È indubbio che l’attuale regime indiano con al governo il fascista indù Narendra Modi del BJP (partito nazionalista indù, di fatto fascista) sia uno dei più brutali della storia del Paese per estensione e profondità delle atrocità che sta perpetrando contro il proprio popolo (“genocidio silenzioso”, secondo Arundhati Roy) fondamentalmente al servizio dell’imperialismo.
Questa enorme e impressionante guerra civile è
l’unica “opera umana”, potremmo dire con una battuta, ad essere
visibile, come la Muraglia Cinese, dallo spazio, ma la stampa
mondiale non la vede, e per conseguenza la maggior parte
dell’“opinione pubblica mondiale” non la “percepisce”;
questo fatto è dovuto certo alla informazione negata dalla borghesia
imperialista, innanzi tutto, che mette in risalto qualche notizia
solo quando è costretta dall’ampiezza dell’evento che le fa
paura e che serve a mettere in cattiva luce la guerra popolare, e
dalla borghesia compradora indiana che come sempre cerca di applicare
la “congiura del silenzio” provando a derubricare la guerra
popolare in corso a un fatto di terrorismo interno.
Sia la borghesia imperialista che quella
indiana cercano di imbambolare l’opinione pubblica mondiale
con i
loro discorsi che avvolgono l’India in una aura di “democrazia”
(“la più grande democrazia del mondo” la chiamano, parole che
tanti intellettuali democratici e rivoluzionari altrettanto
quotidianamente si impegnano a smentire con i loro scritti e le loro
azioni), cercando di nascondere i fatti concreti e durissimi di
questa vera e propria guerra contro il proprio stesso popolo.
Le forme che questa guerra ha assunto sono
ormai ben conosciute: l’Operazione Green Hunt (Caccia Verde), come
l’hanno chiamata i mass media indiani, e con questo nome è
conosciuta in tutto il mondo, è l’ultima “operazione”,
arrivata alla sua terza fase, in ordine di tempo, che si affianca e
racchiude le altre “operazioni” succedutesi storicamente (Jan
Jagatan, Salwa Judum 1 e 2, Mission 2016 e Mission 2017, Operazione
samdhan-2022, Samadhan…) con le
quali tutti i governi indiani hanno tentato di eliminare (“spazzare
via definitivamente”, “sradicare” e frasi simili) la guerra
popolare e il Partito che la guida, il PCI (maoista).
Questa “operazione” viene naturalmente
negata dalla borghesia compradora indiana, per non riconoscere il
lato da “guerra civile” allo scontro in atto, e di conseguenza lo
stato di prigioniero politico e di guerra ai combattenti del
PCI(maoista), e quando ne parla dice che si tratta di un attacco
generalizzato e su grande scala al terrorismo, applicando le leggi
indiane esistenti come l’Uapa (Unlwaful Activities Preventing Act),
ma questa finzione propagandistica, questa negazione, viene smentita
quotidianamente dalla risposta che essa riceve dalla guerra popolare.
E quando un movimento rivoluzionario, come la
guerra popolare in corso, si sviluppa con intensità, tale da mettere
a repentaglio la “tranquillità” del potere (l’ex primo
ministro Manmohan Singh ha definito la Guerra Popolare come “la più
grande minaccia alla sicurezza e all’unità interna del nostro
paese”) la borghesia da un lato serra i propri ranghi per fare
fronte alla minaccia, dall’altro, però, la stessa efficacia e
intensità della lotta porta alla necessità di schierarsi in questi
due campi sempre più netti tra rivoluzione e controrivoluzione, ha
inizio una polarizzazione.
Questa è la dialettica normale dei rapporti di
forza che la lotta di classe crea.
Di fronte a questa guerra civile, tutti i
partiti parlamentari sono dalla parte del governo, tutti quelli che
in un modo o nell’altro traggono profitto, siano esse pur sempre
briciole, dal loro sostegno più o meno aperto al governo o più o
meno aperto contro la guerra popolare: grandi industriali e grandi
finanzieri, latifondisti, borghesia compradora, corrotti…
Dall’altro lato ci sono le masse popolari del
paese che conta oltre 1.300.000.000 di persone; la maggior parte, tra
cui circa 800 milioni di contadini, sono strette innanzi tutto dentro
la morsa della povertà in tutte le sue sfumature: si va da quella
più estrema che ogni giorno fa morti per le strade, morti di bambini
per malnutrizione, morti di donne per violenze di ogni tipo, per
parto, per la dote, morti di contadini indebitati che si suicidano a
migliaia ogni anno, l’estrema povertà che si annida anche nelle
realtà delle megalopoli urbane…
È questa realtà durissima e impressionante
che si cerca di nascondere; quel che invece la borghesia di sicuro
vede e propaganda e che acceca in parte questa immensa povertà, è
lo sfavillio della parte “moderna”, industrializzata del Paese,
venduto come “miracolo economico” (crescita del 7 per cento
all’anno!), grandemente apprezzato dall’imperialismo! “Miracolo”
che consiste in realtà nella svendita del Paese alle multinazionali.
