampiezza dell’evento che le fa paura e che serve a mettere in cattiva luce la guerra popolare, e dalla borghesia compradora indiana che come sempre cerca di applicare la “congiura del silenzio” provando a derubricare la guerra popolare in corso a un fatto di terrorismo interno.
Sia la borghesia imperialista che quella indiana cercano di imbambolare l’opinione pubblica mondiale
con i loro discorsi che avvolgono l’India in una aura di “democrazia” (“la più grande democrazia del mondo” la chiamano, parole che tanti intellettuali democratici e rivoluzionari altrettanto quotidianamente si impegnano a smentire con i loro scritti e le loro azioni), cercando di nascondere i fatti concreti e durissimi di questa vera e propria guerra contro il proprio stesso popolo.
Le forme che questa guerra ha assunto sono ormai ben conosciute: l’Operazione Green Hunt (Caccia Verde), come l’hanno chiamata i mass media indiani, e con questo nome è conosciuta in tutto il mondo, è l’ultima “operazione”, arrivata alla sua terza fase, in ordine di tempo, che si affianca e racchiude le altre “operazioni” succedutesi storicamente (Jan Jagatan, Salwa Judum 1 e 2, Mission 2016 e Mission 2017, Operazione samdhan-2022, Samadhan…) con le quali tutti i governi indiani hanno tentato di eliminare (“spazzare via definitivamente”, “sradicare” e frasi simili) la guerra popolare e il Partito che la guida, il PCI (maoista).
Questa “operazione” viene naturalmente negata dalla borghesia compradora indiana, per non riconoscere il lato da “guerra civile” allo scontro in atto, e di conseguenza lo stato di prigioniero politico e di guerra ai combattenti del PCI(maoista), e quando ne parla dice che si tratta di un attacco generalizzato e su grande scala al terrorismo, applicando le leggi indiane esistenti come l’Uapa (Unlwaful Activities Preventing Act), ma questa finzione propagandistica, questa negazione, viene smentita quotidianamente dalla risposta che essa riceve dalla guerra popolare.
E quando un movimento rivoluzionario, come la guerra popolare in corso, si sviluppa con intensità, tale da mettere a repentaglio la “tranquillità” del potere (l’ex primo ministro Manmohan Singh ha definito la Guerra Popolare come “la più grande minaccia alla sicurezza e all’unità interna del nostro paese”) la borghesia da un lato serra i propri ranghi per fare fronte alla minaccia, dall’altro, però, la stessa efficacia e intensità della lotta porta alla necessità di schierarsi in questi due campi sempre più netti tra rivoluzione e controrivoluzione, ha inizio una polarizzazione.
Questa è la dialettica normale dei rapporti di forza che la lotta di classe crea.
Di fronte a questa guerra civile, tutti i partiti parlamentari sono dalla parte del governo, tutti quelli che in un modo o nell’altro traggono profitto, siano esse pur sempre briciole, dal loro sostegno più o meno aperto al governo o più o meno aperto contro la guerra popolare: grandi industriali e grandi finanzieri, latifondisti, borghesia compradora, corrotti…
Dall’altro lato ci sono le masse popolari del paese che conta oltre 1.300.000.000 di persone; la maggior parte, tra cui circa 800 milioni di contadini, sono strette innanzi tutto dentro la morsa della povertà in tutte le sue sfumature: si va da quella più estrema che ogni giorno fa morti per le strade, morti di bambini per malnutrizione, morti di donne per violenze di ogni tipo, per parto, per la dote, morti di contadini indebitati che si suicidano a migliaia ogni anno, l’estrema povertà che si annida anche nelle realtà delle megalopoli urbane…
È questa realtà durissima e impressionante che si cerca di nascondere; quel che invece la borghesia di sicuro vede e propaganda e che acceca in parte questa immensa povertà, è lo sfavillio della parte “moderna”, industrializzata del Paese, venduto come “miracolo economico” (crescita del 7 per cento all’anno!), grandemente apprezzato dall’imperialismo! “Miracolo” che consiste in realtà nella svendita del Paese alle multinazionali.
