Dall'ultimo numero di 'proletari comunisti'
"L’asse della contesa interimperialista coincide con quello delle rotte del petrolio, quella che governi ed economisti borghesi chiamano “Mediterraneo Allargato”, che è un concetto strategico per spingere gli interessi dei padroni italiani fino al Sahel: Mali, Niger, Corno d’Africa, Golfo di Guinea, oltre all’ Iraq e all’Afghanistan in cui gli imperialisti sono impantanati da anni. Per la NATO "la guida di queste operazioni nel Mediterraneo deve restare in mano all’Europa. L’Italia può e deve avere un ruolo di leader e di coordinamento delle missioni" (ammiraglio Stavridis, comandante supremo delle Forze Nato e del Comando Usa in Europa).
La prima visita istituzionale all’estero di Draghi non a caso è stata proprio in Libia, storicamente “giardino di casa”, “quarta sponda” per l’Italia imperialista, per i profitti dell’ENI, ora invece terreno di scontro con le altre potenze imperialiste che hanno portato ad una guerra per procura, iniziata con le bombe NATO contro Gheddafi nel 2011 e mai terminata nonostante i governi “provvisori” e i processi di “pacificazione” imperialista. “L’Italia vuole tornare protagonista in Libia” ha detto Di Maio nella visita fatta assieme a Descalzi (ENI) che ha preparato quella di Draghi, cioè l’Italia imperialista vuole recuperare il terreno perduto a vantaggio di potenze reazionarie regionali come la Turchia che si è presa una fetta dei contratti italiani o a vantaggio di paesi imperialisti come Russia e Francia. Nella politica estera c’è sempre il ruolo da protagonista dell’ENI che decide le priorità strategiche della borghesia imperialista italiana, ora che intende arrivare a triplicare la fornitura di gas che da Mellitha (80 km da Tripoli) arriva al porto di Gela e mettere le mani sullo sfruttamento dell’energie rinnovabili.
Cosa succede in Libia?
Con la ricostruzione il nuovo governo fantoccio apre la strada agli interessi imperialisti come premessa
per nuovi equilibri, alleanze e guerre future.La “pacificazione” imperialista ha portato alla formazione di un nuovo governo. Il Forum del dialogo libico (Lpdf), l’organismo composto da 74 delegati delle bande armate, a Ginevra ha eletto la lista dell'imprenditore Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, membro di un'influente e ricca famiglia di Misurata, e di Mohammed al Manfi, della Cirenaica. Il primo ministro è molto vicino alla Turchia dal punto di vista ideologico, finanziario ed economico. Non è un caso che Dbeibeh abbia scelto l’agenzia di stampa turca ufficiale “Anadolu” per la sua prima intervista dopo l’elezione. Ma è anche vicino alla Russia così come anche all'Italia imperialista (e all'ENI).
Il nuovo governo provvisorio dovrebbe “unificare” il paese e condurlo alle elezioni fissate per il 24 dicembre prossimo. Il primo ministro ad interim Dbeibah ha incassato il voto di fiducia dal parlamento e Fayez Al Sarraj, premier uscente, in cinque anni non l’ha mai ottenuta, questo sottolineano i media asserviti.
Cosa si sa di Abdul Hamid Dbeibah? Nel 2007, Gheddafi lo aveva nominato alla guida della società statale Libyan Investment and Development Company, responsabile di alcuni dei più grandi progetti di lavori pubblici e, in quella veste, ha preso mazzette dalle aziende turche per gli appalti. Dbeibah è una delle figure dell'era di Gheddafi più associate alla corruzione. Un corrotto al servizio della Turchia e finanziatore dei Fratelli Musulmani. Non a caso il primo provvedimento è l’invito alle aziende turche a costruire il nuovo porto commerciale a Tripoli.
Inoltre Dbeibah, riguardo la sua “elezione” avrebbe pagato alcuni dei 75 elettori con somme fino a 500.000 dollari su cui l'inviato ad interim delle Nazioni Unite per la Libia, Stephanie Williams, ha richiesto l’apertura di indagini.
