Ha denunciato i suoi colleghi: sulla morte di Stefano Cucchi sapevano più di quello che avevano detto. È andato dal pubblico ministero e ha messo a verbale i commenti ascoltati in caserma subito dopo l’arresto del geometra romano. Ma adesso che dovrà andare in aula a confermare le sue accuse, l’appuntato scelto Riccardo Casamassima ha paura. Il motivo? “Le pressioni non mancano e io non mi sento tutelato“, dice il carabiniere che da due anni lavora nello stesso reparto in cui presta servizio anche uno dei militari finito a processo a causa delle sue parole. “Su Cucchi tutte le più alte cariche dello Stato hanno detto: chi sa deve parlare. Noi abbiamo parlato ma siamo diventati carne da macello“, si sfoga con ilfattoquotidiano.it Casamassima, che ha visto cambiare la sua vita il 30
giugno del 2015. Quel giorno va a sedersi davanti a Giovanni Musarò, il pm che coordina l’indagine bis sul ragazzo morto il 22 ottobre del 2009 all’ospedale Sandro Pertini di Roma. Il magistrato voleva sapere quello che Casamassima aveva già raccontato a Fabio Anselmo, l’avvocato della famiglia Cucchi. Le sue parole faranno finire a processo il maresciallo Roberto Mandolini, che il 15 ottobre del 2009 era a capo della stazione Appia, la stessa da dove erano partiti i carabinieri autori dell’arresto del giovane. Mandolini è accusato di falso nella compilazione del verbale di arresto del geometra romano insieme a Francesco Tedesco, e di calunnia nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso, insieme a Vincenzo Nicolardi. Alla sbarra ci sono poi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro accusati di omicidio preterintenzionale insieme a Tedesco. Il prossimo 15 maggio toccherà a Casamassima andare a ripetere davanti ai giudici le sue accuse nei confronti dei colleghi.

Casamassima, cosa ha raccontato al pm quel 30 giugno del 2015?
Che poco dopo l’arresto di Cucchi il maresciallo Roberto Mandolini è venuto alla caserma di Tor Vergata dove io prestavo servizio. Anche Mandolini prestava servizio a Tor Vergata ma da qualche tempo era stato trasferito alla guida della Appia.
Ricorda di preciso quando Mandolini è passato a Tor Vergata? 
Non ricordo con precisione il giorno, l’ho sempre puntualizzato ai pm. Ma è successo subito dopo l’arresto di Cucchi, io presumo che all’epoca il ragazzo fosse ancora vivo.
Cosa ha detto Mandolini quel giorno?
È entrato in caserma, si è messo la mano sulla fronte e ha detto: “È successo un casino ragazzi, hanno massacrato di botte un arrestato”. Poi è entrato nell’ufficio del comandante di Tor Vergata, Enrico Mastronardi, dove c’era anche la mia compagna – anche lei in servizio nell’Arma – e ha raccontato quello che era successo facendo proprio il nome di Cucchi.La sua compagna ha ascoltato quello che ha detto Mandolini?
Sì e quel nome le è rimasto impresso perché era simile al termine “Crucchi”.
Lei sostiene di aver ricevuto le confidenze di un altro carabiniere coinvolto in questa storia, vero?
Sì quelle di Sabatino Mastronardi, figlio di Enrico, il comandante di Tor Vergata (entrambi sono poi finiti indagati per false informazioni ai pm ndr).
Dove ha incontrato Mastronardi junior?
Venne in caserma dopo qualche giorno e a livello di confidenza mi disse: “Guarda, non si sono proprio regolati con l’arrestato. Non ho mai visto una persona massacrata di botte così”. Tanto che Mastronardi non aveva voluto prendere Cucchi in consegna a Tor Sapienza”.
In che senso non voleva prendere in consegna Cucchi a Tor Sapienza?In pratica funziona così: quando noi arrestiamo una persona dobbiamo trattenerla in cella, quindi se per un problema le celle sono occupate o non sono agibili uno le porta in altre caserme.  Mastronardi junior stava a Tor Sapienza.
Mastronardi junior, però, davanti al pm non ha confermato quelle parole.
No, non ha confermato. Sia lui che il padre sono stati indagati per false informazioni ma io gli atti non li hovisti: ho letto solo quello che è finito sui giornali.
Poi nel 2015 lei decide di andare a parlare con il pm: perché solo sei anni dopo?
Perché non avevo seguito la vicenda processuale fino ad allora. Non sapevo quanto potessero essere importanti quelle parole.
Quando denuncia è ancora in servizio a Tor Vergata?
