Modena,
9 gennaio 1950, davanti alle Fonderie Riunite
Poco
dopo le dieci di mattina una decina di lavoratori si trovavano
all’esterno della fabbrica vicino al muro di cinta, cercando di
parlare con i carabinieri schierati. Un carabiniere sparò con la
pistola, a freddo, uccidendo Angelo
Appiani [30
anni, partigiano, metallurgico]
colpito in pieno petto. Immediatamente dal terrazzo della fabbrica
altri carabinieri spararono con la mitragliatrice sulla folla di
lavoratori che si trovava sulla Via
Ciro Menotti oltre
il passaggio a livello chiuso per il transito di un treno.
Arturo
Chiappelli [43
anni, partigiano, spazzino]
e
Arturo
Malagoli [21
anni bracciante]
vennero colpiti a morte, molti furono feriti, alcuni gravemente. La
gente scappava, cercava riparo dai colpi della mitraglia che
continuava a sparare, altri cercavano di assistere i feriti con
medicazioni improvvise e li trasportavano al riparo.
Roberto
Rovatti
[36
anni, partigiano, metallurgico]
si trovava in fondo a Via Santa Caterina, vicino alla chiesa, dal
lato opposto e distante 500 metri dai primi caduti, aveva una sciarpa
rossa al collo. Mezz’ora era passata dalla prima sparatoria veniva
circondato da un gruppo di carabinieri
scaraventato dentro un fosso e massacrato con i calci del fucile, un linciaggio mortale. Ennio Garagnani [21 anni, carrettiere] veniva assassinato in Via Ciro Menotti dal fuoco di un’autoblinda che sparava sulla folla.
scaraventato dentro un fosso e massacrato con i calci del fucile, un linciaggio mortale. Ennio Garagnani [21 anni, carrettiere] veniva assassinato in Via Ciro Menotti dal fuoco di un’autoblinda che sparava sulla folla.
Lo
sciopero generale partì spontaneamente appena si diffuse la notizia
del massacro. Un’automobile della Cgil con l’altoparlante
avvertiva i lavoratori di concentrarsi in Piazza
Roma.
Poco dopo mezzogiorno Renzo
Bersani [21
anni metallurgico]
attraversava
la strada a piedi, in fondo a Via
Menotti,
all’incrocio con Via
Paolo Ferrari e
Montegrappa,
un graduato dei CC distante oltre un centinaio di metri si
inginocchiò a terra, prese la mira col fucile e sparò per uccidere.
Sei
lavoratori
assassinati,
34
arrestati, i numerosi feriti trasportati in ospedale vennero messi in
stato di arresto, piantonati giorno e notte e denunciata alla
magistratura per «resistenza
a pubblico ufficiale, partecipazione a manifestazione sediziosa non
autorizzata, attentato alle libere istituzioni per sovvertire
l’ordine pubblico e abbattere lo Stato democratico».
Era
questa l’Italia “democratica” ricostruita dopo il fascismo da
padroni e democristiani. Ricostruita sulla pelle dei proletari e dei
lavoratori che venivano sfruttati ferocemente nelle fabbriche e nei
campi e, quando si ribellavano, venivano massacrati nelle piazze. È
QUESTA LA STORIA NASCOSTA E SCONOSCIUTA DI QUESTO PAESE. E oggi
alcuni personaggi ambigui, provenienti da certa “sinistra”
cercano di riscrivere la storia falsificandola per mezzo di libri,
lezioni accademiche, programmi televisivi, film e spettacoli teatrali
e facendo passare dirigenti democristiani, padroni e funzionari di
Stato come “persone perbene”. Ma cosa stava succedendo a Modena e
nel resto del paese in quegli anni? Era in corso dal 1948 una
controrivoluzione per azzerare la forza dei lavoratori nelle
fabbriche e la tenuta dei sindacati e partiti di sinistra, una forza
costruita nella resistenza e nell’immediato dopoguerra. I padroni
volevano abbassare il costo del lavoro e aumentare la produttività
per orientare la produzione verso l’esportazione. Gli strumenti che
usarono: la serrata
e i licenziamenti
collettivi e selettivi per ridurre il potere contrattuale dei
sindacati e delle commissioni
interne,
l’aumento del ventaglio retributivo, salario sempre più legato
alla produzione (cottimo e premio di produzione differenziato),
intervento della polizia per sciogliere i picchetti e le
manifestazioni; scioglimento dei “Consigli di Gestione”. Nella
città di Modena nei due anni 1947-49, ben 485
partigiani furono arrestati e processati per fatti accaduti durante
la lotta di liberazione. 3.500
braccianti arrestati e denunciati per occupazione delle terre; 181
volte la polizia intervenne nei conflitti di lavoro. Le maestranze
delle Fonderie
Riunite,
con 480
lavoratori – la metà erano donne- nel 1943 parteciparono agli
scioperi contro la guerra e per il pane. Dopo la “liberazione” i
padroni “tornano proprietari”, è questa la scelta democristiana.