Un governo che nasce già debole per i contrasti tra le varie fazioni e per la presenza di mercenari stranieri sul terreno: addirittura a Sirte dove si è votata la fiducia (la Camera dei rappresentanti di Tobruk si è trasferita per l'occasione nella città costiera di Sirte), era piena di mercenari, di cui il ritiro sarebbe dovuto essere uno dei punti discriminanti dell’accordo di pace assieme al cessate il fuoco.
Un governo che nasce per rappresentare la borghesia compradora libica interessata ad aumentare i profitti legati alla produzione di energia. Il presidente della NOC (National Oil Corporation, la società petrolifera di proprietà dello Stato libico) Mustafa Sanalla, è con il nuovo governo che “sia l'inizio di una nuova fase che realizzi le speranze e le aspirazioni della nazione libica ". L’economia libica dipende quasi esclusivamente dalla rendita del settore petrolifero, che rappresenta circa il 95% delle esportazioni e oltre la metà del prodotto interno lordo (PIL).
Il NOC ha depositato le entrate petrolifere libiche nella sua Libyan Foreign Bank (LFB) in linea con gli accordi temporanei in vigore. Fino ad ora, la NOC gestiva la politica petrolifera, i contratti e lo continuerà a fare con il nuovo ministero del petrolio del governo. La sede della Noc è a Tripoli, i giacimenti in cui opera sono situati in tutte le tre storiche regioni della Libia, alcuni sono ubicati anche off shore. L’ENI collabora con la Noc: emblema di questa modalità di accordi è lo stabilimento di Mellitah, ad ovest di Tripoli: si tratta di uno dei più importanti giacimenti della Libia, la cui società controllate è formata al 50% dalla Noc ed al 50% dall’ENI. Altro importante stabilimento gestito da NOC ed ENI è quello di El Feel, nel Fezzan. A poca distanza, vi è invece il giacimento di Sharara, uno dei più grandi del Paese, dove la NOC opera da anni assieme alla spagnola Repsol e ad altre compagnie straniere.
L’ENI, come ricorda l’AD Claudio Descalzi, è strutturalmente configurata come “azienda libica” e garante dei suoi servizi essenziali, è il principale fornitore di gas al mercato locale, con una quota di circa l'80%.
Il novo governo libico è pronto per la svendita del proprio paese agli imperialisti, non a caso ci sono stati numerosi incontri e che i primi abbiano riguardato l’Italia con il ministro degli esteri Di Maio (a marzo), in visita il Libia, poi l’incontro con il regime egiziano, con Macron a Parigi e, il 6 aprile, con Draghi, nello stesso giorno in cui viene ricevuto Mitsotakis, capo del governo greco. Inoltre Dabaiba, assieme a 13 ministri, al capo di stato maggiore e al presidente della banca centrale, ha incontrato Erdogan in Turchia il 13 aprile 2021 alla prima riunione del Consiglio libico-turco per la cooperazione strategica, istituito da un accordo tra i due paesi nel 2014.
I ministri libici e turchi hanno firmato alcuni accordi: il protocollo per la creazione di una centrale elettrica in Libia; alcuni memorandum d'intesa per stabilire tre centrali elettriche in Libia, per la creazione di un nuovo terminal passeggeri all'aeroporto internazionale di Tripoli, per la realizzazione di un nuovo centro commerciale a Tripoli; sulla cooperazione strategica nel campo dei media. "Per quanto riguarda gli accordi firmati tra i nostri paesi, in particolare quello relativo alle delimitazioni marittime, ribadiamo che essi si basano su basi giuridicamente valide e servono gli interessi dei nostri due paesi", ha dichiarato il premier libico Dbeibeh, ed Erdogan: "oggi abbiamo rinnovato la nostra determinazione" su questo accordo.
In prima fila nella partita economica legata alla ricostruzione della Libia – secondo il Sole – ci sarà anche l’Egitto del generale Abdel Fattah al-Sisi: “Il 13 marzo l’ambasciata libica del Cairo ha annunciato di aver raggiunto un accordo con le autorità egiziane per facilitare l’entrata dei lavoratori egiziani in Libia. La Libia avrà bisogno di 450 miliardi di dollari per la sua ricostruzione in un arco di tempo di cinque anni. E di una forza lavoro straniera di tre milioni di persone, ha dichiarato, Abdelmajid Kosher, presidente dell’Unione libica dei contractors.