No, ero in servizio alla compagnia speciale. Poi, però, nel 2016 mi portano al battaglione Tor di Quinto. Dove lavora anche Mandolini.
Che adesso è a processo per falso.
Esatto. Ed è per questo motivo che chiedo di essere spostato per ricongiungimento familiare. Per evitare problemi chiedo di essere portato dove lavora anche la mia compagna.
Cosa le rispondono?
Con un secco no, nonostante il ricongiungimento sia previsto da circolari specifiche.
Cioè?
Hanno detto che la mia domanda era inaccettabile perché io e la mia compagna non siamo sposati. Ma le circolari del comando generale dicono che la convivenza è equiparata al matrimonio.
Ha fatto presente che lavorava con Mandolini, il collega che lei ha denunciato?
Loro lo sanno. C’è già stata una discussione con Mandolini.
Quando? E cosa è successo?
Ci siamo incrociati. C’è stato uno scambio di sguardi. Gli ho detto: perché non vai a parlare col pm? Lui mi fa: no il pm ce l’ha a morte con me. Ma non c’è solo questo.
In che senso?
Vede, da quando si è saputo della mia denuncia io e la mia compagna abbiamo cominciato ad avere paura.
Perché?
Perché le pressioni non sono mancate.
Che tipo di pressioni?
I procedimenti disciplinari. Appena si è venuto a sapere che io avevo testimoniato, hanno aperto a mio carico una serie di procedimenti. Parliamo di punizioni che sommate cominciano a essere importanti per il mio lavoro. Solo per fare un esempio: al carabiniere che a Firenze è stato accusato di esporre in ufficio una bandiera nazista hanno dato 3 giorni di consegna. A me dieci.
Scusi, che tipo di procedimenti disciplinari hanno aperto nei suoi confronti?
Uno per un incidente d’auto che non poteva essere aperto perché erano scaduti i termini. C’èra un cancello malfunzionante, io faccio manovra con l’auto di servizio, il cancello si chiude e io tampono. Ma stiamo parlando di un fatto del 2014 e un procedimento disciplinare può essere aperto entro massimo un anno. Questo è stato aperto oltre i termini previsti.
Dieci giorni di consegna però sono tanti: che altri procedimenti ha avuto?
Uno mi è stato fatto perché ho attaccato su facebook la rappresentanza militare (una sorta di sindacato interno ai carabinieri ndr). Avevo chiesto di essere aiutato ma non l’hanno fatto. Poi ho rilasciato un’intervista senza che mi avessero concesso le autorizzazioni: volevo replicare alle accuse che uno degli indagati, Mastronardi, aveva lanciato nei miei confronti sempre tramite i giornali. Mi hanno punito anche per questo.
Che altre pressioni sostiene di aver ricevuto?
Continuano a farmi lavorare nello stesso reparto dove presta servizio un collega che ha chiamato pubblicamente me e la mia compagna “pezzi di merda”.
Cioè?
Nel mio stesso battaglione lavora un maresciallo che pubblicamente su facebook ha scritto: ringraziamo ‘sti pezzi di merda. Era riferito a noi. Devo vederlo ogni giorno: se non sono pressioni queste cosa lo sono? Prima del caso Cucchi io ho denunciato una serie di cose: assenteismo, associazioni onlus gestite da carabinieri, verbali d’arresto falsificati. So come funziona.
Come funziona?
Guardi io ho presentato qualcosa come quattro istanze per conferire con l’allora comandante generale (Tullio Del Sette ndr). Mi hanno sempre risposto negativamente nonostante fosse un mio diritto. C’è un rifiuto reiterato a incontrarmi: e io posso interpretarlo in vari modi.
E in questo caso come lo interpreta?
In modo semplice: io e la mia compagna non ci sentiamo tutelati. Il 15 di maggio è fissata la nostra testimonianza in aula al processo contro i cinque carabinieri ma stiamo valutando cosa fare: ci sentiamo abbandonati.
Sì, ma siete testimoni e non vi presentate ordinano l’accompagnamento coattivo. Senza considerare che rischiate di minare la credibilità delle vostre parole.
È vero, noi dobbiamo andare per forza. Ma se non è questa volta, andremo la prossima. Ma vogliamo si sappia che siamo spaventati perché ci hanno lasciati soli.
Si è pentito di aver raccontato quanto sostiene di aver sentito?
Pentito no, perché penso alla sorella e alla famiglia di Cucchi che hanno vissuto un dolore immenso. Sono andato dal pm anche perché dal presidente del Senato in poi tutte le più alte cariche dello Stato dicevano: chi sa deve parlare. Noi abbiamo parlato ma siamo diventati carne da macello.