RIPRENDIAMOCI TUTTO!
Care compagne, cari Compagni, cari ospiti internazionali
Arriviamo
a questo nostro secondo congresso nazionale dell’USB dopo una stagione
intensa di congressi che hanno visto la partecipazione di migliaia di
uomini e donne, compagni e compagne che nell’USB ogni giorno militano e
lottano per rendere ancora più forte ed importante la nostra presenza
politica e sindacale nel panorama Italiano ed Internazionale.
Chi
è qui oggi vi è perché eletto dai suoi compagni di lavoro, dagli altri
iscritti, delegato a rappresentarli e a contribuire allo sviluppo
dell’organizzazione. Chi è qui oggi si assume quindi una grande
responsabilità politica che deve portare collettivamente tutta l’USB a
crescere ancora e a divenire sempre più il sindacato di classe che serve
ai lavoratori.
Da
quando abbiamo licenziato il nostro documento congressuale il mondo non
si è fermato, molti sono stati gli avvenimenti che sono accaduti e che
sono destinati a segnare il futuro prossimo, confermando così quella
tendenza alla velocizzazione che abbiamo individuato nel documento
congressuale e che ci riguarda da vicino perché richiede, per essere
affrontata, una organizzazione attrezzata, generale e confederale,
radicata nei luoghi di lavoro e nei territori, militante, solidale e
rinnovata nel suo quadro dirigente.
La
crisi sistemica di sovrapproduzione del capitale, iniziata da decenni
ed emersa fragorosamente nel 2008 soprattutto negli USA e nei paesi
dell’Unione Europea, non si
risolve né potrebbe farlo. Il capitalismo segna il passo e si rivela per quello che è, un sistema economico di governo del pianeta incapace di funzionare se non attraverso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e la rapina delle risorse che la Terra ha messo a disposizione dell’umanità tutta.
risolve né potrebbe farlo. Il capitalismo segna il passo e si rivela per quello che è, un sistema economico di governo del pianeta incapace di funzionare se non attraverso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e la rapina delle risorse che la Terra ha messo a disposizione dell’umanità tutta.
La
guerra riprende vigore ed è lo strumento con cui le potenze
imperialiste storiche e nascenti cercano di determinare il proprio
perimetro di influenza e di procurarsi gli approvvigionamenti di materie
prime necessarie a garantire agli abitanti della cittadella
imperialista, al mondo di sopra, il mantenimento di un tenore di vita
altissimo rispetto a quello delle popolazioni che vivono su territori
ricchi di risorse ma collocate nel mondo di sotto.
Allo
sfruttamento delle risorse si accompagna la necessità per il capitale
di valorizzarsi incidendo pesantemente sulle condizioni di vita e di
lavoro di milioni di uomini e donne. La finanziarizzazione
dell’economia, che ha rappresentato la cifra principale del capitale nei
passati decenni, non sembra più essere sufficiente ad uscire dalla
crisi e così si torna ad aggredire incessantemente il lavoro e
l’ambiente che subiscono così il ritorno senza freni degli spiriti
animali del capitale, non più contenuti e contrastati a livello mondiale
dopo la dissoluzione del campo socialista.
I
diritti, le conquiste ottenute dal movimento operaio italiano ed
internazionale sono aggredite senza posa da un capitale che deve
recuperare il terreno perduto nella seconda metà del ‘900 quando, sulla
spinta delle trasformazioni sociali attuate nel campo socialista, il
proletariato mondiale lo aveva costretto ad arretrare e a cedere pezzi
di potere economico e politico.
Interi
continenti sono oggi al centro di guerre economiche e di guerre
guerreggiate impensabili solo qualche decennio fa. La competizione
interimperialistica non si arresta anzi si nutre della nascita di nuovi
poli come quello islamico con cui molti fanno accordi facendo finta di
fare la guerra. L’ascesa di Donald Trump alla guida dell’impero
statunitense non segna solo il ritorno al potere della destra più
sciovinista, protezionista, reazionaria e se possibile ancor più
guerrafondaia ma segna il tentativo di riprendersi quell’egemonia
mondiale persa da tempo dagli USA sia sul piano economico che culturale e
politico.
Molti
sono gli avvenimenti che confermano questa tendenza, confermata dagli
esiti del G7 di Taormina: I bombardamenti indiscriminati sulla Siria, il
sostegno economico, politico e militare alla borghesia compradora del
Venezuela per affossare l’esperienza della rivoluzione Bolivariana e
Chavista ripercorrendo esattamente il film che portò in Cile alla caduta
di Allende, il mantenimento del Bloqueo e dell’occupazione di
Guantanámo a Cuba, la rinnovata aperta complicità con il governo
Israeliano nello sterminio programmato del popolo Palestinese alla cui
resistenza va tutta la nostra solidarietà, il sostegno a tutti i regimi
più reazionari del pianeta, il recentissimo accordo economico di
forniture militari all’Arabia Saudita, uno dei maggiori sostenitori
della nascita del nuovo polo imperialista islamico a cui ha fatto
seguito la rottura di quattro paesi arabi con il Quatar.
Come
accaduto in altri Paesi del mondo l’elezione di Trump ha però altri
significati che ci riguardano da vicino. La Brexit, l’affermazione di
Macron alle presidenziali francesi, la crescita di soggetti politici
interclassisti in Italia e in molti altri Paesi, assieme appunto
all’elezione di Trump danno la dimensione di una piega della politica
affatto rassicurante. I popoli dei paesi sviluppati, aggrediti dalla
crisi che ovviamente morde di più dove di più c’è da spolpare,
reagiscono non attraverso gli strumenti classici della aggregazione e
della unità del corpo sociale per sconfiggere i tentativi reazionari di
scaricare su di loro gli effetti della svalorizzazione del capitale, ma
scaricando la propria rabbia e frustrazione per la mancanza di risposte
alla propria condizione sociale attraverso il sostegno elettorale ad
improbabili salvatori della propria condizione che altro non sono che
l’espressione più reazionaria del capitale stesso.
