L'operaia racconta: "Sono entrata in Fiat a 23 anni. Ora abbiamo i figli disoccupati e noi dobbiamo continuare a lavorare. Ed è una fatica: esci di qui con le ossa rotte"
"Sono entrata in Fiat nel 1979, avevo 23 anni. Prima avevo fatto per 19 mesi la commessa e prima ancora una serie di lavori per i quali, però, non mi versarono i contributi. Appena arrivata in azienda sono stata assegnata al al Lingotto, poi negli anni 80 mi hanno spostata in Carrozzeria, a Mirafiori. Ai tempi ci volevano 35 anni per andare in pensione e io dicevo: "Non ce la farò mai ad arrivarci". E invece i 35 anni sono passati in fretta. Solo che io sono ancora qua, in fabbrica".Caterina Gurzì compirà 62 anni a settembre. Lavora all'assemblaggio di automobili da quasi quarant'anni, 39 per la precisione, e il suo fisico le ha già detto chiaramente che non ce la fa più: "Da
sei o sette anni non sono più in linea di produzione, ma al suo fianco. Mi hanno esonerata dal montaggio perché mi hanno operata inserendomi una protesi nel ginocchio. E poi ci sono le tendiniti e tutti gli altri acciacchi. Adesso sono alle "preparazioni", cioè allestisco le cassette con i componenti che servono ai colleghi che stanno sulla linea dell'Alfa Mito. Non ho i tempi frenetici della catena di montaggio, nel senso che posso accelerare cinque minuti e "tirarmi su" di una vettura, in modo da poter respirare un po' se ne ho bisogno Insomma, posso gestirmi di più, ma devo comunque rispettare il ritmo della linea". Stare dietro al passaggio delle auto in catena di montaggio è faticoso: "Lo è soprattutto per una donna, che poi torna a casa e deve fare tutto il resto. Chi non sa cos'è la linea fa presto a dire: "Che sarà mai?". Noi da lì usciamo con le ossa spaccate".
Quando sente la parola "pensione" le viene un brivido: "È arrivata la riforma Dini e io non avevo ancora 37 anni di lavoro. Poi c'è stato l'adeguamento alle aspettative di vita e ancora niente. L'ultima batosta è stata la riforma Fornero. A quest'ora sarei già fuori, invece eccomi qua, costretta a continuare ancora due anni, fino a 64. Abbiamo i figli disoccupati e noi invece stiamo in fabbrica a lavorare".
È un paradosso che investe in pieno la vita di Caterina: "Mia figlia ha 37 anni e finora ha solo avuto contratti precari, a volte l'hanno pagata con i voucher. È stata a lungo disoccupata. Ora ha finito un tirocinio di sei mesi e le hanno detto che per continuare a lavorare deve aprirsi la partita Iva. Anche lei è nella condizione di dover accettare quello che le danno, perché l'alternativa è stare a casa. Non ha mai messo su famiglia, come potrebbe? Oggi se non hai un impiego stabile non hai niente ". L'unica nota positiva è che almeno suo marito ce l'ha fatta: "È stato operaio alla Fiat prima a Rivalta e poi a Mirafiori. Quando è iniziata la grande crisi ha accettato di stare in mobilità per quattro o cinque anni ed è andato in pensione".
"Cassa integrazione" è un'espressione ricorrente nella vita di Caterina: "Un po' stiamo a casa, un po' lavoriamo. Ormai è da anni che va avanti così. Per un periodo ho fatto 3 o 4 giorni in fabbrica al mese, dal 2017 sono salita a 6 o 7. È vero, ho tempo per risposarmi e la cassa diventa un sollievo, ma quando arriva la busta paga mi cade un macigno in testa, perché dopo 40 anni di Fiat prendo uno stipendio da fame".
Caterina Gurzì allarga le braccia: "Io sono ottimista di natura, cerco di non prendermela, anche perché nella vita possono succedere tante cose e molti alla pensione non riesce neppure ad avvicinarsi. Però non è certo ciò che volevo. Avrei preferito stare bene, lavorare sempre e andare in pensione prima". Invece non può, per colpa della riforma Fornero: "Si chiama così, ma l'hanno firmata tutti. Infatti io sono arrabbiata con tutti".
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