Al Capo dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di (…)
Oggetto. Piano di lavoro individuale
"...In relazione all’attività cui lo scrivente è assegnato, nel ricordarLe come alla propria richiesta di espletamento individuale dell’attività ispettiva, fosse stata frapposta a suo tempo – tra l’altro – anche la limitata capacità d’azione dell’ispettore tecnico in ambito “ordinario”, rileva come sul piano in argomento sia assegnato, tra l’altro a “vigilanza sull’esecuzione del CCNL e tutte le leggi in materia di lavoro e previdenza sociale – programmazione di attività di altri organi di vigilanza – vigilanza delle attività formative – verifiche amministrativo contabili – vigilanza sugli enti di patronato – esami verbali di accertamento degli istituti assicurativi e provvedimenti conseguenti – vigilanza, accertamenti e indagini in materia di tutela delle donne, dei minori, delle lavoratrici madri e categorie protette”.
...ritiene l’attività assegnata generica ed
onnicomprensiva, ovvero priva di ogni indicazione su quali delle
innumerevoli tipologie di intervento indicate, doversi concentrare per
l’eventuale, sufficiente e necessario adempimento del piano di lavoro.
Né, d’altra parte, nella “sintesi compiti / obiettivi affidati” il dilemma viene risolto, anzi, viene aggravato.
Senza infatti, alcuna indicazione di tipo qualitativo, vengono fatti esclusivamente riferimenti quantitativi, che riducono la valutazione dell’attività dello scrivente al conteggio del numero di pezzi prodotti da un qualunque operatore, addetto ad una qualunque macchina industriale elementare. Il cui indice di qualità è determinato semplicemente dalla quantità di scarti prodotti e la cui efficienza è definita, in una logica da “tempi e ritmi”, dal numero di pezzi prodotti in un determinato tempo.
Lo scrivente vorrebbe sperare che una simile sottovalutazione del senso e del valore sociale dell’ispezione del lavoro fosse determinata da altre cause, ma è perfettamente consapevole come in realtà sia la diretta ed immediata conseguenza di una sistematica erosione della funzione ispettiva, iniziata ormai da quasi un decennio e volta ad accompagnare, sul piano dell’intervento pubblico, lo smantellamento della legislazione sociale, del diritto del lavoro e delle tutele a difesa dei lavoratori.
In particolare l’adozione di obiettivi numerici a prescindere da qualunque, prioritaria / individuazione degli obiettivi sociali, su cui finalizzare l’attività ispettiva e senza alcuna considerazione della complessità degli accertamenti necessari, costituisce un oggettivo indirizzo dell’attività ispettiva verso la banalizzazione della stessa.
L’attribuzione di una percentuale necessaria di “irregolarità” per conseguire la presunta qualificazione dell’azione ispettiva, è semplicemente incongrua e punitiva nei confronti dei soggetti ispezionati. Verso cui gli ispettori non sarebbero chiamati ad assicurare il rispetto della legislazione sociale e delle norme, ma a scovare una qualunque irregolarità per giustificare “qualitativamente” il proprio lavoro.
Anche in relazione alla pretesa che l’80% delle pratiche siano concluse
al 120° giorno successivo al primo accesso ispettivo – tralasciando in
questo discorso le ispezioni tecniche – è sufficiente il semplice
richiamo ai tempi tecnico-giuridici legati alle contestazioni delle
violazioni, ai tempi di adempimento delle diffide e di pagamento delle
sanzioni e di eventuale redazione del rapporto, per evidenziare ancora
chiaramente la pretesa banalizzazione dell’attività ispettiva, con una
penalizzazione di qualunque accertamento complesso.
Peraltro, lo scrivente rileva come, benché il suo piano di lavoro individuale sia letteralmente omnicomprensivo, gli sia stato attribuito un obiettivo di pratiche totalmente abnorme rispetto agli obiettivi assegnati al restante personale ispettivo, comunque inquadrato.
Al fine di esplicitare il senso di quanto precede si ritiene opportuno fare un esempio.
Ieri sera la trasmissione Report di Rai Tre ha mandato in onda un lungo
servizio sullo stato dell’ispezione del lavoro e dell’Ispettorato
Nazionale del Lavoro, alla luce delle condizioni constatate nel più
grande deposito Conad del centro-sud e nella Fincantieri di Mestre.