In
Europa torna il fascismo. Ce lo dice con evidenza quanto sta accadendo
in Ucraina con l’avanzare e l’affermazione delle formazioni paramilitari
fasciste responsabili del massacro di Odessa alla Casa dei Sindacati e
l’aggressione armata al popolo del Donbass. Due Repubbliche Popolari,
Lugansk e Donetsk, che chiedono di poter decidere in piena indipendenza
il proprio futuro e che sono oggetto ormai da anni di continui
bombardamenti e di un blocco economico internazionale pesantissimo, in
particolare da parte dell’Unione Europea, che ha sposato le politiche
reazionarie di Poroshenko. Chi come l’USB, e altri dopo di noi, ha
portato solidarietà politica e concreta a quelle popolazioni ha dovuto
subire provvedimenti fascisti, richieste di arresto e di estradizione,
divieto di ingresso nel Paese, tutte misure gravissime che l’Unione
Europea e il Governo Italiano non hanno mai formalmente respinto ma che
non ci hanno minimamente intimidito né fermato nella nostra convinta
attività internazionalista.
I
muri eretti a difesa dei confini nazionali, per impedire che il flusso
continuo di migranti e rifugiati in fuga dalle guerre imperialiste e
dalla fame che esse producono arrivi nei propri territori, sono
costruiti da governi interni all’Unione Europea e da essa difesi. La
Turchia sta arrestando migliaia di uomini e donne, sindacalisti e
lavoratori pubblici in particolare, accusati di sostenere i golpisti ma
in verità rei di avversare il regime fascista di Erdogan. Di fronte a
tale imbarbarimento l’Unione Europea non alza nemmeno un sopracciglio
essendo la Turchia il Paese a cui vengono versati miliardi di Euro
perché impedisca l’afflusso di migranti in territorio europeo.
Una
propaganda massiccia e continua in Italia e in tutta Europa sta
fomentando letture reazionarie e xenofobe senza che il movimento dei
lavoratori sia in grado di contenerle. Anzi è proprio dal corpo sociale
dei lavoratori, dalla gente comune che sale una richiesta isterica ed
immotivata di ordine e sicurezza che fonda le sue ragioni sulla presenza
dei migranti nel nostro Paese. Facciamo fatica nei luoghi di lavoro e
nelle piazze a contrastare un sentire popolare razzista e xenofobo che
sta facendo crescere, in Italia, in Grecia e in tutta Europa, formazioni
di estrema destra foraggiate e tollerate dalle socialdemocrazie che
governano la maggior parte dei paesi europei.
Intanto
i migranti sono sempre più i nuovi schiavi delle nostre società
opulente in crisi. Interi settori sono ormai percorsi quasi unicamente
da lavoratori migranti, l’edilizia, la logistica, l’agricoltura
stagionale, il commercio ambulante sono i settori in cui si stanno
sviluppando vere e proprie forme di nuova schiavitù sia sul piano delle
condizioni di lavoro che salariali e dei diritti. Ma è proprio da lì, da
quei settori, che stanno nascendo ed affermandosi nuove lotte di
straordinaria intensità e forza che stanno mettendo in crisi i padroni e
i sindacati gialli loro servi. Su tutte, le rivolte nei ghetti dei
campi del sud Italia con la forte richiesta di diritti, salario e
dignità, le lotte nel settore della logistica, talmente determinate e
dure da produrre reazioni padronali gravissime come accaduto a Piacenza
con l’omicidio intenzionale del nostro compagno e delegato Abd Elsalam
durante un picchetto contro i licenziamenti. Un omicidio che non
dimenticheremo, un compagno di lotta, Abd Elsalam che sarà sempre nei
nostri cuori e nelle nostre lotte e a cui va il nostro ricordo in questo
congresso a cui avrebbe senz’altro partecipato come delegato.
Ma
la repressione di queste lotte è brutale perché il profitto che i
padroni traggono da quei settori è enorme. Il capitale oggi non si
valorizza più, nei paesi a capitalismo avanzato, solo attraverso la
produzione delle merci, che sempre più spesso avviene in paesi terzi in
cui il costo della manodopera è molto più basso e le condizioni
salariali e contrattuali assolutamente sotto la soglia della dignità, e
dove i diritti minimi sono spesso inesistenti. Esso trae valore nella
velocità di circolazione e la commercializzazione delle merci prodotte.
È
partendo da questa lettura che abbiamo nei mesi scorsi aperto una
riflessione sulle nuove figure operaie e sulla catena del valore, che
proseguirà nei territori con momenti di formazione dei nostri quadri in
particolar modo del settore privato, supportata da una efficace e
particolareggiata inchiesta scientifica realizzata dal Centro Studi
Cestes Proteo. Nei congressi nelle fabbriche, nelle aziende, in quello
nazionale delle categorie del privato, oltre che in uno specifico
convegno, abbiamo discusso di questa nuova lettura della composizione
della classe operaia e deciso di avviare la costituzione materiale,
seppure ancora non formale, di una categoria operaia che abbracci e
metta in connessione quanti oggi operano dentro la catena del valore per
rendere più forte la nostra azione di lotta al capitale, ai suoi
interessi, allo sfruttamento.
Sconfiggere
l’idea propagata a piene mani della fine della classe operaia,
respingere il tentativo di dare per morta l’esistenza della classe
operaia come ha maldestramente cercato di fare recentemente l’Istat,
l’Istituto nazionale di Statistica, per sostenere l’impossibile cioè la
fine del conflitto tra capitale e lavoro, tra borghesia e proletariato
nelle sue nuove forme, è un obbiettivo irrinunciabile per l’USB e per
chi lotta ogni giorno contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Ci
sono segnali evidenti della ripresa di campo del capitale a livello
internazionale e nazionale, crescono a dismisura gli omicidi e gli
incidenti sul lavoro, la disoccupazione in Italia viene calcolata dalla
BCE al doppio di quella stimata dal governo italiano, tra i giovani
raggiunge percentuali vicine al 50% a livello nazionale e sfiora il 70%
nel meridione che viene sempre più desertificato sul piano industriale e
del lavoro, per effetto della scomparsa di ogni attenzione politica ed
industriale alla questione meridionale mentre a milioni di uomini e
donne viene impedito di andare in pensione e quando ci riescono ci vanno
con pensioni da fame mentre è uscita completamente dall’agenda politica
e sindacale la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario che
per la USB continua ad essere una battaglia politica e culturale che
dobbiamo rilanciare con forza.