Ma l’Egitto è anch’esso importante per l’Italia in quanto principale componente dell’East Mediterranean Gas Forum (Emgf), una sorta di “cartello” del gas sulle rive del Mediterraneo orientale, nel quale il Cairo punta, insieme a Tel Aviv, Nicosia e Atene, a costruire un foro sub-regionale di valore internazionale in grado di competere con l’ Opec. Per questo l’Egitto si è attivato stringendo relazioni con i paesi europei (in particolare con Italia, Germania e Francia) per acquistare hardware e sistemi sofisticati di protezione delle infrastrutture gasifere volti a scoraggiare possibili iniziative unilaterali della Turchia, specie dopo la decisione di Ankara di stringere un accordo sulle frontiere marittime con il Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli, fortemente contestato dal Cairo e Tel Aviv.
I cinesi, con le loro offerte non sostenibili per le imprese europee, e con le banche statali cariche di liquidità per sostenerle, non staranno certo a guardare. Proprio in questi giorni una delegazione economica e commerciale cinese di alto livello sta affrontando il tema della ricostruzione con il Governo libico, con enti pubblici e privati. Batterli nelle infrastrutture non sarà facile”.
Questo è il contesto che prepara la visita di Draghi in Libia del 6 aprile scorso: la “sicurezza dei siti è indubbiamente un requisito essenziale per poter procedere con la collaborazione”. Il “cessate il fuoco” è il primo passo per tornare a fare affari nella ricostruzione.
“Sarò in Libia per difendere gli interessi dell’Italia”, ha affermato Draghi in parlamento il 24 marzo. Dopo il fascio-razzista Salvini, abbiamo adesso l’altro “servitore della patria” (a capo di un governo che non è un caso che abbia imbarcato l’ex ministro dell’Interno, promotore dei “porti chiusi” e dei decreti sicurezza!)
Gli interessi dell’Italia imperialista erano già difesi da quattro missioni militari: la missione bilaterale di supporto alla Libia, il supporto alla guardia costiera libica, Unsmil (la missione dell’Onu in Libia) ed Eubam (la missione dell’Unione europea per il controllo delle frontiere). Inoltre l’Italia imperialista è presente nel Mediterraneo centrale con le operazioni marittime Mare sicuro della marina militare, con la missione europea Eunavfor Med Irini e con la missione Nato Seaguardian. Dal 2017 Roma ha speso in Libia un totale di 784,3 milioni di euro, di cui 213,9 in missioni militari. Nel complesso i fondi sono aumentati di anno in anno con il doppio obiettivo di fermare l’arrivo di migranti e di accrescere l’influenza italiana nell’ex colonia nel caos dal 2011, dopo la caduta dell’ex dittatore Muammar Gheddafi.
E' un “momento unico per riallacciare i rapporti tra i due paesi” e si riparte dall’Accordo di amicizia del 2008 tra Berlusconi e Gheddafi, prima delle bombe NATO, le premesse di quello che si verrà a potenziare in funzione antimmigrati con il Memorandum del 2017.
I punti dell’accordo Italia-Libia.
Energia - accordo quadro di lungo termine per la realizzazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili nel Fezzan. Anche qui un ruolo centrale lo giocherà il gruppo ENI, primo produttore di gas in Libia e principale fornitore di gas al mercato locale. I progetti nelle rinnovabili nell'economia circolare e nella formazione sono molti e sono stati discussi il 21 marzo tra il premier Dbeibah e Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni.
La borghesia imperialista italiana vede con favore il nuovo ministro del Petrolio e del Gas, Mohamed Aoun, che ha assunto questa carica reintrodotta dal nuovo governo di unità nazionale. Aoun è stato presidente del consiglio d'amministrazione di Mellitah Oil and Gas Company (società compartecipata da ENI e NOC), nonché membro del consiglio di amministrazione della società GreenStream BV, che si occupa del trasporto del gas naturale da Mellitah a Gela.
L’autostrada costiera: raddoppio della “via Balbia”, il progetto per costruire un’autostrada che seguirà il tracciato della strada costiera libica che si snoda per oltre 1.800 chilometri, tra Ras Jedir (al confine con la Tunisia) e Musaid (al confine con l’Egitto).
