Daniela Zanier si è ammalata di mesotelioma a giugno 2019. Non ha mai lavorato all’Eternit ma fino ai vent’anni ha abitato in una via di Casale Monferrato che affiancava la ferrovia, da cui passavano vagoni di treni pieni di amianto. Oggi viene curata dall’équipe dell’oncologa Federica Grosso all’ospedale di Alessandria. Sta facendo il secondo ciclo di immunoterapia e sta rispondendo bene alle cure: il tumore si è ridotto del 30%. Raffaella Marotto ha perso il marito Giovanni Cappa a marzo 2020, ex vice-presidente di Afeva (Associazione Famigliari Vittime d’Amianto). È morto a 73 anni di mesotelioma dopo aver lottato per 7 anni. Da giovane ha fatto l’imbianchino: è così che ha respirato la polvere d’amianto, nei cantieri in cui lavorava. Simonetta Protto ha perso la mamma Rosalba a giugno 2019. Aveva scoperto di avere il mesotelioma all’età di 74 anni, nel 2017. È morta con 76 anni. Al momento della diagnosi i dottori le hanno detto che si era ammalata 41 anni prima, quando da giovane lavorava in una fabbrica casalese che produceva attaccapanni in legno. Lei era l’addetta alla carteggiatura: in quella carta vetrata c’era l’amianto. Delle 18 donne che lavoravano nella ditta ne sono morte 12.
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Le vittime del mal d’amianto: 392 nomi per ricordare che dietro i numeri ci sono persone
Processo Eternit bis, da Casale a Novara le famiglie dei morti d’amianto in cerca di giustizia. L’imputato non c’è
Una ventina di persone prima sul pullman con
destinazione Novara dove si celebra il processo Eternit bis e poi
durante l’udienza
CASALE MONFERRATO. È iniziata intorno alle 10,45
di oggi 9 giugno l’udienza del processo Eternit bis davanti alla Corte
d’Assise di Novara, presieduta da Gianfranco Pezone. Assente l’imputato
Stephan Schmidheiny, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale
per la morta di 392 persone.
Diversi i Comuni del casalese che si sono
già costituiti parte civile, altri hanno presentato richiesta questa
mattina durante l’udienza.
«Siamo qui per chiedere giustizia e guardare al
futuro». Il sindaco di Casale Monferrato Federico Riboldi, il
vicesindaco Emanuele Capra e l’assessore all’ambiente Maria Teresa
Lombardi si uniscono alle voci dell’associazione Afeva e dei parenti
delle vittime.
«Stiamo lavorando per rendere davvero
Casale la prima città amianto free» spiega il sindaco. La speranza è che
parallelamente al processo ora si arrivi alla conclusione delle
bonifiche nella città in cui fino al 1986 sorgeva la fabbrica
dell’Eternit, il più grande stabilimento d’Europa.
«Contiamo di eliminare tutto l’amianto ancora
presente - dice l’assessore Lombardi -, compreso il polverino spesso più
difficile da individuare, a fine del nostro mandato, nel 2024».
Era arrivato alle 9.30 a Novara davanti
all’università il bus partito da Casale con i rappresentanti di
Afeva, l’associazione famigliari vittime dell’amianto, e i parenti delle
vittime, diretto alla prima udienza del processo Eternit Bis che si
apre questa mattina 9 giugno a Novara con l’università che diventa tribunale: il magnate svizzero Stephan Schmidheiny è chiamato a rispondere dell'omicidio volontario con dolo eventuale di 392 casalesi morti a causa dell'esposizione all'amianto prodotto nello stabilimento chiuso nel 1986 ma i cui veleni continuano tuttora a mietere vittime (circa 50 all'anno a Casale).
«C’è un po’ di disillusione dopo la sentenza di
Cassazione del 2014 - spiega Nicola Pondrano di Afeva -. La speranza si
riaccende ma è difficile. Siamo molti pochi, tanti avevano accettato i
risarcimenti da 30 mila euro dichiarandosi così fuori dal processo come
parte civile».
Tra i passeggeri del bus, come dicevamo, ci sono
anche i parenti delle vittime: mogli, figli, fratelli. Tanti hanno
perso almeno una persona di mesotelioma. Qualcuno anche di più: Maria
Balsamo ha perso il marito Giancarlo Sboarina. È morto nel 1998 a soli
quarant’anni. Non aveva mai lavorato all’Eternit, ma i suoi genitori sì.
«Portavano la polvere a casa con le tute» dice la donna.
Sul pullman in tutto una ventina di persone. A
bordo e sui finestrini sono affissi i cartelli “Eternit: giustizia”,
insieme alle bandiere che vengono sventolate alla partenza e all’arrivo.
Autocertificazione compilata e si sale sul bus, un posto sì e uno no
occupato, mascherina indossata.
Tutto un po’ diverso da 12 anni fa, quando partivano più pullman per il primo maxi-processo del 2009.
Diversi i Comuni del casalese che si sono già costituiti parte civile, altri hanno presentato richiesta questa mattina durante l’udienza.
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