Ma
i dati più impressionanti sono quelli relativi alla crescita della
povertà che in Italia dal 2005 al 2015 è aumentata del 141% arrivando a
4,6 milioni di persone in stato di povertà assoluta, dentro un contesto
di crescente disuguaglianza sociale. Secondo dati ufficiali del Censis,
riferiti all’anno scorso, 11 milioni di cittadini italiani non si curano
più a causa dei costi della sanità. Anche le previsioni più
ottimistiche sul prossimo futuro ci avvertono che il nuovo lavoro che
verrà creato continuerà ad avere la caratteristica della discontinuità e
della forte precarietà.
Per
questo riteniamo che sia inaccettabile vedere continuamente rimandata
l’introduzione di una forma di sostegno al reddito che funzioni come
prima redistribuzione delle ricchezze e come risposta alla condizione di
miseria assoluta nella quale sta sprofondando una larga parte del
paese. E’ vergognosa la pretesa di condizionare l’erogazione di un
reddito, che spetterebbe a chiunque in mancanza di valide e dignitose
opportunità di lavoro, all’obbligo di partecipare ad attività di
orientamento e formazione professionale che, stante la debolezza della
domanda, non portano ad alcuna occupazione ma alimentano i profitti di
agenzie private, enti bilaterali e sindacati complici.
Attività che dovrebbero invece essere realizzate dall’amministrazione
pubblica e costituirebbero una risposta concreta alla riduzione di posti
di lavoro. La rivendicazione di un reddito per tutti quelli che non
arrivano a percepire un salario che gli consenta di stare al di sopra
della soglia di povertà deve diventare una battaglia importante da
rilanciare già dal prossimo autunno.
In
un contesto che vede le aree metropolitane tra le più colpite dalla
disoccupazione e dalle nuove povertà la città di Roma, rea tra l’altro
di aver espresso una sindaca non appartenente formalmente alle
formazioni politiche di riferimento della borghesia, subisce un
fortissimo attacco all’occupazione con lo spostamento di interi settori
strategici, come quello dell’informazione, verso Milano per avvicinarli
sempre più all’Europa produttiva dove la borghesia mantiene ben saldo il
suo potere. Almaviva, ALITALIA, Sky, Canale 5 e molte altre imprese
presenti sul territorio hanno subito un vero e proprio attacco
occupazionale che non ha trovato adeguata risposta se non quella messa
in campo dai lavoratori stessi e dall’USB. I poteri forti decidono della
vita delle città e dei suoi lavoratori nel più assoluto silenzio della
politica e nell’ignavia dei sindacati gialli che piuttosto accompagnano
questi processi, come tanti altri, di sistematico smantellamento del
sistema produttivo nazionale.
La
cementificazione selvaggia torna a farla da padrone, il consumo di
suolo produce effetti devastanti per l’ambiente già aggredito dal
bisogno del capitale di spingere la richiesta di consumo ben oltre la
capacità dell’ambiente di sopportarlo. La speculazione e la rendita
hanno reso del tutto residuali le politiche di salvaguardia
dell’ambiente e di tutela dei ceti popolari a cui viene negato con
sempre maggior forza il diritto all’abitare che pure con la forte e
determinata iniziativa dell’AS.I.A. cerchiamo di contrastare dando vita
ogni giorno e ormai pressoché in tutte le maggiori città del Paese a
presidi contro gli sfratti e a occupazioni abitative a cui danno vita
solidalmente italiani e migranti che vivono la stessa condizione e che
sono contrastate con forza dagli apparati statuali attraverso
l’intervento sempre più massiccio della polizia.
La
repressione delle lotte è all’ordine del giorno in ogni campo. Le leggi
proposte dal Ministro dell’Interno Minniti, si badi bene non
espressione della destra reazionaria, ma uomo di punta del Partito
Democratico, aggrediscono con forza i migranti e chi lotta nelle città,
nelle fabbriche, nei territori. L’apparato repressivo che si sta
mettendo in piedi marcia di pari passo con l’aggressione al diritto di
sciopero e di manifestare, diritti sempre più compressi e regolamentati
affinché non siano di alcun intralcio ai progetti di riorganizzazione
produttiva e di vita nelle metropoli e nei luoghi di lavoro; addirittura
le Assemblee nei luoghi di lavoro pubblici entreranno a far parte della
normativa antisciopero per evitare che siano utilizzate durante le
vertenze al posto degli scioperi.
Le
leggi prodotte dall’Unione Europea sono la coperta sotto cui il governo
italiano si copre per portare avanti normative securitarie che stanno
comprimendo sempre più libertà e diritti, da quello di circolazione e
residenza per i migranti, a quello di manifestare, di sciopero e di
protesta. Sono ormai tantissimi i nostri militanti colpiti da
provvedimenti repressivi molto pesanti per aver partecipato a scioperi,
picchetti, manifestazioni, blocchi stradali durante gli scioperi. Non
ultime le denunce a Catania a nostri compagni per scritte sui muri
contro il G7, i fogli di via e le denunce in Calabria a chi cercava di
recarsi a Taormina a contestare la riunione del G7, le pesanti condanne
pecuniarie comminate a nove giovani militanti di USB a Bologna per le
dure mobilitazioni messe in campo alla notizia del brutale omicidio di
Abd Elsalam, denunce a raffica in tutta Italia per iniziative sul
diritto alla casa e per le iniziative di resistenza agli sfratti.
E’
evidente il tentativo di impedire che cresca la risposta alla crisi; i
dispositivi repressivi che sono stati assunti dicono questo, sono
dispositivi nati “dentro la crisi” con il chiaro intento di impedire
qualsiasi presa di parola collettiva e di lotta adeguata in risposta
alle politiche aggressive dei padroni e del governo ai diritti, al
lavoro, al salario.