Aeroporto di Tripoli. La delegazione di Enav, guidata dall'Amministratore Delegato Paolo Simioni ha detto che "la Libia per Enav rappresenta un Paese strategico. Quasi tutti i collegamenti tra l’Europa e l’Africa equatoriale passano sulla Libia e sull’Italia”.
Il consorzio italiano Aeneas (che comprende cinque aziende private: Escape, Axitea, Twoseven, Lyon Consulting, Orfeo Mazzitelli) realizzerà l’aeroporto internazionale a sud di Tripoli, devastato dalle due guerre (2014 e 2019-20), con l’obiettivo a medio-lungo termine di riprendere i collegamenti aerei con il resto del mondo.
La ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli è un progetto del valore totale di 79 milioni di euro circa e prevede la costruzione due terminal: uno nazionale e uno internazionale, completi di tutti gli impianti aeroportuali per permettere l’apertura di questo aeroporto. Entrambi i terminal, secondo il progetto, coprono in totale circa 30 mila metri quadrati, con una potenzialità di circa sei milioni di passeggeri all’anno. Il consorzio italiano dovrebbe mettere a disposizione dei libici il “know how” e i materiali, mentre la manodopera sarà soprattutto libica, con gli italiani in un ruolo di supervisione.
Un altro settore di possibile/potenziale collaborazione è quello delle telecomunicazioni. Telecom Italia Sparkle realizzerà BlueMed, un cavo sottomarino che collegherà la Liguria alla Sicilia e l’Italia, fino a Mumbai. Si tratta di una vera e propria dorsale per collegare Medio Oriente, Africa, Asia ed Europa con una riduzione della latenza fino al 50 per cento rispetto ai cavi terrestri esistenti che collegano la Sicilia con Milano. A ben vedere le autorità libiche, al pari di altri Paesi della sponda sud del Mediterraneo, potrebbero essere coinvolte in questo progetto italo-statunitense.
Sanità. Firmato un accordo per l'ammodernamento del sistema ospedaliero (a Misurata resta ancora operativo un ospedale da campo militare). L'Italia ha inviato in Libia diverse forniture sanitarie (mascherine, protezioni per personale sanitario Covid, respiratori e medicine per l'emergenza virus) alla Libia, un Paese dove il Sars-CoV-2 (varianti incluse) circola senza controllo.
“Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi", ha dichiarato Draghi, una soddisfazione per la "sicurezza" dell'Italia imperialista ottenuta coi finanziamenti agli aguzzini, ai lager, con la negazione dei visti, con il controllo delle frontiere, con la dissuasione attraverso massacri in mare e i respingimenti, con il regalo di motovedette alla guardia costiera da sempre impegnata nella gestione del traffico dei migranti e con la persecuzione delle ONG impegnate nei salvataggi in mare. Stesse accuse che vengono anche dal comitato Onu per i diritti umani del 29 gennaio 2021, che ha condannato l'Italia per non avere agito tempestivamente in relazione ad un evento Sar verificatosi al di fuori delle acque territoriali italiane.
Secondo l’inviato ONU in Libia, Jan Kubis, sono attualmente 3858 i migranti detenuti nei centri ufficiali libici, ai quali vanno sommati quelli dei numerosi e difficilmente controllabili lager gestiti direttamente dalle milizie.
Menzogne, provocazioni, offesa alla dignità delle persone immigrate quando Draghi afferma: "l'Italia è uno dei pochi paesi che tiene attivi i corridoi umanitari". Ma dove?
Per l’addestramento e il sostegno alla guardia costiera libica lo stanziamento di fondi è passato dai 3,6 milioni di euro nel 2017 ai dieci milioni previsti nel 2020. Nel febbraio 2020 è stato rinnovato per tre anni il memorandum d'intesa Libia-Italia sulla migrazione. L’accordo prevede il supporto italiano alle autorità marittime libiche per intercettare le imbarcazioni e riportare i migranti in Libia.
