Renzi a proposito di “ripresa
economica” continua a spandere “ottimismo” e chiede “fiducia”, anche nelle
interviste pubbliche, come per es. alla trasmissione “In mezz’ora” di Rai3, perché
con le leggi del suo governo, come
tiene a precisare, l’Italia diventerà la prima economica europea superando la
Germania e via di questo passo.
Nel frattempo chilate di libri e studi vari dimostrano
e confermano che l’economia mondiale, e tra questa naturalmente quella
italiana, è in crisi e ancora non si è ripresa.
Un articolo di Affari&Finanza
di ieri è uno di questi: parte dall’analisi delle materie prime, cioè quelle
fondamentali per la produzione di ogni tipo il cui “crollo” - si intende dei
prezzi – viene inserito, tanta è l’importanza, nella “geopolitica”.
Il crollo, dice il giornalista, arriva innanzi tutto dalla Cina ed è “l’ultimo colpo mortale per quasi tutte le materie prime, dal petrolio all’oro, dal rame ai metalli ferrosi ai beni agricoli e via dicendo. Ultimo – continua il giornalista - perché la caduta verticale dei prezzi delle materie prime è cominciata quattro anni fa e non si è più fermata, fino a dimezzare (quasi) l’indice che compendia il loro prezzo.”
Si parla di geopolitica perché per
esempio: “Negli anni ’70 … il loro boom contribuì a mettere in ginocchio
l’occidente (grande consumatore) [qui l’analista esagera, ma è vero che i paesi
imperialisti che si sono trovati in difficoltà per i prezzi troppo alti del
petrolio per esempio, hanno fatto ricorso alle “guerre regionali”] e a fornire un’arma
formidabile alle rivendicazioni di alcuni paesi di quello che allora si chiamava
terzo mondo (grande produttore). Pochi anni orsono, invece, il nuovo boom delle
materie prime – e in particolar modo di quelle alimentari – fu all’origine dei movimenti di protesta che soffiarono nella
Primavera Araba e nei rivolgimenti politici dal Nord Africa al Medio Oriente.
Al contrario, la caduta dei prezzi delle commodity (il termine inglese con cui
vengono classificate le materie prime) nel passato ha privilegiato i grandi
paesi industrializzati e fornito loro nuove opportunità di rilancio.”
Questa “caduta” in passato, ma
spesso anche nel presente, è dovuta alle manovre politiche-economiche-monetarie
degli stessi paesi imperialisti.
“Ma questa volta le cose
potrebbero andare diversamente.” dice il giornalista, e prova a spiegare perché
prendendo in considerazione “la storia economica dell’ultimo secolo” per quanto
riguarda le materie prime: “I prezzi bassi deprimono la ricerca e lo sviluppo
di nuove miniere giacimenti di petrolio e gas, la coltivazione di aree
agricole. Allo stesso tempo, i prezzi bassi favoriscono la ripresa della
domanda. L’effetto combinato e opposto dei due fenomeni si spiega in un arco di
tempo abbastanza lungo, quando la capacità produttiva di una materia prima si
deprime proprio mentre i suoi consumi tendono a aumentare. A quel punto si
verifica l’inversione e parte un nuovo ciclo: i prezzi crescono e, a poco a
poco, tornano gli investimenti massicci, si sviluppa nuove capacità produttiva
fino a quando la nuova e incontrollabile
offerta (incontrollabile perché scaturisce dall’azione di troppe imprese in competizione
tra loro, senza alcun coordinamento) non eccederà la capacità del mercato
di assorbirla. Momento nel quale, com’è avvenuto di recente per il petrolio, i
prezzi crollano e si riapre un nuovo ciclo di segno opposto al precedente. L’ampio ricorso alla finanza derivata e
alla speculazione – tipico degli ultimi quindici anni – possono acuire le
fasi di picco e di flesso a non alterare le leggi fondamentali che regolano la
vita delle materie prime, i cui cicli sono poco conosciuti e studiati, e
comunque trascurati.”
Qui vediamo elencata la serie,
detta in soldoni: concorrenza, anarchia della produzione, sovrapproduzione,
crisi…
E a proposito di cicli delle
materie prime: “Il 20° secolo ha visto il ripetersi di tre cicli di boom
(1906-1923; 1933-1953; 1968-1982) con una durata media compresa tra i 14 e i 20
anni e altrettanti cicli di collasso. Il nostro secolo è cominciato con un
ciclo di crescita, sostenuto soprattutto dai consumi bulimici della Cina.
“Dopo aver toccato il suo picco
nel 2011, il ciclo si è sgonfiato aprendo la strada a una fase di caduta
verticale. Come negli altri cicli, adesso la disponibilità di materie prime
resa disponibile dai colossali investimenti dell’ultimo decennio è troppo alta
per poter essere assorbita in tempo brevi.” E oggi è difficile fare previsioni
dato che: “latitano potenti fattori di
ripresa nel panorama economico internazionale. I veri motori di crescita
degli ultimi anni, a lungo celebrati con l’acronimo Bric (Brasile, Russia,
India e Cina), sono in stato di crisi o di minor crescita.” E se non si fosse
capito: “Il mondo industrializzato stenta
ancora a recuperare dal dissesto provocato dal collasso finanziario del 2008,
e la modesta ripresa che lo caratterizza è stata alimentata – in buona parte – dalle
politiche espansive delle varie banche centrali, che non potranno durare a
lungo. In questo quadro, la speranza è che la ripresa mondiale venga da un’ondata di innovazioni tecnologiche,
la cui incubazione è tipica delle fasi di prezzi alti delle materie prime, e il
cui boom si è di solito realizzato (ma non sempre) mentre quelle crollavano.”
E infine: “In mancanza di certezze,
resta un’economia mondiale che naviga a
vista, con pericoli di nuove recessioni e incremento esponenziale
dell’instabilità politica nei paesi produttori di materie prime – dal Venezuela all’Arabia Saudita, dalla
Russia all’Iran, dal Brasile a molte nazioni dell’Africa sub-sahariana.
Paesi che, privati della principale o più importante fonte delle loro entrate,
avranno difficoltà a mantenere il consenso sociale più o meno ampio “comprato”
fino a ieri con i lauti proventi della vendita di beni un tempo pregiati, oggi
a prezzi di realizzo.”
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