mercoledì 23 maggio 2018

pc 23 maggio - SAVONA-LEGA-DELL'UTRI - i legami affari/malavita/politica prima al carro di Berlusconi ora in trasferimento verso la Lega di Salvini - come è dimostrato dal caso SAVONA

Paolo Savona: il Ponte e le chiamate “inquietanti” in nome di Impregilo e Dell’Utri
Paolo Savona: il Ponte e le chiamate “inquietanti” in nome di Impregilo e Dell’Utri
L’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo inserì insieme ad altri manager destinati a
luminosa carriera come Franco Bernabé, nel 1992 in una commissione che si occupava della ristrutturazione dei Servizi segreti. Anni dopo lo propose come Governatore della Banca d’Italia al posto di Antonio Fazio e presentò un’interrogazione parlamentare contro i magistrati di Monza che avevano osato intercettarlo e indagarlo. Vale la pena rileggere la richiesta di archiviazione di quel caso firmata dal procuratore Walter Mapelli il 2 aprile 2007. I pm avevano intercettato nel 2004 alcune telefonate tra Savona e il suo amico e co-autore di libri, Carlo Pelanda, nelle quali si parlava della gara per il Ponte sullo Stretto, poi vinta dal consorzio guidato da Impregilo, il cui presidente era Savona.
Dalle telefonate emergeva che i politici vicini a Berlusconi, in testa il ministro Pietro Lunardi e Marcello Dell’Utri, si sarebbero schierati con Impregilo ma il pm chiese e ottenne l’archiviazione perché “la manipolazione della gara (…) non ha trovato decisivi riscontri”. Le motivazioni però non sono un buon viatico per entrare nelle grazie del M5S. “Certamente – spiegavano i pm – le conversazioni intercettate tra gli indagati Paolo Savona e Carlo Pelanda sono inquietanti (…) perno di una possibile accusa è la conversazione in data primo giugno 2004, nella quale Pelanda riferisce a Savona di aver parlato con ‘il senatore mio amico’ (Dell’Utri, ndr) di un possibile accordo tra Impregilo e Vinci per costituirsi in consorzio nella gara per l’appalto del ponte, e di aver ricevuto una tranquillizzante risposta ‘non esiste che Astaldi possa vincere quel tipo di cosa, vince Impregilo’, tanto da spendere questa rassicurazione con Landau (Patrick Landau, un consulente dell’impresa franco-canadese Vinci, ndr) rappresentandogli che ‘Astaldi può fare tutti i consorzi che vuole però quella gara non la vince neanche morto e quindi è inutile che metta in piedi tutto sto casino’”.
Nelle telefonate Pelanda e Savona descrivono la gara più grande mai fatta in Italia come una competizione segnata dalla politica. I pm prosegono ricordando che in una telefonata l’11 giugno 2004 “Pelanda ribadisce che ‘sto facendo arrivare messaggi trasversali sul fatto che un consorzio dove non ci sia Impregilo non vincerà mai quella gara’ mentre Savona conferma ‘non vorrei millantare, ma questo è quello che ci dicono le Autorità’. Pelanda conclude affermando di non voler dare dettagli per telefono sul modo in cui si è mosso”. I pm ritengono che Savona e Pelanda non parlassero a vanvera tanto che “alla metà di giugno 2004, dopo queste telefonate” si registra “il cambio di schieramento dei francesi di Vinci”. I franco-canadesi fiutano chi comanda e si adeguano. Scrivono i pm “la defezione diviene comprensibile qualora si ritenga che nella decisione di Vinci, di cambiare schieramento, abbia giocato un ruolo la politica, si potrebbe definire, di lobbying di Impregilo sulle Autorità Italiane; e ciò anche perché la persona che tranquillizzò Pelanda, a detta di quest’ultimo, sulla sicura vittoria di Impregilo, e cioè il senatore Dell’Utri, era all’epoca politico sicuramente influente”.

Per i pm le parole di Savona e Pelanda sono “assolutamente non millantatorie (…) è utile ricordare che entrambi partecipano, per usare l’espressione di Pelanda, a un non meglio precisato sistema di relazioni, che ha portato Savona a ricevere la solidarietà del Presidente Consob Lamberto Cardia a fronte della presente indagine giudiziaria nonché a ricoprire (dopo aver assunto la qualità di imputato con la richiesta di rinvio a giudizio per falso in bilancio) – che però non fu accolta con conseguente proscioglimento, ndr – la carica di presidente del gruppo bancario Capitalia”. Il sistema di relazioni di Savona anche nella terza repubblica è ancora forte.

