Napolitano, inizia mettendo le mani avanti, tanto per chiarire come deve andare la deposizione...: “Credo di avere una discreta memoria, ma una simile memoria di elefante per ricordare tutti i dettagli di quel periodo, da cui ci distanziano oltre venti anni, francamente no”. La memoria non accompagna il presidente neanche poco dopo, quando sempre Di Matteo chiede a Napolitano se per caso avesse avuto notizia della nota della Dia dell’agosto 1993, quella dove si specifica come “l’eventuale revoca, anche solo parziale” dei 41 bis, “potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato”. “Non ricordo” dice Napolitano che poi si rivolge sempre a Montalto: “Mi permetto di osservare che ci stiamo allontanando di molti chilometri dal luogo, diciamo, della originaria sollecitazione di una mia testimonianza. E poi davvero un po’ supponendo che io abbia una memoria che farebbe impallidire Pico della Mirandola ricordare ogni elemento, se mi fu data quella nota, come reagirono tizio e caio, francamente non credo di poter rispondere”.
La deposizione avviene poi in un clima di "servilismo" imbarazzante e di una precisa e non modificabile casistica delle domande che si possono fare e di quelle che NON si possono fare...:
"l’avvocato Milio comunica
l’intenzione di non fare domande per il “rispetto istituzionale”
nutrito dai suoi clienti nei confronti del presidente; l’avvocato Nicoletta
Piergentili,
che difende Mancino, comunica a Napolitano la sua “emozione”
per trovarsi “davanti alla sua persona” e soprattutto agli
“splendidi arazzi” della Sala del Bronzino".
Nel verbale non entra mai la parola "trattativa", ma solo "ricatto" e "al massimo pressione":
«In realtà quegli attentati (in particolare le bombe del '93) per mettere i pubblici
poteri di fronte a degli aut-aut, perché questi
aut-aut potessero avere per sbocco una richiesta di
alleggerimento delle misure soprattutto di
custodia in carcere dei mafiosi o potessero avere
per sbocco la destabilizzazione
politico-istituzionale del paese e naturalmente era
ed è materia opinabile».
.
Il massimo dell'atteggiamento "Niente sacciu, e i fatti miei mi facciu" si manifesta quando Napolitano risponde sulla lettera di D'Ambrosio - in cui tutto viene come minimo "normalizzato":
"Eravamo,
questo ogni tanto è difficile farlo intendere, una squadra di
lavoro... e solo di lavoro quotidiano, corrente, discorrevamo tra di
noi, non su che cosa avesse fatto il mio Consigliere Militare da Capo
di Stato Maggiore della Difesa o da Generale Comandante della Guardia
di Finanza, né con il mio Consigliere per gli Affari
Giuridico-Costituzionali...
Un
passaggio centrale della deposizione ruota attorno alla lettera di
dimissione - poi respinte - che D’Ambrosio scrisse nel giugno 2012
dopo l’uscita delle telefonate, intercettate, di Nicola Mancino,
preoccupato per i possibili sviluppi del procedimento Stato-mafia e
per una, a suo dire, scarsa collaborazione tra le tre Procure che
indagavano su vicende analoghe (Palermo, Caltanissetta e Firenze). In
quella missiva D’Ambrosio manifesta tra l’altro il timore di
poter essere stato «utile scriba per indicibili accordi». Cosa vuol
dire quella frase? Napolitano riferisce che D’Ambrosio non gli
spiegò le cause del suo timore. «Certamente, non ha con me mai
aggiunto parola dopo, né aveva anticipato parola prima»... «Lei ha mai avuto sentore di
queste inquietudini del consigliere D’Ambrosio per quelle attività
del periodo 89-93?», viene chiesto al Capo dello Stato. «No io ho
constatato de visu il suo profondissimo stato di ansietà e anche di
indignazione perché era un uomo che aveva dedicato tutta la sua vita
al servizio dello Stato», è la risposta di Napolitano, che descrive
un uomo in uno stato di «esasperazione», «amareggiato perché
vedeva mettere in dubbio la sua lealtà di servitore dello Stato».
