sabato 12 giugno 2021

pc 12 giugno - Estradare e incarcerare la storia? E perché non sequestrarla nel frattempo? Guai se qualcuno imparasse qualcosa da un passato non troppo lontano!

Oggi, 12 giugno, doveva tenersi a Napoli un convegno/dibattito dal titolo “Estradare e incarcerare la storia?” con il contributo di Paolo Persichetti, Vittorio Bolognesi e Giovanni Gentile Schiavone. Il convegno è stato annullato, per il momento, per “sopravvenuti problemi di alcuni partecipanti”.

Oggi sul sito insorgenze.net, curato da Paolo Persichetti, scopriamo che i problemi non sono solo suoi o di alcuni partecipanti, ma di chiunque capisca l’importanza della ricerca e della storia e del loro ruolo nello sviluppo dell’umanità. 

A Paolo auguriamo di tornare in possesso di tutti i suoi materiali e di smontare brillantemente la bolla di questo stato moderno fascista che vorrebbe far sparire dalla faccia della terra un bel pezzo di ricerca e di storia che appartiene al proletariato. Prima di lasciarvi alle sue parole riportiamo, di seguito, un commento di Silvia De Bernardinis:

Quello che è accaduto a Paolo Persichetti, il sequestro di tutto il suo materiale, con l’accusa/scusa di favoreggiamento e associazione sovversiva con finalità di terrorismo (sic!) oltre ad essere un attacco senza precedenti alla ricerca, un atto di intimidazione a tutti coloro che fanno ricerca lontano dalle “verità” istituzionali, dalla memoria di stato, dà la misura esatta dello stato in cui stiamo vivendo e affondando sempre più, e questo interessa tutti, o almeno dovrebbe. Non si perdona e si cerca di ostacolare Paolo per il lavoro, caparbio e puntuale, metodologicamente rigoroso, con cui in questi anni ha smontato – su base documentale  – una ad una, le fasulle ricostruzioni prodotte dall’ultima Commissione Moro, mostrandone le contraddizioni, svelando le costruzioni montate su teoremi dietrologici. Tutto ciò con grande fatica ha trovato spazi in questi ultimi anni – seppur piccoli rispetto al peso soverchiante della misterologia che dispone di strumenti mediatici inaccessibili a chi non fa dei misteri la sua professione. Si è tradotto e si sta traducendo in linee di ricerca storica che conducono in modo netto ad una distanza siderale dalla memoria di Stato. Tutto questo da oggi diviene reato! Il nesso con le recenti dichiarazioni del ministro della giustizia, rilanciate il 9 maggio dal presidente della Repubblica riguardo alle misteriose verità che dovrebbero essere rivelate è evidente. Come se non ci fossero mai stati processi, migliaia di arrestati, condanne, come fossimo in una sorta di anno zero! Il negazionismo storiografico ne è il supporto ideologico, contro chi non accetta la “memoria condivisa” scende in campo addirittura la procura. Non restiamo in silenzio, come sempre non si tratta di un caso personale, ci riguarda tutti. La mia vicinanza a Paolo 

Se fare storia è un reato

Paolo Persichetti

La libera ricerca storica è ormai divenuta un reato. Per la procura di Roma sarei colpevole di «divulgazione di materiale riservato acquisito e/o elaborato dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio dell’on. Aldo Moro». Per questa ragione martedì 8 giugno dopo