La
risposta alla repressione deve essere un punto di battaglia politica di
tutta l’USB in ogni settore e dobbiamo condurre una forte campagna
anche sul piano democratico coinvolgendo settori avanzati della società
per fermare la micidiale macchina repressiva che si è messa in moto. Per
questo nelle scorse settimane abbiamo già dato vita ad un partecipato
momento di dibattito a Bologna, abbiamo lanciato un appello generale e
stiamo organizzando altre iniziative di lotta e di confronto sul tema
della repressione delle lotte e sulle nuove normative approvate dal
Parlamento su diretta proposta del PD.
Se
il governo e i padroni hanno la necessità di rendere ancora più strette
le maglie della repressione ciò è senz’altro dovuto alla crisi che non
accenna a fermarsi e che produce rivolta e mobilitazione ma anche
all’esigenza del potere di concentrare sempre di più il comando
ridefinendo attorno all’esecutivo tutto il potere e la gestione degli
apparati politici ed economici della società. Lo stesso sta avvenendo
sul piano militare con la ripresa di ruolo dell’Italia nella NATO e
della presenza Italiana nei teatri di guerra e con la condivisione del
governo Italiano nella costruzione dell’Esercito Europeo che si è
definitivamente formalizzata il 25 marzo a Roma durante le celebrazioni
dei Patti di Roma.
E’
evidente che la centralizzazione è la contromisura che il potere
applica nel momento in cui il livello delle contraddizioni necessita di
un governo forte realizzato attraverso strumenti forti di comando che
nulla possono lasciare agli inutili orpelli della democrazia formale.
Sono le istituzioni Europee e sovranazionali come la BCE, l’UE e il FMI a
definire il perimetro dell’autonomia dei singoli Stati che devono
uniformarsi al comando centrale europeo e a loro volta si devono
adeguare per dare le risposte richieste a livello nazionale. Sarebbe un
errore pensare che l’Unione Europea si è indebolita a causa della
Brexit, dell’elezione di Trump o di altre vicende politiche interne agli
Stati membri.
E’
vero esattamente il contrario. Oggi l’Unione Europea a guida
Franco-Tedesca è molto più forte di prima e si sta definendo ancora
meglio nel suo ruolo nella competizione internazionale. Gli “stop and
go” Italiani nelle relazioni interne all’UE degli ultimi mesi del
governo Renzi avevano lo scopo di ottenere maggiore spazio per l’Italia
dopo la Brexit con la chiara ambizione di entrare al posto della Gran
Bretagna nel triunvirato con Francia e Germania e di provare a cavalcare
il sentimento popolare anti Unione Europea in fase referendaria.
Nessuna
vera intenzione da parte del PD di mettere in discussione la Troika e i
suoi diktat, anzi il governo dovrà decidere, probabilmente con la
prossima finanziaria, di dare attuazione al fiscal compact, rinviato di
anno in anno ma che è lì e che difficilmente si potrà evitare. In
Italia, come nel resto d’Europa, rimaniamo prigionieri del giudizio
della Commissione Europea sulle manovre di finanza e di bilancio e
subordinati al diktat del rientro dal debito che continua a crescere
nonostante i pesantissimi tagli al welfare, alle pensioni, alla sanità
cioè alle condizioni di vita delle classi popolari e il continuo aumento
della tassazione.
Le
prossime elezioni si terranno molto probabilmente prima del varo della
Legge Finanziaria per 2018 proprio perché quella legge dovrà dare
risposte alle pressanti e pesanti richieste della Troika e convocare le
elezioni dopo un probabile bagno di sangue non aiuterebbe certo il PD e i
suoi alleati della destra.
La
necessità di una risposta politica ad un quadro politico siffatto è
evidente a tutti. Immaginare la vita del sindacato, le sue iniziative e
le sue lotte concentrate unicamente sulle ricadute delle scelte
politiche che il Governo e i padroni mettono in campo su indicazione
della Troika senza lottare contro le ragioni di quelle scelte, chi le
vuole, chi le pretende, quali sono i processi interni ed internazionali
che ne sono promotori vorrebbe dire rinunciare a svolgere il nostro
ruolo di sindacato di classe per sfinirci in un inutile e frustrante
lavoro di contenimento del danno sapendo perfettamente che quello che va
affrontato non sono gli effetti ma le cause politiche che li producono.
La
nostra partecipazione ad Eurostop ci ha aiutato negli anni passati a
dare forza politica alle nostre lotte e alle nostre rivendicazioni. Le
giornate di sciopero generale e di manifestazioni nazionali a cui
abbiamo dato vita, proprio in relazione con la Piattaforma Eurostop di
cui indubbiamente siamo tra i soggetti più rilevanti sia sul piano
politico che organizzativo, hanno registrato un’ottima riuscita e ci
hanno consentito di avere un forte ruolo nella situazione italiana.
Anche
la proclamazione dello sciopero dell’8 marzo su appello di Non Una Di
Meno, e la nostra qualificata presenza nei tavoli che intorno a questa
ripresa di parola del movimento delle donne si sono costituiti, ha
rappresentato un momento importante di impegno politico e di visibilità
per tutta l’organizzazione. Questi successi devono indurci a dare ancora
maggior forza a queste imprese, contribuendo a favorire anche sul
territorio, e non quindi solo sul piano nazionale, la strutturazione di
Eurostop e la partecipazione al movimento delle donne.
Anche
la scelta congressuale del Pubblico impiego di reinternalizzare al
proprio interno la USB dei Vigili del Fuoco e di allargare il proprio
orizzonte al complesso del lavoro pubblico, riunificando così quanto è
stato artificialmente separato dai processi di trasformazione che si
sono abbattuti in maniera molto pesante sulla pubblica amministrazione, è
una scelta che va in questo senso. Definire un piano di lavoro, per il
momento soprattutto di confronto politico, su tutto ciò che oggi
riguarda il welfare, la relazione tra i cittadini e lo Stato o le
amministrazioni locali, ridefinire un quadro comune di lotta è un
passaggio rilevante che abbiamo deciso di compiere proprio dentro la
convinzione della necessità di dare ancora maggiore respiro politico
alla nostra iniziativa sindacale.