Anche qui i mezzi di informazione fanno la
propria parte: mettere in risalto Bollywood fa parte di questa
realtà, mettere l’accento sulle “eccellenze” del paese in
fatto di tecnologie avanzate applicate, di grande mercato di merci e
di “lavoro” con migliaia di giovani ingegneri, scienziati, di
fatto una grande riserva di “braccia” e menti fresche per i paesi
imperialisti, i cui capi di stato e di governo incoraggiano quando si
scambiano visite ai “più alti livelli”, trascinandosi codazzi di
capitalisti che devono concludere gli affari.
Ma tutto questo sfavillio non riesce a coprire
appieno i fuochi accesi dalla guerriglia condotta dall’Esercito
Popolare Guerrigliero di Liberazione sotto la guida del Partito
Comunista dell’India (maoista).
È a questa guerra popolare che il governo
risponde con l’Operazione Green Hunt, terza fase, gigantesca e
prolungata operazione di repressione e annientamento della lotta
armata delle masse e della lotta di massa in generale, condotta
attraverso massacri aperti o nascosti (falsi scontri), deportazioni
di popolazioni, devastazioni, stupri di massa ed enormi e sistematici
ondate di arresti, sparizioni, che toccano le campagne e le citta, le
università e i movimenti di massa con sistematica violazione dei
diritti umani; una repressione di tutte le espressioni di richiesta
di diritti e libertà civili, con arresti indiscriminati di militanti
del Partito, di normali contadini fatti passare per terribili
terroristi, di operai condannati a vita per aver difeso i propri
diritti, come di tante altre personalità, intellettuali ottantenni
accusati di essere “maoisti di città” (urban maoists) che “fanno
la guerra allo Stato”; e poi ancora con l’uccisione delle donne
direttamente o attraverso stupri di massa utilizzati come arma di
guerra. Tantissimi di questi attivisti diventano prigionieri
politici, siamo a circa 15.000, e tra questi il Prof. Saibaba,
artisti, avvocati, giuristi, leader studenteschi e naturalmente
alcuni leader maoisti prestigiosi come Kobad Gandhi, Ajit e altri.
L’ultimo massacro in ordine di tempo è
quello di Gadchiroli, nel Maharashtra, in cui sono stati trucidati a
sangue freddo almeno 42 maoisti; prima c’era stato quello di
Malkangiri nel 2016 in cui morirono 31 maoisti…
Al sostegno interno a questa guerra contro il
proprio popolo dentro il Paese stesso, si aggiunge quello sostanzioso
dell’imperialismo. In tanti modi si esplicano le atrocità
dell’imperialismo e in tante parti del mondo, seminando morte e
distruzione, (operazioni spesso altrettanto silenziate dai media e
dai governi come quella dell’India) con il sostegno armato diretto
quando necessario, il sostegno con la vendita di armi, con
l’agevolazione dei prestiti internazionali; con il sostegno
diplomatico diretto e propagandato fatto di visite e accordi dei
principali esponenti dell’imperialismo mondiale, con le operazioni
militari congiunte, con la copertura della corruzione ai massimi
livelli e dei crimini del governo (Modi è di fatto il responsabile
dell’eccidio dei musulmani nel Gujarat nel 2002, quando era a capo
del governo di quello Stato), e copertura dell’espansionismo
indiano che preme sul Nepal e sul Pakistan, copertura
dell’oppressione interna con tutto il disprezzo possibile per i
“diritti umani” chiamati in causa solo quando conviene per fare
pressione sull’avversario di turno.
L’imperialismo inoltre agisce con accordi
commerciali e militari (i cosiddetti MoU-Memorandum of understanding,
i trattati insomma) perché l’India è un subcontinente ricchissimo
di materie prime, di acqua, foreste e terra (Jal, Jungle, Zameen –
acqua, foresta, terra sono gli elementi in cui vivono centinaia di
milioni di indiani che la guerra popolare in corso deve salvare dalle
grinfie dello sfruttamento imperialista. A questi tre elementi la
guerra popolare ne ha aggiunto altri due per cui combattere: Izzat e
Adhikar, rispetto e diritti).
