lunedì 7 giugno 2021

pc 7 giugno - PER SAMANA

Dal blog femminismorivoluzionario

"...Saman è l’ultima di una lunga serie di donne, non solo immigrate, uccise per aver “disonorato/disobbedito alla famiglia”. Di loro, di Saman, probabilmente uccisa dallo zio con la complicità della sua famiglia, di Hina Saleem, uccisa dal padre, di Shahnaz Begum, uccisa a sassate dal marito per aver difeso la figlia Nosheen che si opponeva a un matrimonio forzato, i media non parlano se non per indicare all’opinione pubblica l’arretratezza dello “straniero” e “l’estraneità” delle istituzioni, di questo sistema sociale fondato sulla famiglia monogamica e sulla discriminazione classista e patriarcalista delle donne, a questi femminicidi, imputandoli e relegandoli, di volta in volta, a una sfera sociale altra, lontana da noi per cultura, religione o contesto e sulla quale è lecito innescare e perpetuare campagne xenofobe e securitarie.

Se Saman è stata uccisa, lo è stata perché aveva detto NO, perché voleva vivere a suo modo la sua vita, amare chi desiderava.

Se Saman è stata uccisa, l’ha uccisa non soltanto la violenza patriarcale ma l’essere immigrata e sola in un paese straniero, un paese che non la riconosce e le nega il diritto di cittadinanza, vincolandolo allo ius sanguinis, cioè alla patria potestà, o alla possibilità di percepire un reddito con un lavoro regolare alla maggiore età.

In Italia Saman ancora minorenne era riuscita a trovare la forza di allontanarsi dalla sua famiglia, che aveva già deciso per lei della sua vita, e aveva chiesto aiuto ai servizi sociali territoriali, che dall’ottobre scorso l’avevano collocata in una struttura protetta nel bolognese. Per farlo però ha dovuto

denunciare i genitori, sentendosi anche in colpa, magari, perché così avrebbero potuto perdere il permesso di soggiorno.

E anche nella comunità protetta, probabilmente, Saman si sentiva un po’ oppressa, oltre che estranea, perché da essa si era allontanata altre volte e l’unica relazione affettiva che aveva era quella coltivata in segreto con un ragazzo pachistano, suo coetaneo, che adesso teme per la sua vita.

Compiuti i 18 anni, lo scorso aprile, Saman è tornata nell’abitazione dov’era cresciuta per recuperare i suoi documenti, senza i quali in Italia non avrebbe potuto far nulla, neanche fuggire dalla famiglia-prigione seguendo un amore appena sbocciato.

Per Saman, ad ulteriore violenza, vi è stata la solidarietà, pelosa e da morta, dei vari Salvini, Meloni ecc. che ne hanno approfittato per rilanciare la campagna elettorale scatenando la solita canea islamofobica, anti-immigrati e securitarista, nel silenzio più totale della cosiddetta sinistra.

A questi sciacalli, così come alle anime belle della sinistra borghese, varrebbe la pena ricordare che è anche grazie ai loro decreti sicurezza, grazie al ricatto del permesso di soggiorno, oltre che alla mancanza di un lavoro che le renda indipendenti, che le donne immigrate in Italia, triplamente sfruttate e oppresse, spesso soccombono alla violenza di padri e padroni..."

Da una compagna de L'Aquila

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