Intervista alla Piattaforma di Intervento Sociale sulle esperienze di lotta per il diritto all’abitare, le politiche del governo Meloni e la repressione di Bologna.
da Dinamopress
Lo scorso mercoledí 6 dicembre sono state sgomberate con violenza due occupazioni a Bologna. Di quali esperienze di occupazione abitativa si tratta e qual è la loro storia?
Verso le 9 del mattino, dopo aver atteso che le famiglie portassero i/le bambine a scuola e andassero al lavoro, il condominio sociale di via di Corticella 115 è stato circondato da 8 reparti di celere per attuare lo sgombero. Il palazzo faceva parte del Radical Housing Project, un progetto di autorecupero contro l’emergenza abitativa nato questa primavera nel contesto della Piattaforma di Intervento Sociale e che al momento autogestisce un altro condominio sociale in via Carracci, dove abitano 32 nuclei.
All’interno del palazzo si trovavano ancora alcune persone, che si sono barricate all’interno. Verso le 10 del mattino, quando si è iniziato a ingrossare in strada un presidio solidale, è partita
la prima di una lunga serie di cariche che hanno costellato le ore successive. Al presidio erano accorse anche numerose persone da un’altra occupazione abitativa in città, Glitchousing, nata sull’onda della protesta delle tende. Proprio sfruttando il fatto che l’enorme palazzo sui viali in zona universitaria fosse rimasto sguarnito, altri numerosi reparti di celere hanno chiuso la strada e attorno alle 10.30 iniziato le operazioni di sgombero di questa seconda occupazione.Si tratta dunque di due occupazioni tra loro molto diverse, che tuttavia convergevano nel segnalare come il tema abitativo sia oggi una delle questioni sociali più pesanti di Bologna. Rispetto al precedente ciclo di lotta (2012-2015), che aveva visto numerose occupazioni abitative in città, la composizione sociale della lotta è notevolmente mutata. Le fasce sociali protagoniste del precedente ciclo erano espressione di forme spesso pesanti di povertà e marginalizzazione, a fronte di un “salto in basso” dovuto agli effetti della crisi finanziaria del 2007-2008. L’impressione è che, purtroppo, la maggior parte di quel tipo di soggettività sociale (tranne ovviamente singoli casi o alcuni begli episodi dovuti anche alle lotte) sia stata progressivamente espulsa dalla città. Oggi agli sportelli di PLAT e nelle occupazioni è attiva una componente sociale che potremmo, usando un’espressione sociologica in voga, definire come working poor. Ieri come oggi si tratta di persone con un passato migratorio, che tuttavia oggi sono spesso da lungo tempo in Italia, hanno lavoro anche stabile e in molte famiglie anche doppio reddito, ma ugualmente non riescono a trovare casa a Bologna.
I motivi sono molteplici, dal razzismo diffuso nei proprietari di case ai costi sempre più alti del mercato immobiliare alla carenza ormai strutturale di alloggi. Anche per quanto riguarda l’occupazione studentesca, se si scatta una fotografia delle decine di persone che abitavano al suo interno si ha subito la sensazione delle trasformazioni sociali intercorse in questo decennio. Se allora le occupazioni erano abitate quasi esclusivamente da studenti fuori sede, a Glitchousing abitavano molti giovani lavoratori dell’indotto del turismo (ristorazione in senso lato).
La polizia ha agito con violenza notevole a piú riprese, perfino contro il corteo serale. Come avete vissuto quella giornata, la resistenza e la mobilitazione dopo lo sgombero? Quali sono le condizioni di chi ha subito direttamente la violenza? Quale è stato il comportamento delle istituzioni cittadine, che si promuovono come progressiste e democratiche, rispetto agli sgomberi?
È stata una giornata intensissima, gli sgomberi ovviamente sono sempre possibili ma in questo caso non erano aspettati. Addirittura su Glitchousing c’era stata una trattativa pubblica con la presenza dell’Università e della proprietà dello stabile, che aveva raggiunto l’accordo per cui l’occupazione sarebbe durata fino all’ultimo giorno delle lezioni universitarie per poi lasciare libero l’edificio in vista di lavori di ristrutturazione che dovrebbero iniziare a gennaio 2024. Quindi è stato molto chiaro il messaggio politico nello sgomberare… Uno sgombero chiaramente comandato da Roma, eseguito grazie all’ormai tristemente noto a Bologna provvedimento di sequestro emesso dalla Procura.