Nel luglio 2020 il parlamento italiano ha approvato il suo finanziamento. Un mese dopo il rinnovo del memorandum, nel marzo 2020, l'Ue ha deciso di porre fine a un'operazione contro il contrabbando di migranti che coinvolgeva principalmente aerei di sorveglianza, nota come Operazione Sophia, e di schierare navi militari con il compito principale di sostenere l'embargo sulle armi delle Nazioni Unite, sotto il nome di Operazione Irini. Il Consiglio dell'UE ha deciso di rinnovare per 2 anni (fino al 31 marzo 2023) il mandato dell'operazione Irini per l'embargo sulle armi. L’operazione Irini conta al momento su quattro navi, sei aerei e un drone. In totale, 24 paesi dell’Unione europea forniscono il loro contributo con personale o assetti e può contare inoltre sul supporto di immagini satellitari fornite da SatCen (European Union Satellite Centre). Probabilmente verrà esteso il compito dell'Operazione Irini al controllo sul cessate il fuoco, alla cooperazione con la NATO e alla formazione della guardia costiera e marina libiche. Inoltre dal 2017 l’Italia ha ricevuto dall’Unione europea, tramite l’Eu emergency trust fund Africa (Eutf, un fondo fiduciario per l’Africa), 87 milioni di euro che sono stati gestiti dal ministero dell’interno e 22 milioni gestiti dal ministero degli esteri, in particolare dall’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo.
I respingimenti degli immigrati costituiscono il comune interesse di Italia ed UE. Non è un caso che mentre Draghi era in Libia, la presidente della Commissione UE sia andata in Turchia, anello-chiave per i respingimenti verso la rotta Balcanica.
Il nuovo governo libico è interessato agli elicotteri di Leonardo. Secondo l’agenzia Nova, “il progetto industriale includerebbe l’assemblaggio di elicotteri italiani per operazioni legate alla sorveglianza del territorio e al trasporto civile d’emergenza nelle aree interne. I libici stanno da tempo cercando di dotarsi di elicotteri per operazioni di ricerca e soccorso (Sar) e di sorveglianza”.
La ricostruzione, i contratti in Libia sono sostenuti dall’interventismo militare dell’Italia imperialista.
La borghesia imperialista italiana, ora con Draghi, punta a recuperare le posizioni di dominio perdute in Libia, più che mai centrale nella geopolitica del Mediterraneo allargato, per un rinnovato interventismo a livello internazionale accompagnato dalla corsa al riarmo che non ha conosciuto soste neanche in piena pandemia, anzi, le aziende della Difesa italiana hanno aumentato i loro profitti, Leonardo e Fimmeccanica su tutte. Dal Recovery Fund si parla di 30 miliardi da destinare all'industria militare. Il ministro Guerini ha confermato l'impegno dell'Italia ad aumentare la spesa militare (in termini reali) da 26 a 36 miliardi di euro annui, aggiungendo agli stanziamenti della Difesa quelli destinati a fini militari dal Ministero dello sviluppo economico. Inoltre l'Italia si è impegnata, nella Nato, a destinare almeno il 20% della spesa militare all'acquisto di nuovi armamenti. Il tutto, ovviamente, con denaro pubblico sottratto ai lavoratori e alle masse e non di certo alle 42 le missioni militari a cui partecipa l’Italia imperialista.
La presidenza del G20 e la co-presidenza della COP26 (la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico) rafforzeranno il protagonismo dell’Italia imperialista nei forum internazionali.
Non ci sarà mai una pace e una sicurezza per i popoli oppressi finchè esisterà l’imperialismo che, per quello che riguarda l’Italia, significa mettere le mani sul petrolio, non ostacolare, anzi difendere, i profitti di ENI e delle altre aziende italiane implicate nella ricostruzione. La crisi economica accelerata dalla pandemia ha compattato i padroni e la grande finanza, il parlamento e i confederali (CGIL in particolare) intorno a Draghi che non può trovare altra soluzione se non quella di scaricarle sulle masse e si spingeranno sempre di più nella spartizione del mondo e nella rapina imperialista delle materie prime.
Attaccare il nostro imperialismo è il nostro principale dovere, dobbiamo portare la denuncia e la lotta tra le masse contro i governi e oggi contro il governo Draghi dell’interventismo imperialista, corresponsabile della repressione e delle violenze nei lager libici, dei respingimenti antimmigrati e del finanziamento alla guardia costiera libica, gli stessi che sono allo stesso tempo torturatori e aguzzini nei lager e mercenari a difesa delle rotte del petrolio e del suo contrabbando gestito assieme alla criminalità che opera in Sicilia.
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