L’affermarsi
nella contrattazione del welfare aziendale, la totale complicità dei
sindacati gialli di questo progetto di definitivo smantellamento del
welfare universale, preparando il terreno alla costruzione di un vero e
proprio welfare dei miserabili e lasciando mano libera all’iniziativa
privata, dovrà necessariamente essere uno punti di maggiore iniziativa
per tutta la USB ma che certamente dovrà vedere i lavoratori pubblici,
quelli che per garantire il welfare lavorano quotidianamente, in prima
fila nella sua difesa e per il suo rilancio. Ma un primo passaggio da
Lavoro pubblico lo abbiamo messo in campo già prima che il congresso
definisse i nuovi compiti della categoria.
Con
lo sciopero nazionale dei precari che lavorano presso la pubblica
amministrazione abbiamo messo assieme in un unico fronte di lotta sia i
precari che a vario titolo operano nelle amministrazioni e negli enti ,
tempo determinato, assegni di ricerca eccetera, sia quei settori storici
di disoccupazione mascherata che sono i Lavoratori Socialmente Utili.
Abbiamo aperto una vertenza unitaria che ha ottenuto dei passaggi
positivi importanti e che ha avuto successo proprio grazie
all’impostazione unitaria che gli abbiamo impresso.
Certo,
da apripista hanno fatto le due splendide e dure vertenze vinte delle
maestre precarie degli enti locali e dei precari storici dell’Istituto
Superiore di Sanità che hanno portato alla stabilizzazione di migliaia
di nostri colleghi che oggi stanno rafforzando con l’adesione, anche
formale, la USB. Oggi siamo ancora impegnati su molti fronti difficili,
le vertenze dell’ISPRA, dell’ACI, delle partecipate contro tentativi di
chiusura o di riorganizzazione ma sicuramente un passo avanti è stato
fatto.
Analogamente
dare battaglia per contrastare le scelte di politica industriale messe
in campo dai padroni con la complicità del governo è un compito politico
di assoluta rilevanza per tutta la USB. Se ogni azienda, ogni pezzo
della produzione viene lasciato da solo a combattere contro i propri
licenziamenti, la propria ristrutturazione noi certamente non riusciremo
ad incidere concretamente sulla situazione ed ognuno si sentirà solo e
debole nell’affrontarla.
Siamo
presenti con le strutture di USB lavoro privato in tutte le maggiori
aziende in crisi del Paese, ognuna di queste aziende ha formalmente un
tratto diverso e la crisi che attraversa sembra essere determinata da
fattori specifici. Questo è il modello di lettura che fa comodo ai
padroni e al governo, riuscire a far credere a ciascuno che la sua
condizione è particolare e diversa da quella degli altri che vivono
un’analoga situazione ma in un’altra fabbrica, in un’altra azienda.
Devono
tenerci divisi. Solo così potranno vincere. Cgil, Cisl e Uil hanno da
tempo accettato questa logica, noi non possiamo adeguarci all’idea che
il movimento dei lavoratori non sia capace di dare risposte collettive,
politicamente articolate sia sul piano della proposta politica che della
lotta. Durante la crisi Alitalia, l’ennesima crisi Alitalia, abbiamo
con forza posto al centro della discussione politica la questione della
Nazionalizzazione di Alitalia e di tutte le aziende strategiche per il
Paese. Ogni giorno qualche Ministro si faceva intervistare per dire che
la proposta della nazionalizzazione, avanzata da noi e solo da noi, sia
nel corso delle trattative sia pubblicamente, non era percorribile.
Insomma si affannavano a cercare di convincere il Paese che mentre
versavano miliardi alle banche in crisi non era possibile entrare con lo
Stato in Alitalia perché, tra l’altro, le regole dell’Unione Europea
non lo permettevano. Le regole del mercato possono quindi essere violate
solo quando c’è da salvare le banche e i loro affari!
Noi
non riteniamo affatto conclusa la partita in Alitalia, bisogna con
coraggio e determinazione rilanciare la lotta per la nazionalizzazione e
per impedire licenziamenti e ristrutturazione. La prosecuzione della
lotta è tutta nelle nostre mani e nella nostra capacità di azione. In
questi si è aperto formalmente lo scontro in ILVA con l’aggiudicazione
dell’asta alla cordata Arcelormittal che ha presentato un piano
industriale che prevede licenziamenti complessivi per oltre 6.000 operai
e nessuna prospettiva di rilancio reale dell’azienda e di un vero e
indispensabile risanamento ambientale.
Anche
in Ilva siamo l’unica organizzazione con una richiesta ben precisa di
nazionalizzazione, di totale risanamento della fabbrica e del territorio
e quindi di rilancio del più importante e grande sito produttivo
italiano , indisponibili soprattutto ad accettare licenziamenti e tagli
al salario che invece saranno la cifra che accetteranno cgil cisl e uil
nella perdente politica della ricerca affannosa della riduzione del
danno mentre il Governo dal canto suo si scarica da ogni responsabilità e
per bocca del Ministro Calenda afferma beffardamente che lo Stato non
ha investito un euro per il salvataggio di ILVA.
Stiamo contrastando le prospettive di definitivo smantellamento dello
stabilimento della Piaggio dove lo spettro della fabbrica 4.0 viene
agitato tra gli operai con l’intento di ridurre al lumicino la presenza
umana in quell’insediamento e completare la sua delocalizzazione in
Asia. Le nostre rappresentanze sindacali interne stanno dando battaglia
in ogni azienda con scioperi, manifestazioni, iniziative di lotta ma
facciamo fatica ad unificare le vertenze e a dare una risposta
politicamente unitaria sulle crisi aziendali che nascondono una profonda
crisi di sistema. Su questo però siamo tutti chiamati a continuare nel
massimo sforzo per trovare la forza e le forme per realizzarla.