È per questo che il governo è particolarmente
feroce negli Stati del cosiddetto “corridoio rosso”, la parte del
Paese in cui la guerra popolare è più attiva e forte, una dozzina
di Stati e centinaia di distretti, che taglia il Paese da Nord a Sud:
Bengala occidentale, Bihar, Jharkhand, Chhattisgarh, Orissa,
Maharashtra occidentale fino all’Andhra Pradesh e al Tamil Nadu.
Questi Stati sono i più poveri dell’India e al tempo stesso quelli
che custodiscono le più grandi ricchezze minerarie. L’Orissa, ad
esempio, racchiude il 70% di tutte le riserve di bauxite indiana, il
90% di minerali di cromo e di nickel, il 24% del carbone dell’intera
nazione. L’India è il secondo produttore al mondo di cemento, il
terzo di acciaio ed il primo di ferro ridotto (direct reduced iron).
È inoltre tra i maggiori produttori al mondo di pellame. Le riserve
indiane di terre rare sono stimate in 3,1 milioni di tonnellate,
ovvero pari a circa il 3% delle riserve mondiali, di cui l'India sta
aumentando le capacità estrattive. L'India ha inoltre disponibilità
di cotone e grande varietà di tessuti, che ne fanno una destinazione
privilegiata per la delocalizzazione delle aziende di abbigliamento…
riserve e materie prime che diventano sempre più fondamentali per la
produzione capitalistica.
Anche l’imperialismo italiano (i cui
investimenti attuali in India sono circa 6 miliardi) fa la sua parte
nello sfruttamento del proletariato indiano e di queste risorse.
L’ultima visita del presidente del Consiglio Conte per esempio è
servita a mettersi in sintonia con la politica del governo Modi, che
va sotto il nome di “make in India”, inaugurata da Modi nel 2014
e che vuol essere un grande appello alle multinazionali di vario
ordine e tipo ad investire in India. E tante fameliche multinazionali
italiane erano infatti al seguito. Gli investimenti in India hanno in
questa fase un doppio aspetto e si inseriscono nello scenario attuale
del ruolo dell'India, nell'assetto imperialista e multipolare del
mondo.
Per le imprese italiane è la ricerca di
sbocchi di mercato, di profitti e di penetrazione tipica
dell'imperialismo; quello che non è esattamente come prima è però
il ruolo dell'India, che utilizza gli investimenti imperialisti per
far crescere la sua economia, sempre deformata, ma ciononostante in
grado di far divenire l'India una presenza economica globale, non
solo economico ma politico, militare nell'assetto geostrategico del
mondo.
Un assetto dentro il quale ogni paese
imperialista prova a ritagliarsi una parte importante. Tantissime
multinazionali di vari paesi imperialisti infatti sono presenti nel
Paese.
Ma è un assetto che soprattutto l’imperialismo
americano prova a dominare e che combina i suoi interessi nell’area
mettendo insieme scambi commerciali, con investimenti diretti che
solo nel 2017 si aggirano intorno a 50 miliardi di dollari, con la
vendita di beni e servizi per miliardi, e tra questi una immensità
di armi (l’India è il maggior importatore di armi al mondo
attualmente), con la presenza massiccia di multinazionali, e
dall’altro scambi politici, visto che gli Stati Uniti (che da punto
di vista militare lasciano agire anche Israele) usano l’India nello
scacchiere asiatico come controllo dell’area e contro
l’espansionismo della Cina.
Questa enorme pressione dell’imperialismo
sull’India accentua le terribili forme d’oppressione che il
governo esercita sul proprio popolo.
Ma l’opposizione a questa barbarie si fa
sentire non solo con i colpi della guerra popolare ed una enorme
mobilitazione di massa, ma anche con la solidarietà attiva interna e
internazionale: da alcuni anni infatti si susseguono manifestazioni
in tutto il mondo in solidarietà con i prigionieri politici, a
sostegno della guerra popolare, prima contro Singh e adesso contro
Modi, con innumerevoli convegni e meeting (in Europa, quello di
Amburgo del 2012 ha segnato un punto importante che ha costretto il
governo indiano ad intervenire presso l’Unione Europea);
all’interno e all’esterno del Paese con campagne contro l’attuale
ondata di arresti, contro il fascismo indù e contro l’attuale
Operazione Green Hunt, con le interpellanze all’Unione Europea,
tutte iniziative che diventano anch’essi ostacoli sulla via del
genocidio messo in atto dal governo, tutte iniziative di solidarietà
concreta che diventano un’arma da usare in maniera sempre più
determinata e forte.
Dicembre 2018
Comitato di sostegno alla guerra popolare in
India
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