L'articolo, di cui riportiamo 2 stralci, di Felice Roberto Pizzuti, apparso su Il Manifesto il 23 ottobre, è un esempio di giornalismo che invece di chiarire, imbroglia la realtà.
Si scrive anche cose giuste ma non si vuole comprendere che i padroni e il governo Renzi non hanno affatto l'obiettivo di impedire il declino economico della società, nè di far funzionare le leggi economiche a vantaggio di tutti i soggetti, di fatto considerando sullo stesso piano: aziende, lavoratori.
Si parla di "paese" quando nel paese ci sono il pugno di padroni che si continua ad arricchire sullo sfruttamento dei lavoratori, e ci sono i lavoratori e le masse popolari che invece continuano ad impoverirsi.
Padroni e governo hanno un unico obiettivo, difendere i profitti capitalisti e per questo calpestano ogni logica che potrebbe sembrare di "buon senso"; e mentre tentano di salvaguardare i profitti e il sistema del capitale dalla crisi, approfondiscono la crisi dei lavoratori, delle masse popolari.
Ogni analisi "logica" che non pone come ineludibile il rovesciamento del sistema del capitale contribuisce a far apparire il peggioramento della situazione come frutto di incapacità o di errata politica - tanto che fanno i "suggeritori" a padroni e governo per riportarli sulla retta vita, perchè quella che stanno percorrendo non converrebbe neanche a loro - e non delle leggi proprie del capitale.
(Segue l'Editoriale di proletari comunisti pubblicato il 15 ottobre)
"Dopo il Jobs act, nella legge di Stabilità il governo...intende modificare il modello delle relazioni industriali, spostando il baricentro della contrattazione dalla sfera nazionale a quella aziendale...
Il decentramento contrattuale viene motivato sostenendo che le dinamiche salariali dovrebbero essere connesse a quelle della produttività rilevate in ciascun posto di lavoro. Tuttavia, questa proposta è priva di solide argomentazioni analitiche, accentuerebbe il nostro declino economico e sarebbe socialmente dannosa.
Non v’è dubbio che la crescita del Pil di un paese sia legata alla dinamica della produttività, ma – si badi bene — a quella del suo complessivo sistema produttivo.... tuttavia:
a) esso si applica in modo disomogeneo nei diversi settori produttivi e nelle singole aziende;
b) i suoi effetti sulla produttività non necessariamente sono rilevabili la dove esso si genera;
c) le variazioni di produttività rilevate in un’azienda comunque trascendono l’impegno dei suoi lavoratori;
d) in ogni caso, anche storicamente, le dinamiche salariali dei lavoratori di diversi settori non dipendono molto dall’evoluzione delle produttività misurate in ciascuno di essi...
...La proposta di legare i salari alla produttività aziendale e di privilegiare la contrattazione decentrata, oltre che carente analiticamente, presenta due gravi controindicazioni per la crescita e gli equilibri sociali, specialmente nel nostro paese.
In primo luogo, il legame tra produttività aziendale e salari accentuerebbe la frammentazione del sistema produttivo...
In secondo luogo, i lavoratori impiegati nei diversi settori produttivi convivono in una stessa società e hanno bisogni simili cosicché, se le dinamiche delle produttività aziendali e settoriali come emergono dalle misurazioni possibili fossero fortemente disomogenee (come è normale che accada) e se le dinamiche retributive fossero corrispondentemente diverse (come si vorrebbe che fosse), si creerebbero maggiori disparità e problemi di coesione sociale, a cominciare da conflitti e divisioni interni agli stessi lavoratori.
Alimentare queste tendenze disgreganti non gioverebbe allo sviluppo del Paese...
Si scrive anche cose giuste ma non si vuole comprendere che i padroni e il governo Renzi non hanno affatto l'obiettivo di impedire il declino economico della società, nè di far funzionare le leggi economiche a vantaggio di tutti i soggetti, di fatto considerando sullo stesso piano: aziende, lavoratori.
Si parla di "paese" quando nel paese ci sono il pugno di padroni che si continua ad arricchire sullo sfruttamento dei lavoratori, e ci sono i lavoratori e le masse popolari che invece continuano ad impoverirsi.
Padroni e governo hanno un unico obiettivo, difendere i profitti capitalisti e per questo calpestano ogni logica che potrebbe sembrare di "buon senso"; e mentre tentano di salvaguardare i profitti e il sistema del capitale dalla crisi, approfondiscono la crisi dei lavoratori, delle masse popolari.
Ogni analisi "logica" che non pone come ineludibile il rovesciamento del sistema del capitale contribuisce a far apparire il peggioramento della situazione come frutto di incapacità o di errata politica - tanto che fanno i "suggeritori" a padroni e governo per riportarli sulla retta vita, perchè quella che stanno percorrendo non converrebbe neanche a loro - e non delle leggi proprie del capitale.
