Era già nell’aria. Ma ora la
minaccia si fa concreta e imminente. Il governo Renzi si appresta
a rifilare un uno-due al movimento sindacale italiano, tale, per
dirla con l’efficacia di Umberto Romagnoli, da farlo scomparire senza
neppure darsi la pena di abrogarlo.
Da un lato il governo lavora per
snaturare e limitare il diritto di sciopero. Esso, contrariamente
alla nostra Costituzione, non sarebbe più un diritto in capo al
lavoratore, ma un atto consentito solo a sindacati aventi un certo
livello di rappresentanza e di consenso tra i dipendenti. Si parla
del 20–30 per cento in luogo del 50 voluto da Ichino. Ma la sostanza
non cambierebbe. Il grimaldello sarebbe la questione della
«rappresentanza», vecchio nodo irrisolto. Solo che qui si parla di
una rappresentanza rovesciata. Non quella rispetto ai lavoratori,
in base alla quale si dovrebbe giungere all’ovvia conclusione che
almeno gli accordi per avere validità erga omnes dovrebbero essere
approvati da un voto referendario di tutti i lavoratori cui si
riferiscono. E magari bocciati, come è successo recentemente alla
Fca di Marchionne negli Usa. Ma quella rispetto ai datori di lavoro,
ovvero la garanzia che ciò che le sigle sindacali firmano diventi
per ciò stesso norma imposta a tutti, senza altri fastidi. Dall’altro
lato il governo Renzi vuole scrivere di proprio pugno le regole della
contrattazione.
Senza neppure il parere delle
organizzazioni sindacali e della Confindustria, che comunque
con Squinzi si allinea preventivamente. L’occasione sarebbe
fornita da uno dei decreti delegati del Jobs Act. Qui il piede di
porco sarebbe dato dalla introduzione del salario minimo legale,
essendo l’Italia uno dei pochi paesi a non averlo nella Ue. Grazie
a questo si cancellerebbe la contrattazione salariale nazionale
e quindi si toglierebbe linfa vitale al contratto collettivo
nazionale di lavoro, mentre l’incremento salariale sarebbe
abbandonato alla contrattazione aziendale – per chi se la può
permettere -, ma vincolato agli aumenti di produttività.
Mettendo insieme i due elementi qui descritti è chiaro che siamo di fronte alla liquidazione del diritto del lavoro – alla sua equiparazione nel migliore dei casi al diritto commerciale – e dei diritti dei lavoratori, considerati sia singolarmente che collettivamente. Al più grande e organico attacco al movimento operaio mai portato nel nostro paese. Non solo. Tutto ciò si accompagnerebbe alla aziendalizzazione del welfare state, poiché alla contrattazione aziendale verrebbe affidata anche quella per la sanità e gli altri istituti di welfare integrativi.
Mettendo insieme i due elementi qui descritti è chiaro che siamo di fronte alla liquidazione del diritto del lavoro – alla sua equiparazione nel migliore dei casi al diritto commerciale – e dei diritti dei lavoratori, considerati sia singolarmente che collettivamente. Al più grande e organico attacco al movimento operaio mai portato nel nostro paese. Non solo. Tutto ciò si accompagnerebbe alla aziendalizzazione del welfare state, poiché alla contrattazione aziendale verrebbe affidata anche quella per la sanità e gli altri istituti di welfare integrativi.
Intendiamoci, non è il salario minimo
orario ad essere di per sé il responsabile di questa perfida
costruzione. La sua introduzione in tutt’altro quadro sarebbe
positiva. Anche fatta per legge, dal momento che, per parafrasare
i giuristi, avverrebbe con quel «velo di ignoranza» verso la
struttura contrattuale, non diventando così il pretesto per
smantellarla. In effetti al giovane, o meno giovane o all’immigrato,
che non è protetto da un contratto collettivo nazionale, sapere
che almeno sotto un certo livello di paga non è legale scendere è un
elemento di difesa. Con il pregio della universalità. Su questa
base si potrebbe immaginare una riforma della contrattazione tale
da ridurre gli attuali 380 contratti collettivi nazionali a quei 5 o
6 in settori fondamentali entro i quali concentrare le forza per
ottenere dal punto di vista retributivo e normativo misure
accrescitive, da migliorare poi in un eventuale contrattazione di
secondo livello.
Di questo si parla da tempo nelle
organizzazioni sindacali. In particolare per merito della Fiom.
Se non se ne è venuto a capo le responsabilità, è inutile
nasconderselo, sono anche interne al movimento sindacale, sia per
quanto riguarda l’aspetto della rappresentanza, ove il sindacato
degli iscritti modello Cisl si è scontrato con il sindacato di tutti
i lavoratori mutuato dai momenti migliori della storia del movimento
sindacale; sia per quanto riguarda il tema del salario minimo, ove
la paura di perdere ruolo ha paralizzato ogni proposta.
Il governo ne approfitta per cercare
di cancellare del tutto contrattazione e sindacato.
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