Anche qui i mezzi di informazione fanno la propria parte: mettere in risalto Bollywood fa parte di questa realtà, mettere l’accento sulle “eccellenze” del paese in fatto di tecnologie avanzate applicate, di grande mercato di merci e di “lavoro” con migliaia di giovani ingegneri, scienziati, di fatto una grande riserva di “braccia” e menti fresche per i paesi imperialisti, i cui capi di stato e di governo incoraggiano quando si scambiano visite ai “più alti livelli”, trascinandosi codazzi di capitalisti che devono concludere gli affari.
Ma tutto questo sfavillio non riesce a coprire appieno i fuochi accesi dalla guerriglia condotta dall’Esercito Popolare Guerrigliero di Liberazione sotto la guida del Partito Comunista dell’India (maoista).
È a questa guerra popolare che il governo risponde con l’Operazione Green Hunt, terza fase, gigantesca e prolungata operazione di repressione e annientamento della lotta armata delle masse e della lotta di massa in generale, condotta attraverso massacri aperti o nascosti (falsi scontri), deportazioni di popolazioni, devastazioni, stupri di massa ed enormi e sistematici ondate di arresti, sparizioni, che toccano le campagne e le citta, le università e i movimenti di massa con sistematica violazione dei diritti umani; una repressione di tutte le espressioni di richiesta di diritti e libertà civili, con arresti indiscriminati di militanti del Partito, di normali contadini fatti passare per terribili terroristi, di operai condannati a vita per aver difeso i propri diritti, come di tante altre personalità, intellettuali ottantenni accusati di essere “maoisti di città” (urban maoists) che “fanno la guerra allo Stato”; e poi ancora con l’uccisione delle donne direttamente o attraverso stupri di massa utilizzati come arma di guerra. Tantissimi di questi attivisti diventano prigionieri politici, siamo a circa 15.000, e tra questi il Prof. Saibaba, artisti, avvocati, giuristi, leader studenteschi e naturalmente alcuni leader maoisti prestigiosi come Kobad Gandhi, Ajit e altri.
L’ultimo massacro in ordine di tempo è quello di Gadchiroli, nel Maharashtra, in cui sono stati trucidati a sangue freddo almeno 42 maoisti; prima c’era stato quello di Malkangiri nel 2016 in cui morirono 31 maoisti…
Al sostegno interno a questa guerra contro il proprio popolo dentro il Paese stesso, si aggiunge quello sostanzioso dell’imperialismo. In tanti modi si esplicano le atrocità dell’imperialismo e in tante parti del mondo, seminando morte e distruzione, (operazioni spesso altrettanto silenziate dai media e dai governi come quella dell’India) con il sostegno armato diretto quando necessario, il sostegno con la vendita di armi, con l’agevolazione dei prestiti internazionali; con il sostegno diplomatico diretto e propagandato fatto di visite e accordi dei principali esponenti dell’imperialismo mondiale, con le operazioni militari congiunte, con la copertura della corruzione ai massimi livelli e dei crimini del governo (Modi è di fatto il responsabile dell’eccidio dei musulmani nel Gujarat nel 2002, quando era a capo del governo di quello Stato), e copertura dell’espansionismo indiano che preme sul Nepal e sul Pakistan, copertura dell’oppressione interna con tutto il disprezzo possibile per i “diritti umani” chiamati in causa solo quando conviene per fare pressione sull’avversario di turno.
L’imperialismo inoltre agisce con accordi commerciali e militari (i cosiddetti MoU-Memorandum of understanding, i trattati insomma) perché l’India è un subcontinente ricchissimo di materie prime, di acqua, foreste e terra (Jal, Jungle, Zameen – acqua, foresta, terra sono gli elementi in cui vivono centinaia di milioni di indiani che la guerra popolare in corso deve salvare dalle grinfie dello sfruttamento imperialista. A questi tre elementi la guerra popolare ne ha aggiunto altri due per cui combattere: Izzat e Adhikar, rispetto e diritti).