aver lasciato i miei figli a scuola, da poco passate le nove del mattino, sono stato fermato da una pattuglia della Digos e scortato nella mia abitazione dove ad attendermi c’erano altri agenti appartenenti a tre diversi servizi della polizia di Stato: Direzione centrale della Polizia di Prevenzione, Digos e Polizia postale. Ho contato in totale 8 uomini e due donne, ma credo ce ne fossero altri rimasti in strada. Una tale dispiegamento di forze era dovuto alla esecuzione di un mandato di perquisizione e contestuale sequestro di telefoni cellulari e ogni altro tipo di materiale informatico (computers, tablet, notebook, smartphone, hard-disk, pendrive, supporti magnetici, ottici e video, fotocamere e videocamere e zone di cloud storage), con particolare attenzione per il rinvenimento delle conversazioni in chat e caselle di posta elettronica e scambio e diffusione di files, nonché ogni altro tipo di materiale. Decreto disposto dal sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma Eugenio Albamonte che ha dato seguito ad una informativa della Polizia di Prevenzione del 9 febbraio scorso. La perquisizione è terminata alle 17 del pomeriggio e ha messo a dura prova lo stesso personale di polizia estenuato dalla quantità di libri e materiale archivistico (scampato pochi mesi fa a un incendio), raccolto dopo anni di paziente e faticosa ricerca. Singolare il fatto che non risultino effettuate perquisizioni in casa di quei giornalisti “confidenti” della Commissione, o direttamente al libro paga, che ricevevano informazioni di prima mano e diffondevano veline di stampo dietrologico.
La divulgazione di «materiale riservato» (sic!), secondo la procura della Repubblica si sarebbe concretizzata in due reati ben precisi, il favoreggiamento (378 cp) e l’immancabile 270 bis, l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo, che avrebbero avuto inizio l’8 dicembre 2015. Da cinque anni e mezzo, secondo la procura, sarebbe attiva in questo Paese un’organizzazione sovversiva (capace di sfidare persino il lockdown) di cui nonostante le molte stagioni trascorse non si conoscono ancora il nome, i programmi, i testi e proclami pubblici e soprattutto le azioni concrete (e violente, senza le quali il 270 bis non potrebbe configurarsi). E’ legittimo, a questo punto, chiedersi se il richiamo al 270 bis sia stato un espediente, il classico “reato chiavistello”, che consente un uso più agevolato di strumenti di indagine invasivi (pedinamenti, intercettazioni, perquisizioni e sequestri), in presenza di minori tutele per l’indagato.
L’8 dicembre del 2015 era un martedì in cui cadeva la festa dell’immacolata. In quei giorni la commissione parlamentare presieduta da Giuseppe Fioroni discuteva ed emendava la bozza finale della relazione che chiudeva il primo anno di lavori, approvata appena due giorni dopo, il 10 dicembre. Copie di quella bozza finale erano pervenute in tutte le redazioni d’Italia ed io presi parte, per conto di un quotidiano con il quale collaboravo, alla conferenza stampa di presentazione.
Cosa abbia giustificato un tale imponente dispositivo poliziesco, il saccheggio della mia vita e della mia famiglia, la perquisizione della casa, la sottrazione di tutto il mio materiale e dei miei strumenti di lavoro e di comunicazione, della documentazione amministrativa e medica di mio figlio disabile di cui mi occupo come caregiver, la spoliazione dei ricordi della mia famiglia, foto, appunti, sogni, dimensioni riservate, la nuda vita insomma, non so ancora dirvelo. Ne sapremo qualcosa di più nei prossimi giorni, quando la procura a seguito della richiesta di riesame avanzata dal mio difensore, avvocato Francesco Romeo, dovrà versare le sue carte.

Quello che è chiaro fin da subito è invece l’attacco senza precedenti alla libertà della ricerca storica, alla possibilità di fare storia sugli anni 70, di considerare quel periodo ormai vecchio di 50 anni non un tabù, intoccabile e indicibile se non nella versione quirinalizia declamata in queste ultime settimane, ma materia da approcciare senza complessi e preconcetti con i molteplici strumenti e discipline delle scienze sociali, non certo penali e forensi.
Oggi sono un uomo nudo, non ho più il mio archivio costruito con anni di paziente e duro lavoro, raccolto studiando i fondi presenti presso l’Archivio centrale dello Stato, l’Archivio storico del senato, la Biblioteca della Camera dei deputati, la Biblioteca Caetani, l’Emeroteca di Stato, l’Archivio della Corte d’appello e ancora ricavato da una quotidiana raccolta delle fonti aperte, dei portali istituzionali, arricchito da testimonianze orali, esperienze di vita, percorsi. Mi sono state sottratte le tonnellate di appunti, schemi, note e materiali con i quali stavo preparando diversi libri e progetti. Ho dovuto rinunciare in queste ore a un libro che dovevo consegnare nel corso dell’estate, perché i capitoli sono stati sequestrati. Forse qualcuno ha pensato di ammutolirmi relegandomi alla morte civile. Quel che è avvenuto è dunque una intimidazione gravissima che deve allertare tutti in questo Paese, in modo particolare chi lavora nella ricerca, chi si occupa e ama la storia.
Oggi è accaduto a me, domani potrà accadere ad altri se non si organizza un risposta civile ferma, forte e indignata.

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