La sua era la lettera di un uomo «sconvolto». E l’annuncio di
dimissioni contenuto all’interno fu per Napolitano un «fulmine
ciel sereno...
Napolitano dà una descrizione del suo lavoro che fa invidia alla satira di Crozza: "no... parlavamo di cose quotidiane..." (che si mangia a pranzo...)
Napolitano legge nelle lettera di D'Ambrosio di "indicibili accordi" e non fa un "salto sulla sedia", non chiede a D'Ambrosio di spiegare questi "indicibili accordi"... Di più, fa passare il suo Consigliere per "uomo sconvolto" che non ci stava con la testa.
Le auto bombe, i rischi di colpi di Stato, gli attentati... sono tutti descritti come "voci", a cui lo Stato avrebbe risposto con "molta sensibilità e molta consapevolezza"... I servizi segreti parlano anche di "attentato stragista con il maggior numero possibile di vittime...", e Napolitano va a farsi una "brevissima vacanza"...
Il
1993 è l’anno terribile delle auto bombe, in via Fauro a Roma, in
Via dei Georgofili a Firenze e, nella notte tra il 27 e il 28 luglio
del 1993, contestualmente in Via Palestro a Milano e a San Giovanni
Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma. Segue a un altro anno di
sangue, segnato tra l’altro dagli attentati a Giovanni Falcone e
poi a Paolo Borsellino. Il clima di quegli anni viene più volte
rievocato nel corso della deposizione. Nell’agosto del ’93 il
presidente del Consiglio Ciampi temette un colpo di Stato ed è lo
stesso Napolitano a ricordarlo: «Quando il presidente del Consiglio
dice `abbiamo rischiato un colpo di Stato´ se non c’è allora
fibrillazione vuol dire che il corpo non risponde a nessuno stimolo».
E Napolitano ricorda anche l’episodio del blackout a Palazzo Chigi
nella notte delle bombe a Roma e Milano, definendolo «un classico
ingrediente di colpo di Stato». Ciampi definì «inquietante» quel
black out. E «non ci fu assolutamente sottovalutazione» di quanto
stava accadendo, «c’era molta vigilanza, molta sensibilità e
molta consapevolezza della gravità di questi fatti».
Sugli attentati: "Io fui
informato, senza vedere carte, senza sapere di note del Sismi o di
chicchessia, fui informato che c'erano voci, erano state raccolte da
confidenti notizie circa un possibile attentato alla mia persona o a
quella del Senatore Spadolini". Nella sua deposizione Napolitano
rievoca anche le notizie su un possibile attentato contro di lui,
lanciato dai servizi segreti nel 1993... "ma non sono uno
specialista del linguaggio dei Servizi, suppongo che avrebbe dovuto esserci prima un attentato
stragista con il maggior numero possibile di vittime e a seguire si
sarebbe dovuto colpire un rappresentante delle istituzioni politiche.
Ne fui informato, adesso spiego un pò meglio, perché in
quell'estate del 1993 io feci una brevissima vacanza, come da molti
anni, nell'isola di Stromboli".
Sul decreto 41bis, a domanda se vi erano differenti posizioni, Napolitano risponde vago: "Non credo...":
Nel
giugno del ’92, dopo la strage di Capaci, viene varato dal governo
un decreto che istituisce il carcere duro per i mafiosi, introducendo
il 41 bis nell’ordinamento penitenziario. Il testo è convertito in
legge ad agosto, poche settimane dopo la strage di via D’Amelio in
cui viene ucciso Borsellino... A Di Matteo che gli
chiede se ci fosse stato un dibattito politico sulla conversione del
decreto, il capo dello Stato risponde: «Non credo che nessuno,
allora, pensò che in una situazione così drammatica si potesse
lasciare decadere il decreto alla scadenza dei 60 giorni, per poi
rinnovarlo».