La polizia è stata particolarmente violenta, tantissime le cariche, e con un particolare accanimento contro le giovani compagne. Prendere le botte, vedere donne, uomini e bambini portati fuori di casa, è sempre brutale, fa male. Ma fa anche tanta rabbia, e ha anche generato una lunga e bellissima giornata di resistenza.
Via Corticella, la via principale del quartiere Bolognina, è rimasta totalmente bloccata per 12 ore, fino a notte, e il presidio solidale, nonostante i ripetuti tentativi di dispersione, è sempre rimasto davanti al palazzo. In zona universitaria in contemporanea un presidio sotto Glitchousing ha bloccato l’area fino alle ore 19, quando si è mosso un corteo di centinaia di giovani che ha incendiato una barricata e sviluppato un corteo selvaggio. Una polizia nervosissima ha circondato e caricato su due lati il corteo su via Irnerio, senza però riuscire a disperderlo.
Alle famiglie del Radical Housing Project sono state proposte soluzioni nel medio periodo, mentre nel frattempo la soluzione-tampone degli alberghi è stata rifiutata e la forte solidarietà sviluppatasi sta garantendo la loro ospitalità in contesti più degni nell’attesa di riprendere la lotta. Le giovani di Glitch hanno invece occupato delle aule nel plesso universitario di via Zamboni 38 dove poter dormire.
Le istituzioni cittadine sono state totalmente silenti e assenti. Difficile pensare che il sindaco non sapesse dello sgombero, visto l’arrivo di un nuovo questore in città da poche settimane. Per tutta la giornata sulla pelle delle persone sotto sgombero si è giocato un rimpallo tra questura e Comune su chi dovesse gestirsi il peso politico dello sgombero, coi servizi sociali che non si presentavano. Bologna è piuttosto centrale nelle dinamiche dell’opposizione istituzionale, ma l’impressione che si ha da qui è che questa “opposizione” sia sempre estremamente spaventata dalle piazze e dai movimenti e che ormai si tratti di partiti totalmente polverizzati e personalistici, senza più nessuna capacità di organizzare progetto politico e visione. Non stupisce dunque quanto successo sinceramente, anche se fa indubbiamente rabbia che le questioni sociali siano gestite come questioni di ordine pubblico, da destra come da sinistra.
A Bologna nella primavera 2023 ci sono state una serie di occupazioni che dimostrarono una certa vitalitá dei movimenti cittadini, concluse poi con una serie di sgomberi. Gli sgomberi di ieri si inseriscono in quella stessa scia e di conseguenza nella medesima reazione da parte della questura? Inoltre, ci sono stati recenti sgomberi anche a Catania, lo studentato e il consultorio autogestito, pochi giorni fa. Come possiamo leggere questo scenario in relazione alle politiche abitative del governo Meloni?
Sì a Bologna c’è una certa vivacità in questo periodo. Nel corso dell’anno ci sono state una dozzina di occupazioni (abitative, ecologiste, transfemministe, di spazi sociali), il 22 novembre la piazza transfemminista è stata potentissima, le piazze “palestinesi” hanno fatto esprimere con rabbia decine di migliaia di persone per svariate settimane di fila, e si muovono tantissime piccole esperienze di mobilitazione. Si sta provando a creare una riflessione su come poter costruire dei nuovi spazi comuni per le lotte a partire da questi elementi.
Gli sgomberi sono stati la normale risposta a queste piccole effervescenze, segnalano che purtroppo quella “normalità” che sapevamo essere il problema e a cui non bisognava tornare si è invece riaffermata, anche più brutale di prima. Il problema che ci poniamo è come provare a fermare questa normalità e a costruire degli spazi di offensiva e di immaginazione politica “in avanti” rispetto a quanto si sta muovendo. Queste occupazioni non ci sembrano “resistenziali”, guardano piuttosto alla produzione di nuova metropoli. La sistematicità repressiva nei loro confronti è anche legata a questo piano della sfida. L’importante resistenza del 6 dicembre pensiamo vada sicuramente valorizzata, ma è a un’altra direzione che vogliamo poter guardare.