Come qualunque ispettore non può non sapere, le condizioni constatate
sono in violazione a qualunque normativa. Lo sono da un punto di vista
dei rapporti di lavoro e da un punto di vista della sicurezza (anche se
questa è a carico delle ASL).
Il taglio dell’ottimo servizio giornalistico ha però svoltato su aspetti certo, reali e pesanti, ma diversi. Concentrandosi di fatto sulla carenza di mezzi e strumenti e sull’aborto che è risultato essere l’avvio dell’Ispettorato Nazionale, senza costi aggiuntivi per lo Stato, e le “gelosie del dato” dell’Inps.
In realtà, per svolgere efficacemente l’ispezione del lavoro, sia nel magazzino Conad e sia alla Fincantieri non servirebbero né l’accesso a nessuna banca dati dell’Inps, né alcuna risorsa o strumento aggiuntivi. Sarebbe sufficiente la volontà politica di far svolgere ad un organo dello Stato la propria funzione.
E’ intollerabile che un responsabile del servizio ispettivo dica che il committente non fornisca le notizie sulle imprese presenti o, forse peggio, che gli ispettori siano bloccati all’ingresso e, dopo un’attesa di mezz’ora, vengano “accompagnati” dalle stesse imprese che dovrebbero ispezionare. Cos’è, siamo arrivati al punto che gli ispettori del lavoro hanno la facoltà di “invito” o “preghiera” al posto del potere di diffida? Questi ispettori si sono mai degnati almeno di leggere cosa c’è scritto sulla loro tessera?
Per smantellare le palesi illegalità, alla faccia della potenza del committente e dell’eventuale sua natura “pubblica”, potrebbe essere addirittura, per assurdo, superfluo raccogliere le dichiarazioni dei lavoratori.
Occorrerebbe acquisire atto costitutivo, libri sociali, registro degli ammortamenti, registro fatture clienti, registro fatture fornitori, contratti accesi, fatture emesse e quant’altro necessario, studiandolo, a determinare oggettivamente l’esistenza reale o fittizia dell’appaltatore. Occorrerebbe verificare la filiera produttiva all’interno della quale agiscono i lavoratori formalmente dipendenti dell’appaltatore ed il relativo organigramma, individuando la figura ultima che gestisce il lavoro dei dipendenti dell’appaltatore. Occorrerebbe ricostruire la storia dell’appalto, risalendo, sempre oggettivamente – se non ci fosse collaborazione – alle situazioni pregresse che hanno coinvolto i medesimi lavoratori, operando gli accertamenti analoghi a quelli eseguiti nei confronti dell’ultimo appaltatore.
Non occorrerebbero né supermen, né mezzi mirabolanti. Occorrerebbe solo pazienza e tempo, tanto tempo, il tempo necessario.
E il risultato non sarebbe certo. Dipenderebbe dal riscontro degli elementi oggettivi raccolti e studiati. Se l’appaltatore risultasse un’impresa reale e non di comodo, con una sua “vita” che prescinda dal contratto con l’appaltante e nell’appalto, di suo, ci mettesse almeno l’organizzazione del lavoro dei propri dipendenti – fermo restando il rispetto delle condizioni di lavoro e contrattuali – l’eventuale conclusione negativa dell’accertamento non renderebbe lo stesso meno significativo e socialmente rilevante rispetto al caso in cui si fosse in presenza di un esito diverso. L’accertamento non sarebbe qualitativamente inferiore.
Occorrerebbe tempo, non per fare sanzioni, ma per verificare e garantire il rispetto delle norme a tutela dei lavoratori.
Tempo che le logiche dei dirigenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro non consentono e gli Ispettorati Territoriali finiscono per girarsi dall’altra parte.
Del resto nulla di strano. Le ASL fanno anche di peggio. Le scene mostrate dal servizio di Report fuori del cancello principale della Fincantieri gridano vendetta. Non c’è bisogno di invocare il rispetto del decreto 81, le norme c’erano già, scritte nero su bianco nel 303 del 1956 … e basta avere gli occhi per concludere in cinque minuti l’accertamento...
Lettera firmata
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