Napolitano, nega di fatto qualsiasi "trattativa", benchè ampiamente confermata da tutte le deposizioni dei pentiti, da esponenti politici e del governo, allora di primo piano come Martelli; anzi derubrica la stessa parola "ricatto" a "pressione":
Il
termine «ricatto» entra nella deposizione attraverso le domande del
pm Nino Di Matteo. «Quindi, lei ha detto, - chiede il magistrato -
si ipotizzò subito la matrice unitaria e la riconducibilità ad una
sorta di aut-aut, di ricatto della mafia, ho capito bene?» «Ricatto
o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema»,
risponde Napolitano. E aggiunge: «Probabilmente presumendo che ci
fossero reazioni di sbandamento delle Autorità dello Stato».
Napolitano, come egli stesso premette, sta riportando anche in questo
caso quale fosse «la valutazione comune alle autorità istituzionali
in generale e di Governo in particolare» sulle stragi. Se nel
verbale entra la parola «ricatto», non entra mai invece quello
«trattativa».
Le componenti in Cosa Nostra, con cui lo Stato fece la "trattativa", diventano al massimo un "oggetto della pubblicistica italiana in quegli anni":
Che
ci fossero due componenti all’interno di Cosa Nostra, una delle
quali più aggressiva, la cosiddetta ala stragista, era cosa di cui
si parlava nella pubblicistica dell’epoca. Napolitano, nella sua
deposizione, da una parte non nega che possano esserci state queste
componenti, dall’altra sottolinea però come questo fosse un dato
piuttosto noto. E lo fa in riferimento a una domanda su una audizione
dell’allora ministro della Giustizia Conso che di fronte alla
commissione Antimafia parlò delle due fazioni. «L’analisi secondo
la quale c’erano tendenze contrapposte in seno alla mafia - afferma
Napolitano - ha formato oggetto della pubblicistica italiana in
quegli anni. C’era molto probabilmente una spaccatura, ma questo lo
si capiva senza bisogno di essere politologi, scienziati della
politica o sapienti giuristi come Conso».
Su Vito Ciancimino, le risposte di Napolitano sono volutamente vaghe: "si, forse... Violante può anche avermene parlato...".
Un
altro aspetto approfondito in sede di udienza riguarda la richiesta
che l’ex sindaco di Palermo, colluso con la mafia, fa di essere
sentito dalla commissione bicamerale Antimafia presieduta da Luciano
Violante. Fu lo stesso Violante a informare Napolitano, della
richiesta di Ciancimino. La commissione decise poi di non ascoltarlo.
Ma sulle ragioni, il Capo dello Stato, non entra. Dell’intenzione
di Ciancimino di essere sentito, Violante «può anche avermene
parlato - riporta infatti Napolitano - ma non perché io mi
pronunciassi».
In uno Stato minimamente legale Napolitano dovrebbe a questo punto essere considerato un testimone reticente e falso e dovrebbe passare da "testimone" a imputato"...
Ma qui siamo alla sceneggiata dello Stato "democratico", della "giustizia al di sopra delle parti", per nascondere ancora una volta quello che realmente è successo e cosa è lo Stato borghese:
"Il ricatto della mafia a governo e Stato c'è stato, lo Stato lo ha accettato trattando con la mafia, la mafia ne ha beneficiato e rilanciato... Nel sistema del capitale, Stato borghese e mafia non possono che convivere e colludere, perchè la mafia è parte della borghesia e lo Stato borghese rappresenta sempre tutta la borghesia nel suo insieme"
Ma qui siamo alla sceneggiata dello Stato "democratico", della "giustizia al di sopra delle parti", per nascondere ancora una volta quello che realmente è successo e cosa è lo Stato borghese:
"Il ricatto della mafia a governo e Stato c'è stato, lo Stato lo ha accettato trattando con la mafia, la mafia ne ha beneficiato e rilanciato... Nel sistema del capitale, Stato borghese e mafia non possono che convivere e colludere, perchè la mafia è parte della borghesia e lo Stato borghese rappresenta sempre tutta la borghesia nel suo insieme"
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