La
forte crescita nel settore industriale che abbiamo avuto nell’ultimo
periodo ci spinge ancora di più ad individuare questo terreno generale
di intervento come prioritario. Nelle ultime ore il Segretario generale e
la maggioranza della FIOM CGIL di Trieste ha scelto di abbandonare il
sindacato di Landini e Camusso e di aderire all’USB con una bella
lettera che trovate sul nostro sito, un altro segnale importante e forte
della qualità delle lotte e del lavoro che stiamo compiendo nelle
fabbriche e nei territori. Ma la rappresaglia è scattata immediatamente,
all’ex segretario generale della FIOM di Trieste Sasha Colautti è stato
prima impedito di rientrare in produzione in fabbrica e poi gli è stato
comunicato il trasferimento alla filiale di Taranto. E’ evidente come
si tratti di un combinato disposto tra Federmeccanica e FIOM per dare un
pesante segnale a tutti i delegati e ai lavoratori dei rischi che
corrono coloro che osano avvicinarsi alla USB. Benvenuti compagne e
compagni, siamo certi che vinceremo anche questa battaglia e che il
vostro contributo ci aiuterà a crescere ancora di più!
Benvenuti compagne e compagni, siamo certi che il vostro contributo ci aiuterà a crescere ancora di più!
Il
nostro secondo congresso realizzerà finalmente anche la necessaria
strutturazione della Federazione del Sociale. Abbiamo passato alcuni
anni, sette per la precisione, a sperimentare, a fare tentativi e
aggiustamenti per la realizzazione del nostro progetto di “ sindacato
metropolitano” come lo avevamo inizialmente chiamato, passando poi per
confederazione del sociale e arrivando quindi a definirlo più
propriamente Federazione del Sociale che sarà lo strumento, in
coordinamento stretto con AS.I.A. e USB Pensionati, attraverso cui dare
corpo alla nostra intuizione che è ormai condivisa da molti. Dico ormai
perché questo nostro progetto di sindacalizzare l’insindacalizzabile, di
portare il sindacato tra i lavoratori di nuova generazione e di portare
i lavoratori di nuova generazione dentro il sindacato non ha avuto
subito vita facile fuori da noi.
Oggi
questa nostra idea non solo trova sostenitori ma è diventata motivo di
riflessione alta dentro l’affermarsi di nuove frontiere produttive e
dello sfruttamento. Oggi possiamo finalmente passare dalla
sperimentazione alla costruzione compiuta e larga di questa che abbiamo
definito deve diventare la terza gamba dell’Organizzazione. In ogni
nostra Federazione territoriale andranno individuati i percorsi politici
ed organizzativi necessari a far si che questa nostra nuova struttura
“di categoria”, seppur anomala nella composizione sociale, possa avviare
il suo lavoro. Senza sovrapposizioni con il lavoro di organizzazione e
di tutela sindacale delle altre categorie, senza scambiare questo
intervento con l’intervento generale confederale ma soprattutto senza
frapporre ostacoli alla sua definizione e al suo avvio. Sta alla nostra
capacità di dirigenti politici e sindacali far si che questo avvio del
percorso strutturato di lavoro avvenga con il massimo della condivisione
e della chiarezza.
Le
continue trasformazioni del mondo del lavoro, l’aggressione continua ai
diritti, la scomposizione delle forme contrattuali tese a massimizzare i
profitti massimizzando lo sfruttamento ci presentano una popolazione
soprattutto giovanile che si confronta in assoluta solitudine con un
mondo del lavoro che alla maggioranza di noi è sconosciuto e/o di
difficile comprensione ma che riguarda il presente e il futuro per
milioni di donne e uomini nel nostro Paese e nel mondo.
E’
anche per andare più in profondità nella comprensione delle
trasformazioni continue che stiamo vivendo e per definire risposte
unitarie a livello internazionale che abbiamo deciso di accettare la
proposta, che per noi è anche una sfida, della Federazione Sindacale
Mondiale di ospitare a Roma il 2 e 3 novembre prossimi, il Congresso
mondiale dei giovani lavoratori. Un impegno politico, organizzativo ed
economico che deve coinvolgere tutta l’USB. E’ questo un passaggio
importante del nostro impegno internazionale. Stiamo dando il nostro
contributo, ovviamente con le forze e le risorse a disposizione, per
riaffermare in Italia un orizzonte internazionalista che è letteralmente
scomparso dall’agenda sindacale dei sindacati gialli che anzi sempre
più si schierano a fianco delle scelte imperialiste e guerrafondaie,
favorendo tra la classe lavoratrice letture distorte e fiancheggiatrici
degli interessi di rapina come sta avvenendo in questi giorni sugli
avvenimenti drammatici che stanno avvenendo in Venezuela.
La
scelta di espungere dall’agenda politica del movimento operaio lo
studio e la comprensione degli avvenimenti internazionali, e quindi
cancellando la pratica della solidarietà internazionalista, ha prodotto
negli anni un profondo arretramento nella coscienza e consapevolezza di
classe, favorendo così la spoliticizzazione dei lavoratori,
spoliticizzazione che vediamo crescere ogni giorno e che è nostro dovere
combattere fornendo strumenti adeguati di lettura della realtà.
L’affermazione
che facciamo nel documento congressuale, sulla necessità della
politicizzazione del nostro intervento sindacale, può essere una
risposta parziale se non la colleghiamo direttamente alla comprensione
dei passaggi politici che avvengono a livello internazionale.
Politicizzare l’intervento sindacale non vuol dire entrare nel campo
della politica, magari pensando che il terreno elettorale possa
diventare terreno praticabile per il sindacato o per i suoi delegati, ma
avere il coraggio di mettere al centro del nostro lavoro non solo le rivendicazioni aziendali, categoriali, territoriali, ma le risposte politiche necessarie alle scelte politiche che vengono assunte e che hanno a che fare con la vita dei lavoratori e della gente comune.
La
nostra partecipazione ad Eurostop è un esempio di quello che intendiamo
per politicizzazione del nostro intervento. Abbiamo cioè collocato USB
all’interno di una piattaforma sociale a cui partecipano anche altre
forze sindacali, sociali e politiche che sulla scorta di analisi
condivise, ad esempio in particolare sul ruolo e la funzione dell’UE,
programma ed attua mobilitazioni e momenti di confronto. La nostra
partecipazione convinta e vincente alla campagna per il NO sociale nel
referendum del 4 dicembre scorso sulla riforma costituzionale è stata
condivisa e realizzata proprio attraverso la nostra partecipazione ad
Eurostop. E’ opportuno e necessario che la strutturazione di questo
progetto si delinei sempre più come un vero e proprio strumento di
battaglia sindacale e politica già a partire dall’assemblea nazionale
del 1 e 2 luglio.