(Segue l'Editoriale di proletari comunisti pubblicato il 15 ottobre)
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Dall'art. di Pizzuti "Perchè legare i contratti alla produttività non funziona""Dopo il Jobs act, nella legge di Stabilità il governo...intende modificare il modello delle relazioni industriali, spostando il baricentro della contrattazione dalla sfera nazionale a quella aziendale...
Il decentramento contrattuale viene motivato sostenendo che le dinamiche salariali dovrebbero essere connesse a quelle della produttività rilevate in ciascun posto di lavoro. Tuttavia, questa proposta è priva di solide argomentazioni analitiche, accentuerebbe il nostro declino economico e sarebbe socialmente dannosa.
Non v’è dubbio che la crescita del Pil di un paese sia legata alla dinamica della produttività, ma – si badi bene — a quella del suo complessivo sistema produttivo.... tuttavia:
a) esso si applica in modo disomogeneo nei diversi settori produttivi e nelle singole aziende;
b) i suoi effetti sulla produttività non necessariamente sono rilevabili la dove esso si genera;
c) le variazioni di produttività rilevate in un’azienda comunque trascendono l’impegno dei suoi lavoratori;
d) in ogni caso, anche storicamente, le dinamiche salariali dei lavoratori di diversi settori non dipendono molto dall’evoluzione delle produttività misurate in ciascuno di essi...
...La proposta di legare i salari alla produttività aziendale e di privilegiare la contrattazione decentrata, oltre che carente analiticamente, presenta due gravi controindicazioni per la crescita e gli equilibri sociali, specialmente nel nostro paese.
In primo luogo, il legame tra produttività aziendale e salari accentuerebbe la frammentazione del sistema produttivo...
In secondo luogo, i lavoratori impiegati nei diversi settori produttivi convivono in una stessa società e hanno bisogni simili cosicché, se le dinamiche delle produttività aziendali e settoriali come emergono dalle misurazioni possibili fossero fortemente disomogenee (come è normale che accada) e se le dinamiche retributive fossero corrispondentemente diverse (come si vorrebbe che fosse), si creerebbero maggiori disparità e problemi di coesione sociale, a cominciare da conflitti e divisioni interni agli stessi lavoratori.
Alimentare queste tendenze disgreganti non gioverebbe allo sviluppo del Paese...
pc 15 ottobre - Lo scontro politico sui contratti - Editoriale proletari comunisti-PCm Italia
I padroni, forti del governo Renzi, il governo più padronale del dopoguerra, si sentono sufficientemente forti per un'ulteriore offensiva antioperaia, antisindacale.
Per questo i toni del presidente della Confindustria, Squinzi, negli ultimi tempi sono sempre più simili a quelli di Marchionne.
In materia di rinnovi dei contratti si vuole dare un colpo finale al contratto nazionale. Da un lato dietro l'affermazione di rito “il contratto collettivo nazionale di lavoro mantiene la sua centralità e la sua funzione”, si procede invece con una sua sostanziale cancellazione, rimandando le materie della trattativa su salario, condizioni di lavoro, mansioni alla cosiddetta “contrattazione aziendale” che è stata da sempre la fregatura per imporre, azienda per azienda e poi in generale, taglio dei salari, più sfruttamento, con allungamento orario di lavoro, ecc.
Sugli aumenti salariali si vuole sostanzialmente cancellare ogni riferimento all'inflazione programmata e lasciare in campo solo il legame tra salario e produttività, dove però la stessa produttività è ormai intesa come mercato.
Sugli aumenti salariali si vuole sostanzialmente cancellare ogni riferimento all'inflazione programmata e lasciare in campo solo il legame tra salario e produttività, dove però la stessa produttività è ormai intesa come mercato.
Ma questo sarebbe ancora nell'ordine delle cose, queste richieste padronali non sono nuove e sono una costante negli ultimi decenni, prima della crisi, durante la crisi, con il sostegno di tutti i governi che si sono succeduti.
Il salto di qualità della richieste della Confindustria è contenuto nella prima regola delle linee guida che la Confindustria ha appena diffuso alle categorie impegnate nella prossima tornata contrattuale: “Non si deve assolutamente rinunciare ad applicare le novità del jobs act”.
Questo pone la Confindustria tutta sulle linee contenute sostenute da Marchionne per il gruppo Fiat, oggi Fca che era stato uno dei motivi dell'uscita della Fiat dalla Confindustria. E' il punto che sancisce il legame ferreo tra padroni e governo Renzi che si pone a diktat nel rinnovo dei contratti nazionali e inserisce i nuovi contratti nella cornice dell'assetto neocorporativo di stampo moderno fascista.
Mettere a premessa dei contratti il jobs act, vuol dire mettere a premessa la libertà di licenziamento, la flessibilità e precarietà selvaggia e l'azzeramento dei diritti dei lavoratori nel loro complesso, sia pure sotto la veste “valido per i nuovi assunti”.
Se non si comprende questo è evidente che non si coglie il nodo politico che è al centro del rinnovo contrattuale, che non è tanto le piattaforme, su cui si assiste al solito gioco delle parti.