Ndrangheta, massoneria e l’ex premier libanese: “Uno Stato parallelo dietro le latitanze gemelle di Dell’Utri e Matacena”

‘Ndrangheta, massoneria e l’ex premier libanese: “Uno Stato parallelo dietro le latitanze gemelle di Dell’Utri e Matacena”


La ricostruzione della Direzione investigativa antimafia in un'informativa finita agli atti del processo Breakfast che vede imputato l’ex ministro Claudio Scajola. Centottantotto pagine per ricostruire una rete di relazioni fatta di incontri, parentele, cene romane e appartenenze a logge massoniche. Compaiono i nomi degli ex politici di Forza Italia condannati per concorso esterno, di esponenti della criminalità organizzata calabrese e del leader delle falangi libanesi Amin Gemayel. Un filo che porta fino al presidente della GazProm Bank, Robert Sursock


Esiste uno “Stato parallelo”, una sorta di “superassociazione” dove la ‘ndrangheta si colloca “al pari di altri componenti di un sistema politico-economico pantagruelico e deviato”. E che lega le latitanze di Marcello Dell’Utri e Amedeo Matacena, entrambi condannati in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. A ricostruirlo è la Direzione investigativa antimafia, in un’informativa finita agli atti del processo Breakfast che vede imputato l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola. Un procedimento dove il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ha cercato di tracciare i confini di quella “rete relazione e di interessi che caratterizza il mondo imprenditoriale, economico nazionale e internazionale”.

VINCENZO SPEZIALI LA “CHIAVE” CHE PORTA IN LIBANO
Latitanze dorate, protette dai cappucci della massoneria ma anche operazioni di riciclaggio. In 188 pagine, la Dia spiega come Scajola sarebbe stato “funzionale al trasferimento di Matacena da Dubai verso il Libano”. Una destinazione mai raggiunta perché l’ex parlamentare di Forza Italia, definito il “catalizzatore degli interessi” di questa superassociazione, dopo l’arresto di Dell’Utri a Beirut, è rimasto negli Emirati Arabi. Una fuga che, comunque, ha visto “il coinvolgimento, in qualità di emissario libanese, di Vincenzo Speziali”. Chi è Speziali? Un calabrese che nei mesi scorsi ha patteggiato un anno da latitante per aver tentato di aiutare Matacena a spostarsi da Dubai a Beirut. Speziali, infatti, è sposato con la nipote del leader delle falangi libanesi Amin Gemayel, ed è stato “l’intermediario tra l’ex ministro (dell’Interno, ndr) e l’ex presidente del Libano che aveva offerto le necessarie garanzie in ordine al rigetto della richiesta di estradizione del Matacena da quel territorio”. Per gli inquirenti, in sostanza, Vincenzo Speziali è stato al “centro di una rete di collegamenti e di interessi fortemente orientati a garantire l’impunità a soggetti funzionali ad un vasto sistema economico-criminale, con dirette finalità di agevolazione e conservazione del relativo assetto illecito”.LE LATITANZE “GEMELLE” DI MATACENA E DELL’UTRI
Ed è a questo punto che gli uomini della Dia, guidati dal colonnello Teodoro Marmo, riescono a ricostruire i punti di contatto tra la vicenda di Matacena e quella di Dell’Utri, “politici di primo piano nel medesimo schieramento e pacificamente vicini ad associazioni mafiose, rispettivamente calabresi e siciliane”. Il minimo comune denominatore era Speziali che, in 18 mesi, si è sentito con Dell’Utri addirittura 400 volte, “sintomatico di una buona conoscenza e di rapporti anche nel lasso temporale immediatamente precedente lo spostamento politico in Libano”. Una ricostruzione che, nonostante il tentativo di Speziali di allontanare i sospetti dalla sua persona all’indomani dell’arresto di Dell’Utri, è avvalorata da un appunto che la Dia di Palermo ha trovato in possesso del politico siciliano. Un foglietto in cui c’era scritto “Amin G.” con a fianco riportata l’utenza libanese riferibile all’ex presidente del Paese dei cedri”. Non è un caso, inoltre che a metà ottobre 2013 Gemayel e Dell’Utri “hanno alloggiato presso lo stesso albergo Eden di Roma. Un riscontro che fa il paio con l’intercettazione registrata all’interno del ristorante “Assunta Madre” dove Alberto Dell’Utririferendosi al fratello dice: “Marcello dieci giorni fa ha cenato con un politico importante del Libano che è stato presidente. È stato a cena con lui e il 14 prossimo dovrebbe andare a Beirut”.
GEMAYEL E LE CENE ROMANE DI PINO PIZZAQuella cena era stata organizzata dall’ex parlamentare della Dc Pino Pizza a casa della sua compagna Costanza Raducanita. Amin Gemayel, “assoluto protagonista delle cene romane, – scrive la Dia – nell’ambito di una delicata trattativa avrebbe preteso, in cambio del massimo appoggio e delle garanzie offerte all’ex parlamentare Matacena, il sostegno nella campagna elettorale del Partito Popolare Europeo attraverso l’intervento dell’ex ministro dell’Interno Scajola”.  Una trattativa nella quale sarebbe rientrato anche “l’allontanamento di Marcello Dell’Utri verso la Repubblica del Libano, dove le documentate relazioni personali erano in grado di garantire l’agognato asilo politico”. “Amin Gemayel – si legge sempre nell’informativa – è giunto in Italia per sollecitare sia presso i vecchi democristiani, ora Udc di Lorenzo Cesa, sia presso esponenti della Santa Sede, la sponsorizzazione della propria candidatura in Libano. In una circostanza desiderava incontrare a Roma il suo amico Berlusconi Silvio, incontro non più realizzato per motivi logistici, anche per convincerlo ad inserire Speziali Vincenzo nelle liste elettorali di Forza Italia per le elezioni europee.

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