Con
il Congresso affrontiamo anche la necessaria verifica di ciò che
abbiamo fatto e di ciò che è necessario fare per attrezzare al meglio
l’organizzazione alle sfide che ci attendono sul piano interno ed
internazionale. Più tardi discuteremo con i nostri ospiti internazionali
sulle cose da fare per rendere la Federazione Sindacale Mondiale più
forte e più presente in Europa e nel mondo e che apporto e contributo
una organizzazione come la nostra potrà dare. Siamo già impegnati nella
segreteria europea, siamo alla guida della Unione Sindacale
Internazionale dei servizi pubblici, siamo presenti nel Presidential
Council della FSM ma il problema della crescita dell’internazionalismo
nel nostro Paese e in Europa è aperto e ci riguarda da vicino.
Sul
piano interno dobbiamo invece, a cominciare dalla discussione
congressuale, affrontare alcuni nodi ineludibili che abbiamo di fronte.
La mini scissione che abbiamo subito l’anno scorso ci ha posto di fronte
alla consapevolezza che è possibile che anche in una organizzazione di
classe possano affacciarsi letture e pratiche corporative e
personalistiche. Dobbiamo perciò rafforzare la nostra scelta di essere
sindacato generale, confederale, di classe e di massa. Ognuno di questi
aggettivi prevede pratiche per la loro attuazione che a volte sfuggono
nella discussione.
La
Confederalità, ad esempio, non è semplicemente una enunciazione che si
lascia praticare unicamente al livello nazionale. Le nostre federazioni
regionali e territoriali spesso vivono con difficoltà l’esigenza di
tenere ben presente questo piano di lavoro. In molti territori i momenti
di confronto a livello confederale sono rari e non seguono l’andamento
della discussione che viene costantemente aggiornata nel Coordinamento
nazionale confederale.
Non
tutti i membri del Coordinamento Nazionale hanno compreso la necessità
di riportare la discussione nei territori e nelle categorie perché
diventi momento di discussione ampio e penetri tutta l’organizzazione.
Operiamo scelte, assumiamo decisioni, definiamo percorsi di lotta che
vanno assolutamente condivisi perché diventino patrimonio collettivo. È
accaduto in più occasioni che iniziative, campagne, manifestazioni
promosse dall’USB venissero sottovalutate o addirittura non praticate
perché non comprese nella loro utilità politica.
La
confederazione è soprattutto l’ambito in cui si analizzano le
prospettive, si scelgono i piani di sviluppo, si individuano le priorità
da sostenere anche sul piano economico e deve essere adeguatamente
sostenuta sia sul piano politico che economico. È la confederazione che
sostiene gli strumenti complessivi di crescita dell’organizzazione, le
inchieste e le analisi del Centro Studi Cestes Proteo e il suo
contributo alla formazione politica dei nostri militanti e quadri
dirigenti, l’attività intensa del Forum diritti lavoro che ci consente
di indagare con competenza le trasformazioni legislative del mondo del
lavoro, il prezioso sostegno di Rete Iside alla battaglia per la tutela
della salute nei luoghi di lavoro e nell’aprire nuovi fronti di
intervento qualificato, la gestione e manutenzione del sito web e dei
social che già in queste ore potete parzialmente vedere rinnovato sia
sul piano grafico che di impostazione politica.
Auspichiamo
che alcune modalità superficiali con cui spesso si valutano queste
scelte che operiamo per la crescita scompaiano quanto prima dalle nostre
pratiche sindacali e che tutti i nostri delegati e dirigenti si
impegnino invece nella discussione interna su come dotarci di ulteriori
strumenti di crescita. Anche l’ambizione a divenire davvero un grande
sindacato di classe e di massa necessita di una comprensione maggiore di
quello che sta accadendo intorno a noi.
Sono
ormai alcuni anni che siamo oggetto di grande attenzione da parte di
compagne e compagni che vivono con sempre maggiore difficoltà la propria
adesione ai sindacati complici. Sono molti coloro che hanno finalmente
scelto di abbandonarli e di cominciare a militare tra le nostre fila.
Sono compagne e compagni che hanno avuto una storia in altre
organizzazioni in cui erano spesso costretti ad una pratica militante di
opposizione interna. Oggi trovano in USB una organizzazione in cui le
loro posizioni politiche sono le posizioni politiche alla base della
nostra storia e delle nostre pratiche e a volte sembrano spaesati perché
non abituati a non dover combattere ogni giorno all’interno per
affermare le proprie posizioni.
Il
loro inserimento nelle strutture USB ha a volte, per fortuna in pochi
casi, trovato qualche difficoltà così come a volte accade che questi
compagni fatichino a realizzare dove sono approdati. Probabilmente a
questo contribuisce la profonda diversità organizzativa che trovano
nelle nostre strutture rispetto a quelle di provenienza e forse anche la
sopravvalutazione della nostra organizzazione. Ai vecchi militanti Usb e
ai nuovi chiediamo di fare ogni sforzo perché si armonizzino al più
presto i comportamenti e si raggiunga quella piena condivisione dei
percorsi e del metodo indispensabili alla crescita. Peraltro un
sindacato di massa è sempre più destinato ad incorporare al suo interno
soggettività e provenienze diverse con cui dobbiamo imparare ad avere a
che fare.
La
crescita delle adesioni e la conseguente crescita delle richieste di
sostegno per favorire la apertura di nuove federazioni e
l’individuazione di nuovi operatori pone in maniera sempre più
impellente una razionalizzazione e una ridefinizione nell’uso delle
risorse. Come abbiamo già detto c’è una vera e propria emergenza
economica per la struttura nazionale confederale che non riesce più a
fare fronte alle richieste di intervento per favorire la crescita e lo
sviluppo.
È
necessario operare una revisione del regolamento economico attuale per
fare in modo che si realizzi un riequilibrio tra periferia e centro. La
proposta che avanziamo riguarda la riduzione dei contributi fissi che
dal confederale nazionale vanno alle Federazione territoriali.