Anche il padrone delle Riunite, il fascista Adolfo
Orsi
amico di Italo
Balbo.
Orsi è padrone non solo delle Riunite, ma anche della “Maserati
Alfieri”,
delle “Candele
accumulatori Maserati”
e delle Acciaierie.
Come altri padroni fascisti ringalluzziti dalle vittoria
democristiana del ’48, padron Orsi inizia con tre giorni di
serrata, chiamando la polizia a sgombrare i picchetti. È la prima
volta, dopo la liberazione, che a Modena
la polizia interviene nel conflitti di lavoro. Sarà la prima di una
serie di interventi sempre più aggressivi. L’anno prima del
“massacro” è il 9 gennaio 1949, è domenica e si tiene a Modena
un comizio sindacale in piazza Roma, Fernando
Santi,
segretario generale della Cgil denuncia i licenziamenti e la serrata
alla fonderia Vandevit
e alla carrozzeria
Padana.
Al termine della manifestazione, mentre la gente rientra a casa
mescolandosi con chi esce dalla chiesa, si scatena una selvaggia e
inspiegabile aggressione poliziesca con camionette e manganellate e
perfino colpi d’arma da fuoco. Il cambio di rotta era stato deciso
dall’alto: colpire senza sosta il movimento operaio e sindacale per
interromperne l’avanzata e ridurne la capacità contrattuale. Alla
fine di quel ’49, padron Orsi regalò ai “suoi” dipendenti la
seconda serrata e il licenziamento di tutti i 560
lavoratori. L’idea di Orsi era di assumere nuovi lavoratori non
sindacalizzati né politicizzati. Le “rivendicazioni” di padron
Orsi erano di revisionare in peggio il premio di produzione, abolire
il Consiglio di gestione, far pagare la mensa ai lavoratori, togliere
le bacheche sindacali e politiche, eliminare la stanza di
allattamento che le operaie si erano conquistate per poter andare in
fabbrica con i figli. Dopo un mese di serrata venne la risposta
operaia: sciopero generale di tutte le categorie proclamato per il 9
gennaio1950
in tutta la provincia. Ma il prefetto e il questore [non
dimentichiamo mai che prefetti e questori erano stati traghettati in
blocco dal regime fascista a quello democratico/democristiano] negano
alla Camera
del lavoro
qualsiasi piazza per la manifestazione sindacale. Si racconta che il
questore rispose alla delegazione di parlamentari e dirigenti
sindacali che chiedevano una piazza: “vi
stermineremo tutti”.
Dal giorno prima arrivano a Modena ingenti forze di polizia, si dice
1.500 con autoblindo, jeep, camion. Occupano la fabbrica e si
dispongono sul tetto con le armi. Da quel tetto spararono con la
mitraglia sui lavoratori per uccidere. “Affoga
nel sangue il governo del 18 aprile“,
titola a tutta pagina il giornale l’Avanti!
del
giorno dopo. [il governo del 18 aprile è quello scaturito dalla
vittoria democristiana del 18 aprile ’48: il governo
dell’atlantismo, della rottura dell’unità sindacale: nascita di
Cisl e Uil con i soldi americani, della soggezione agli USA, della
crociata anticomunista e soprattutto dell’abbattimento della forza
operaia! Modena non fu un fatto isolato. In quegli anni iniziava una
repressione antioperaia feroce e sanguinosa [nel 1948 sono stati
uccisi 17 lavoratori in conflitti di lavoro, centinaia feriti e
14.573 arrestati]. Il sindacato di classe fu buttato fuori da
moltissime aziende, oppure ridotto e emarginato. La dirigenza della
Cgil, del Pci e del Psi fu piegata a più miti consigli in merito
alla logica del profitto padronale e allo sfruttamento operaio. Dopo
quella dura sconfitta che dal ’48 si protrasse per tutti gli anni
Cinquanta la classe operaia riprese l’iniziativa all’inizio degli
anni Sessanta.
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