L’Aquila 25 gennaio 2019: riprende il processo nei confronti
di 3 donne.
L’”accusa” è diffamazione
dell’avvocato Antonio Valentini, la “colpa” è la solidarietà
femminista.
Il 25 gennaio a L’Aquila, tre
femministe saranno processate per aver difeso uno spazio di
donne dall’ingresso di Antonio
Valentini, difensore di Francesco Tuccia, ex militare
stupratore e quasi assassino di “Rosa”.
Nel
Novembre 2015, l’associazione “Ilaria Rambaldi
Onlus” invita a partecipare l’Avvocato Antonio Valentini ad un convegno su Commissione Grandi
Rischi, organizzato presso la Casa Internazionale delle
Donne di Roma, un luogo simbolico per
la libertà delle donne. Molte donne si mobilitano e alla fine
la Casa delle donne di Roma segnala all’organizzazione del
convegno che Valentini non può varcare quella soglia, perché
indesiderato.
Ma l’avvocato non ci sta e
querela, manu militari, 3 donne, colpevoli di aver diffuso la
lettera di una compagna del MFPR dell’Aquila, in cui si
denunciava: il securitarismo emergenziale con cui lo Stato
nascose le sue responsabilità sulla mancata prevenzione del terremoto e degli affari delle cricche; la persistente militarizzazione del territorio con cui favorì la desertificazione della città e l’atteggiamento predatorio di chi, in virtù di quella divisa, si sentiva padrone delle sue strade e in diritto di stuprare in nome dello Stato; il pesante clima di ostilità nei confronti di Rosa e della solidarietà femminista; il clima di un ignobile processo per stupro, scandito in aula dalla condotta provocatoria del penalista, tutta tesa a screditare la parte lesa, a negare l’evidenza della violenza, a colpevolizzare la ragazza stuprata e quasi uccisa e a vittimizzare il suo carnefice.
nascose le sue responsabilità sulla mancata prevenzione del terremoto e degli affari delle cricche; la persistente militarizzazione del territorio con cui favorì la desertificazione della città e l’atteggiamento predatorio di chi, in virtù di quella divisa, si sentiva padrone delle sue strade e in diritto di stuprare in nome dello Stato; il pesante clima di ostilità nei confronti di Rosa e della solidarietà femminista; il clima di un ignobile processo per stupro, scandito in aula dalla condotta provocatoria del penalista, tutta tesa a screditare la parte lesa, a negare l’evidenza della violenza, a colpevolizzare la ragazza stuprata e quasi uccisa e a vittimizzare il suo carnefice.
Coi
nostri corpi e le nostre voci abbiamo accompagnato Rosa, che
con coraggio affrontava il
girone infernale di un processo per stupro!
Con
delle mails abbiamo respinto dalla Casa Internazionale delle
donne di Roma il degno avvocato del suo stupratore!
Su
mandato della Procura dell’Aquila, costui è entrato in casa
nostra con i carabinieri, sequestrando pc, telefoni e altro
materiale informatico.
E
adesso il processo per diffamazione, per cercare di
zittirci, dividerci, cancellare con una sanzione la memoria
storica della lotta femminista in Italia.
Ma noi non dimentichiamo le
atrocità commesse sul corpo di Rosa da un militare impiegato
nell’operazione “strade sicure”
Non dimentichiamo la doppia
violenza esercitata sulla nostra pelle di donne dalle parole
dell'avvocato Valentini: “Tra i due ragazzi vi fu consenso
esplicito”, “se i pantaloni erano slacciati non ci fu
violenza”, “il fisting è una
pura invenzione” ecc.
Il 12/02/2012 Rosa venne
stuprata e lasciata in una pozza di sangue a morire sulla
neve. Lo stupratore, Francesco Tuccia, era in compagnia di 2
altri commilitoni (uno figlio di un poliziotto, l’altro di un
magistrato) e della fidanzata minorenne di uno di loro, ma
costoro non vennero neanche indagati. Da quella notte, fino al
suo arresto il 23 febbraio, Tuccia ha continuato a prestare
servizio nel 33° reggimento Artiglieria Acqui. Rosa invece è stata oggetto di
minacce fin dentro l’ospedale da parte di una ragazza non
identificata. Fu la ASL di L’Aquila a chiedere il
piantonamento del reparto dopo quell’episodio. Alle prime udienze per stupro, le
compagne, le donne arrivate da tutta Italia percepirono netta
la sensazione che a L’Aquila lo stupratore si trovasse in un
ambiente amico: qui c’erano i
suoi commilitoni, anche a presidiare il Tribunale dalla
solidarietà delle donne.
Pochi giorni dopo la sentenza di
primo grado, Simona
Giannangeli, legale del Centro Antiviolenza dell’Aquila,
trovò sul parabrezza della sua auto un biglietto di minacce:
“Ti passerà la
voglia di difendere le donne…. Stai attenta e guardati
sempre le spalle, da questo momento questo posto non è più
sicuro per te”. Il senso del messaggio era chiaro: colpire
la solidarietà femminista!
Colpire la solidarietà
femminista è ciò che ancora oggi lo Stato, che non ha mai
chiesto scusa a Rosa, vuole fare, processando 3 di noi per
condannare tutte al silenzio.
Ma noi non accettiamo l’ingiusta
repressione di questo Stato, né la vendetta di questo
avvocato, perché abbiamo fatto ciò che era giusto e necessario
fare - difendere i nostri corpi, le nostre vite i nostri spazi
- e continueremo a farlo.
Il 25 gennaio 2019 alle ore
12.30, presso il Tribunale dell’Aquila
Vi aspettiamo numerose e rumorose, perché
ci riguarda tutte la violenza di un uomo, che in virtù della
sua toga, continua ad invadere e a condizionare la vita e la
libertà delle donne.
MFPR-AQ
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