Ovviamente non intendiamo operare ne per decreto ne per tagli lineari
come fa il governo ma discutendo con le federazioni ogni esigenza e ogni
particolarità. Sul fronte economico va rilevato come si sia realizzata
una scarsa attenzione alle possibili entrate economiche provenienti dal
l’erogazione di servizi ai lavoratori.
Non
tutte le federazioni hanno compreso l’indispensabilità della crescita
di questo aspetto del nostro lavoro anche sul piano economico mentre
altre sono eccessivamente vocate alla sua realizzazione. La crescita dei
servizi, del sostegno a Rete Iside, sono da intendersi un
indispensabile supporto all’attività politica e sindacale, non
certamente la loro sostituzione. Non vogliamo arretrare nemmeno di un
millimetro nelle cose che abbiamo deciso di fare. Dobbiamo trovare le
risorse necessarie a mantenere aperta la prospettiva di crescita
dell’unico sindacato confederale, generale di classe e di massa del
Paese. Dobbiamo crescere nelle adesioni per crescere ancora nella forza e
nell’autorevolezza politica. Ci sono milioni di lavoratori in Italia
che ancora sono prigionieri dei sindacati gialli, ce ne sono altri
milioni che non ci hanno mai incontrato e che ancora non conoscono il
nostro progetto e i nostri programmi, che non vengono nemmeno sfiorati
dall’idea che esista un sindacato che pratica il conflitto e non lascia
mai nessuno da solo. Un sindacato per cui se tocchi uno tocchi tutti.
La
crescita dell’organizzazione deve avvenire anche sul piano dei numeri e
delle strutture. La nuova USB che abbiamo creato perché assieme ad
AS.I.A. E a USB pensionati desse vita alla federazione del sociale, USB
S.L.A.N.G. Sindacato Lavoratori Autonomi di Nuova Generazione potrà
aiutarci ad espandere la nostra presenza in settori e spezzoni a noi
oggi preclusi e quasi sconosciuti sul terreno delle lotte e
dell’intervento. Usb lavoro privato, che pure sta crescendo soprattutto
nel settore industriale e del commercio ha bisogno di ridare smalto e
forza ad altre categorie e lo farà realizzando quanto approvato nel
congresso di categoria attrezzando le filiere verticali di categoria e
continuando nella crescita.
La
logistica ed il nuovo intervento tra i braccianti che rappresentano
oggi certamente il piano più avanzato delle lotte sia per USB che in
generale nel Paese devono proseguire con il sostegno e l’aiuto delle
federazioni territoriali a sviluppare questo intervento che si inserisce
a pieno titolo nella nostra campagna Schiavi Mai! Il pubblico impiego
che affronta una stasi dovuta alla fortissima riduzione di personale,
circa 300.000 lavoratori in meno negli ultimi anni e che è alla vigilia
di un importante verifica attraverso la nuova tornata nazionale di
elezioni delle RSU da cui dipendono molto anche le agibilità che tutta
l’organizzazione utilizza, avrà il sostegno di tutta l’organizzazione
per raggiungere l’ambizioso obiettivo del 5% negli Enti Locali ma è
necessario che le strutture escano dai propri luoghi di lavoro dove
siamo già presenti e radicati per aprire nuove strutture e iscrivere
nuovi lavoratori in tutti i comparti per affrontare anche con più forza
la prossima tornata di rinnovi contrattuali. L’importante sviluppo di
strutture ed iscritti nel comparto Scuola, rinnovato nel quadro
dirigente e nell’impostazione politica del lavoro, ci dice che questo è
possibile in ogni comparto.
Tutto
ciò sarà più difficile se non sapremo però anche rinnovare il nostro
quadro dirigente. Il nostro attuale gruppo dirigente, a cui credo debba
andare il ringraziamento di tutta l’organizzazione per il lavoro che ha
fatto, ha bisogno di ricambio. Non è semplicemente una questione
generazionale o di maquillage, sta dentro la necessità di una crescita
che può avvenire solo se sapremo allargare, rinnovare, formare i nostri
gruppi dirigenti avviando una stagione che trovi già dentro questi
prossimi quattro anni soluzioni che vadano nella giusta direzione. La
fase congressuale ci ha messo a disposizione un quadro militante
rinnovato sia a livello territoriale che categoriale che dovremo saper
coltivare e far crescere con un forte sforzo di formazione politica che
dovremo mettere in campo ad ogni livello, negli anni passati abbiamo
rilevato parecchie riluttanze da parte delle Federazioni a favorire i
cicli di formazione che devono invece essere programmati ed effettuati
in ogni territorio.
Nelle
prossime settimane si diraderà la nebbia politica che avvolge il futuro
del governo e si scopriranno le carte elettorali e quelle della nuova
legge di bilancio per il 2017. Certamente ci sarà un nuovo pesante
attacco al lavoro, ai salari, ai diritti, al welfare, la riproposizione
sotto altra forma dei Voucher che usciti dalla porta rientrano dalla
finestra; le pesanti ricadute di un jobs act che andrà a regime senza
gli sgravi contributivi e le facilitazioni fiscali che hanno indorato
fin qui la pillola e drogato i dati reali dello sfacelo che ha creato;
la messa in atto, con la piena complicità di Cgil, Cisl e Uil, per via
contrattuale del welfare aziendale per sostituire progressivamente il
welfare universale e per sostituire gli aumenti salariali contrattuali
sono solo gli atti più recenti di politiche che hanno in animo di
smantellare ogni diritto residuo al lavoro e alla pensione. Noi dobbiamo
essere pronti a scendere in lotta, a proclamare lo sciopero generale e a
chiamare una grande manifestazione nazionale a Roma che, nel solco
delle nostre migliori mobilitazioni degli scorsi autunni, suoni la
carica dei lavoratori per sconfiggere i progetti dell’Unione Europea,
del governo Italiano, dei padroni, della borghesia italiana ed europea.
Siamo
qui per oliare la macchina, per metterla a punto perché sia pronta alle
sfide che ci attendono, abbiamo una responsabilità grande che va anche
oltre le nostre forze. Ce la dobbiamo assumere con la solita
determinazione e militanza per dare un futuro al movimento dei
lavoratori e una prospettiva a USB, il sindacato che serve.
Tivoli, 9 giugno 2017
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