Guardia carceraria arrestata per mafia
La Spezia - Al carcere spezzino lo conoscevano come assistente di polizia penitenziaria, uno con la divisa, uno che rappresenta la legge. Era, invece, secondo l’antimafia, qualcosa di ben diverso, addirittura il capo di un’organizzazione mafiosa che dettava legge a Enna, con estorsioni e minacce. Salvatore Gesualdo, 32 anni, è stato arrestato ieri, con grande sconcerto di tutti i colleghi.Secondo la direzione antimafia di Caltanissetta, dietro l’uniforme nascondeva qualcosa di ben diverso: la consuetudine all’uso della forza, per ottenere il pizzo e per controllare le forniture delle opere pubbliche e private, e per spostare voti, in occasione delle consultazioni elettorali. Un uomo a due volti, insomma, quello irreprensibile, di chi sta con la legge, e quello inaspettato, di chi la legge la viola.
Nato a Renschid, in Germania, Salvatore Gesualdo le sue radici le ha in Sicilia. E in Sicilia, nonostante la giovane età, si sarebbe ritagliato uno spazio di comando, alla cosca di Enna.
Prima come collaboratore del boss Giancarlo Amaradio, e poi come suo erede, dopo l’arresto del capo. A tradirlo sono state le sue frequentazioni, ma anche la testimonianza di ben tre pentiti. Il fatto è che l’antimafia lo aveva messo sotto la lente d’ingrandimento, perché lo aveva notato ad alcune riunioni di mafia, importanti. E quando ieri è rimbalzata la notizia dell’arresto, riportata subito dalle testate siciliane, come Il Fatto Nisseno, si è saputo che la Dda lo aveva perfino fotografato, durante quei summit.
L’inchiesta è stata lunga. Basti solo dire che polizia e carabinieri hanno lavorato fianco a fianco, per mesi, per smantellare quella rete di cosa nostra che “avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà, commetteva delitti di ogni genere”. La Dda parla di associazione armata, con “l’aggravante del reato di cui all’articolo 416 bis, per aver diretto e organizzato l’associazione, assumendo la direzione della famiglia di Enna”.
La collaborazione tra Gesualdo e Amaradio sarebbe andata avanti almeno per cinque anni, fra il marzo del 2007 ed il 2012. Negli atti d’accusa, si parla di esplicite richieste di denaro, agli imprenditori, con la minaccia di rovinarli, in caso di rifiuto. I locali dovevano “mettersi in regola con la famiglia mafiosa”. E se non pagavano, o venivano intimiditi, o privati della possibilità di lavorare, anche con “manovre finalizzate a distogliere i clienti”. Dopo l’arresto di Amaradio, il 24 giugno 2009, nell’ambito dell’operazione Green Line, Gesualdo avrebbe fatto il salto di qualità. Era stato notato dalle forze dell’ordine, durante alcune operazioni, sia a Regalbuto che a Catenanuova: culminate in diversi arresti. Erano emersi così i suoi collegamenti con personaggi di spicco di cosa nostra: e non solo.
Un imprenditore edile aveva accusato sia Amaradio che Gesualdo di averlo minacciato, e trascinato in un’abitazione rurale, nella disponibilità proprio della guardia carceraria, e poi picchiato, per convincerlo a pagare. In un altro caso, durante una analoga richiesta di denaro al gestore di una discoteca, l’assistente della polizia penitenziaria avrebbe specificato che si trattava “di un contributo per i detenuti, per le festività natalizie”. Accuse pesanti, insomma, dalle quali ora il trentaduenne dovrà tentare di discolparsi. Secondo la Dda, l’asse fra boss e agente, sarebbe continuata anche dopo l’arresto del capo mafia: dal carcere. Solo che il primo scontava la sua pena in cella, l’altro risultava in servizio, in nome della legge.
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