È evidente, come dite, che queste considerazioni sono da inscrivere in un piano più alto, almeno nazionale, che ha portato a una serie di sgomberi in varie città, con risposte tra loro molto diverse e forse non sempre all’altezza. E che sta aprendo a delle politiche sull’abitare che danno un messaggio molto chiaro da parte del governo: “fatti vostri”! L’anima “sociale” della destra meloniana si è subito venduta ad altri interessi e sta promuovendo un impasto di neoliberismo e autoritarismo sulla questione sociale abitativa.
Pensiamo che dopo la crisi pandemica, bellica e inflattiva il tema degli sfratti e della casa in generale sia purtroppo destinato a esplodere, e dobbiamo essere pronte a fare in modo che questa ondata sociale non finisca in direzioni altre rispetto alle possibilità di una lotta emancipativa.
Parliamo di “abitare” più che di solo “casa”, vedendo oggi la casa come un incrocio di lotte, non solo diritto umano universale di un tetto sopra la testa ma anche laboratorio conflittuale di altri rapporti di genere, nuove forme del lavoro. Guardiamo alla lotta sull’abitare come un’ecologia complessa da costruire, un possibile percorso di trasformazione della metropoli che può fare incontrare molteplici attori e processi. Un percorso che necessita anche di nuovi linguaggi e immaginari, per non rinchiudersi nelle nostalgie passatiste o nella sola difesa, ma per aggredire le trasformazioni attuali. Un esempio su tutti, il turismo: pensiamo sia necessario sviluppare un nuovo discorso e una nuova visione politica, nonché chiaramente delle pratiche concrete, per uscire da una visione di assedio ed estrazione dei territori come unico terreno su cui muoverci rispetto ai flussi turistici. Dobbiamo provare ad aprire a nuovi scenari, ad esempio pretendendo che il reddito generato dal turismo venga speso nell’edilizia popolare.
Quale credete che sia la relazione tra questa crescita della violenza repressiva rispetto al quadro dei provvedimenti del governo Meloni, che continua a redigere pacchetti “sicurezza” volti a restringere lo spazio di agibilità dei movimenti sociali?
Che il governo Meloni tenti in tutte le forme, in modo diretto o preventivo, di contenere, reprimere e prevenire i movimenti pensiamo non possa stupire nessuna/o. E la violenza sta aumentando in generale, a causa dei venti bellici, della reazione patriarcale ai movimenti transfemministi, con l’aumento delle povertà. Sicuramente stiamo vivendo uno dei momenti storici più neri degli ultimi decenni. Vediamo sincronizzarsi le spinte centripete del mondo multipolare, i conseguenti regimi di guerra che si riproducono ovunque. Crediamo però che proprio in questo quadro caotico, anche chi ci comanda ha piuttosto chiaro il quadro di instabilità. In Francia la reazione nettamente autoritaria alla possibilità di scendere in piazza per la Palestina, che di fatto è stata vietata, è anche dovuta al fatto che avevano una paura fottuta che dopo i gilets jaunes, la lotta contro la riforma delle pensioni, le èmeutes di giugno, con una nuova esplosione di piazza rischiasse di “venire giù tutto”.
Certo in Italia la situazione è molto diversa. Questo autunno però ci pare sia andato in controtendenza rispetto agli ultimi anni. Laddove pandemia, guerra e inflazione avevano fatto prevalere paura, isolamento e immobilismo, negli ultimi due mesi dei segnali, delle piccole scintille nella notte, ci portano a provare a scommettere su un cambio di fase. Un po’ in tutta Italia, nelle scuole e nelle università, in molti quartieri, si sono dati piccoli passaggi di lotta. Ci sono stati scioperi significativi. Le piazze palestinesi si sono diffuse ovunque con numeri importanti. La nuova ondata transfem… Quando il governo Meloni legifera contro i movimenti ha bene in mente questi elementi e la loro potenziale espansività. Sta a noi capire come poter fare di questa galassia di iniziative una potenza collettiva, un ecosistema di conflitto in grado di incidere sui rapporti di forza. È una bella sfida che ci poniamo e che rilanciamo collettivamente per il 2024.
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