È per questo che il governo è particolarmente feroce negli Stati del cosiddetto “corridoio rosso”, la parte del Paese in cui la guerra popolare è più attiva e forte, una dozzina di Stati e centinaia di distretti, che taglia il Paese da Nord a Sud: Bengala occidentale, Bihar, Jharkhand, Chhattisgarh, Orissa, Maharashtra occidentale fino all’Andhra Pradesh e al Tamil Nadu. Questi Stati sono i più poveri dell’India e al tempo stesso quelli che custodiscono le più grandi ricchezze minerarie. L’Orissa, ad esempio, racchiude il 70% di tutte le riserve di bauxite indiana, il 90% di minerali di cromo e di nickel, il 24% del carbone dell’intera nazione. L’India è il secondo produttore al mondo di cemento, il terzo di acciaio ed il primo di ferro ridotto (direct reduced iron). È inoltre tra i maggiori produttori al mondo di pellame. Le riserve indiane di terre rare sono stimate in 3,1 milioni di tonnellate, ovvero pari a circa il 3% delle riserve mondiali, di cui l'India sta aumentando le capacità estrattive. L'India ha inoltre disponibilità di cotone e grande varietà di tessuti, che ne fanno una destinazione privilegiata per la delocalizzazione delle aziende di abbigliamento… riserve e materie prime che diventano sempre più fondamentali per la produzione capitalistica.
Anche l’imperialismo italiano (i cui investimenti attuali in India sono circa 6 miliardi) fa la sua parte nello sfruttamento del proletariato indiano e di queste risorse. L’ultima visita del presidente del Consiglio Conte per esempio è servita a mettersi in sintonia con la politica del governo Modi, che va sotto il nome di “make in India”, inaugurata da Modi nel 2014 e che vuol essere un grande appello alle multinazionali di vario ordine e tipo ad investire in India. E tante fameliche multinazionali italiane erano infatti al seguito. Gli investimenti in India hanno in questa fase un doppio aspetto e si inseriscono nello scenario attuale del ruolo dell'India, nell'assetto imperialista e multipolare del mondo.
Per le imprese italiane è la ricerca di sbocchi di mercato, di profitti e di penetrazione tipica dell'imperialismo; quello che non è esattamente come prima è però il ruolo dell'India, che utilizza gli investimenti imperialisti per far crescere la sua economia, sempre deformata, ma ciononostante in grado di far divenire l'India una presenza economica globale, non solo economico ma politico, militare nell'assetto geostrategico del mondo.
Un assetto dentro il quale ogni paese imperialista prova a ritagliarsi una parte importante. Tantissime multinazionali di vari paesi imperialisti infatti sono presenti nel Paese.
Ma è un assetto che soprattutto l’imperialismo americano prova a dominare e che combina i suoi interessi nell’area mettendo insieme scambi commerciali, con investimenti diretti che solo nel 2017 si aggirano intorno a 50 miliardi di dollari, con la vendita di beni e servizi per miliardi, e tra questi una immensità di armi (l’India è il maggior importatore di armi al mondo attualmente), con la presenza massiccia di multinazionali, e dall’altro scambi politici, visto che gli Stati Uniti (che da punto di vista militare lasciano agire anche Israele) usano l’India nello scacchiere asiatico come controllo dell’area e contro l’espansionismo della Cina.
Questa enorme pressione dell’imperialismo sull’India accentua le terribili forme d’oppressione che il governo esercita sul proprio popolo.
Ma l’opposizione a questa barbarie si fa sentire non solo con i colpi della guerra popolare ed una enorme mobilitazione di massa, ma anche con la solidarietà attiva interna e internazionale: da alcuni anni infatti si susseguono manifestazioni in tutto il mondo in solidarietà con i prigionieri politici, a sostegno della guerra popolare, prima contro Singh e adesso contro Modi, con innumerevoli convegni e meeting (in Europa, quello di Amburgo del 2012 ha segnato un punto importante che ha costretto il governo indiano ad intervenire presso l’Unione Europea); all’interno e all’esterno del Paese con campagne contro l’attuale ondata di arresti, contro il fascismo indù e contro l’attuale Operazione Green Hunt, con le interpellanze all’Unione Europea, tutte iniziative che diventano anch’essi ostacoli sulla via del genocidio messo in atto dal governo, tutte iniziative di solidarietà concreta che diventano un’arma da usare in maniera sempre più determinata e forte.
Dicembre 2018
Comitato di sostegno alla guerra popolare in India

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