mercoledì 28 ottobre 2015

pc 28 ottobre - DALLA RIVOLTA DELLE BANLIEUES A OGGI - UN INTERESSANTE COMMENTO

     "Qualcosa forse è cambiato, ma in peggio"

Dall'intervista su Il Manifesto al sociologo Fabien Truong: «Sussistono istanze di rivolta. E dopo Charlie Hebdo i media fomentano paure»

Dieci anni fa, dopo la morte il 27 otto­bre di Zyed e Bouna, due gio­vani ful­mi­nati in una cen­tra­lina elet­trica a Clichy-sous-Bois dove si erano rifu­giati per paura della poli­zia, per tre set­ti­mane le ban­lieues fran­cesi sono state in rivolta.
Dieci anni dopo, nel 2015 ini­ziato con gli atten­tati a Charlie-Hebdo e all’Hyper Cacher, qual è la situa­zione? Lo chie­diamo al socio­logo Fabien Truong, autore di studi sul campo, tra cui Des capu­ches et des hom­mes (Buchet, 2013) e Jeu­nes­ses fra­nçai­ses, Bac +5 made in ban­lieue (La Décou­verte, 2015), pro­fes­sore all’università di Paris VIII dopo essere stato a lungo inse­gnante di liceo in cit­ta­dine della peri­fe­ria parigina.

2005–2015, la Fran­cia non è più la stessa. Cosa è cam­biato nelle banlieues?
Dieci anni dopo, non sono cam­biate le con­di­zioni di vita eco­no­mica e sociale nei quar­tieri di peri­fe­ria. La disoc­cu­pa­zione, il pre­ca­riato mostrano che la situa­zione gene­rale non è miglio­rata e che sus­si­stono ragioni pro­fonde di un sen­ti­mento di rivolta in una parte della popo­la­zione. Invece, è cam­biato lo sguardo che la popo­la­zione che non abita que­sti quar­tieri porta sui gio­vani e gli abi­tanti delle ban­lieues. Que­sto sguardo è peg­gio­rato. Nel 2005 sono cir­co­late imma­gini sen­sa­zio­nali, che hanno fatto il giro del mondo, con auto bru­ciate, nella notte. Ne è seguita una stig­ma­tiz­za­zione che ha model­lato l’inconscio col­let­tivo, non solo in Fran­cia. In più, dieci anni dopo a que­ste imma­gini si è aggiunta la que­stione reli­giosa, la veloce sequenza tra rivolta-Charlie-Hebdo-Daech, la stig­ma­tiz­za­zione dell’islam e degli abi­tanti delle ban­lieues, iden­ti­fi­cati al loro tasso di mela­nina. I media gio­cano su que­ste imma­gini per cap­tare l’angoscia.

Secondo lei l’identità delle ban­lieues è quindi impo­sta dall’alto?
La morte di Zyad e Bouna è legata alla paura reale dei gio­vani, che subi­scono con­trolli di poli­zia quo­ti­diani, vit­time di una pre­sun­zione di col­pe­vo­lezza e scap­pano di fronte agli agenti. La rea­zione è stata una vera rivolta. Dai miei studi sul campo, dove ho seguito dal 2005 a oggi le tra­iet­to­rie di vari gio­vani dopo aver inse­gnato per anni in peri­fe­ria, viene fuori un sen­ti­mento dif­fuso, che un gio­vane, Yous­sef, ha rias­sunto bene: siamo fran­cesi, ma non francesi-francesi. Ma sag­gi­sti, edi­to­ria­li­sti che non hanno con­tatti diretti con que­sta realtà li pre­sen­tano sotto un occhio nega­tivo, fomen­tano paure, creando un’identità negativa.

Quali sono le aspi­ra­zioni di que­sti giovani?
La pre­oc­cu­pa­zione prin­ci­pale è come tro­vare il pro­prio posto nella società, a par­tire da un’identità mul­ti­pla. Nel tempo, si adat­tano a un com­por­ta­mento da cavallo a don­dolo, tra i nuovi codici sociali che devono impa­rare e la paura di tra­dire le ori­gini. In molti rie­scono, anche se è più dif­fi­cile che per altri. Par­lare di inte­gra­zione è una falsa que­stione. In molti impa­rano a costruire ponti tra i diversi ambienti, il tasso di riu­scita, anche sco­la­stica, non è tra­scu­ra­bile, del resto in dieci anni non ci sono state più rivolte. Ma devono fare i conti con le con­di­zioni eco­no­mi­che, che non sono miglio­rate e con lo sguardo che la società porta su di loro, che si è indurito.

Hol­lande qual­che giorno fa è stato accolto dai fischi a La Cour­neuve, che nel 2012 aveva votato mas­sic­cia­mente per lui. È cam­biato qual­cosa rispetto a Sar­kozy? Esi­ste una poli­ti­ciz­za­zione specifica?
Hol­lande ha deluso, non c’è dub­bio. Nel 2012 il voto era stato soprat­tutto un refe­ren­dum anti-Sarkozy. Que­sti gio­vani hanno opi­nioni poli­ti­che, ma tro­vano dif­fi­coltà a rico­no­scersi nei par­titi tra­di­zio­nali. Ma que­sto non è un pro­blema spe­ci­fico delle ban­lieues. C’è stata una gene­ra­zione di mili­tanti, quella della Mar­che dei primi anni ’80, era una grande oppor­tu­nità che poi ha deluso e oggi ne paghiamo le con­se­guenze. La poli­tica non offre modelli, così anche que­sti gio­vani com­bat­tono piut­to­sto per costruirsi per­corsi indi­vi­duali e tro­vare il loro posto nella società.

Nessun commento:

Posta un commento