Gioco delle parti, tanto per cominciare, che non esiste nella maggiorparte delle categorie che rinnovano i contratti. I chimici, ad esempio, hanno presentato pressocchè sempre piattaforme unitarie e hanno firmato accordi spesso senza scioperi, sempre non rispondenti alle esigenze dei lavoratori e peggiorativi nelle normative sulle condizioni di lavoro, secondo una linea collaborazionista neocorporativa che è storica di questi sindacati di categoria dal finire degli anni '70 in poi.
Quindi prendiamo in considerazione i metalmeccanici che sono il cuore, come sempre, del rinnovo dei contratti nazionali. Qui il gioco delle parti vede Fim e Uilm che hanno già presentato la loro piattaforma, i cui dettagli analizzeremo in seguito, e la Fiom che ne presenta un'altra tutta di bandiera, ben sapendo che non conterà nulla ai tavoli della trattativa reale e serve solo al gruppo dirigente per animare il falso movimento che non ha portato alcun risultato agli operai, almeno nelle ultime tre tornate contrattuali.
Ma il punto vero su cui occorre battersi perchè ci sia comprensione tra gli operai, è che le piattaforme non contano davvero nulla. Lo scontro sui contratti è uno scontro sindacale nella forma, tutto politico nella sostanza.
La classe operaia e i lavoratori hanno necessità di contestare la gabbia neocorporativa padroni e governo, trasformando la vicenda contrattuale in guerra di classe, il che significa agire dentro le fabbriche e le assemblee operaie, fuori e contro tutte le direzioni sindacali, imponendo rivendicazioni salariali, tutele del lavoro e delle condizioni di lavoro sulla base di nuove forme di lotta che non riconoscano nessuna legittimità alle normative vigenti e alla ritualità che sono solo una camicia di forza per imporre la cancellazione del contratto nazionale e non la sua ripresa, le norme della subordinazione assoluta agli interessi dei padroni e la riduzione della classe operaia a senza diritti e in regime di schiavismo.
La classe operaia e i lavoratori hanno necessità di contestare la gabbia neocorporativa padroni e governo, trasformando la vicenda contrattuale in guerra di classe, il che significa agire dentro le fabbriche e le assemblee operaie, fuori e contro tutte le direzioni sindacali, imponendo rivendicazioni salariali, tutele del lavoro e delle condizioni di lavoro sulla base di nuove forme di lotta che non riconoscano nessuna legittimità alle normative vigenti e alla ritualità che sono solo una camicia di forza per imporre la cancellazione del contratto nazionale e non la sua ripresa, le norme della subordinazione assoluta agli interessi dei padroni e la riduzione della classe operaia a senza diritti e in regime di schiavismo.
L'opposizione interna alla Fiom, il “Sindacato è un'altra cosa”, dice in generale cose molto giuste nella critica all'orientamento maggioritario della Cgil e alle conciliazioni di Landini; ma la sua presenza in fabbrica resta vincolata a un modo di fare la lotta e costruire l'organizzazione sindacale di classe che oggi è inadeguato a contrastare il sindacalismo collaborativo e ad offrire un'alternativa di percorso.
Il sindacalismo di base nella sua espressione maggioritaria ha un peso in singole aziende ma non può averlo nella dimensione della battaglia nazionale, dove rimangono le vecchie logiche burocratiche, autoreferenziale, buona per qualche tessera ma inadeguata nell'animare l'effettivo conflitto di classe.
Anche i gruppi di operai e lavoratori che si muovono fuori da questi contesti non riescono oggi ad avere né progettualità né stile di lavoro che possa riorganizzare dal basso i lavoratori.
Lo Slai cobas di Pomigliano ed Arese riduce tutta la sua attività ormai a vertenze legali esemplari che certamente non possono far rinascere la forza dei cobas in seno alle fabbriche attuali.
Gruppi di operai attivi come quelli della Marcegaglia e quelli recentemente riunitisi nell'ambito e intorno al Si.Cobas su spinta del Comitato dei cassintegrati con una proposta di rete, sono pieni di lodevoli intenzioni ma hanno scelto principalmente la via o dell'azione “eclatante”, utile in alcune circostanze, ma francamente inutile e anche controproducente per una riorganizzazione effettiva nelle fabbriche e posti di lavoro, improponibile per la massa degli operai.
Anche nella riunione della rete (Si.Cobas) la prospettiva è la piattaforma alternativa, che è, come dire, cominciare dalla fine. Come dimostra invece in maniera eloquente tutta l'esperienza di lotta degli immigrati della logistica, c'è prima la ribellione, la lotta dura, la conquista sul campo dei lavoratori, che poi naturalmente può cementarsi in una piattaforma da contratto nazionale.
In questo panorama non ci sono oggi vie facile o scorciatoie se non quella di usare la battaglia contrattuale per tradurre nei fatti, generalizzando focolai ed esperienze avanzate secondo la linea indispensabile della guerra di classe.
Questo è difficile ma è possibile.
proletari comunisti - PCm Italia
15-10- 2015
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