domenica 11 giugno 2017

pc 11 giugno - Per conoscenza e per criticarla pubblichiamo la RELAZIONE INTRODUTTIVA 2° CONGRESSO NAZIONALE USB



RIPRENDIAMOCI TUTTO!
Care compagne, cari Compagni, cari ospiti internazionali
Arriviamo a questo nostro secondo congresso nazionale dell’USB dopo una stagione intensa di congressi che hanno visto la partecipazione di migliaia di uomini e donne, compagni e compagne che nell’USB ogni giorno militano e lottano per rendere ancora più forte ed importante la nostra presenza politica e sindacale nel panorama Italiano ed Internazionale.
Chi è qui oggi vi è perché eletto dai suoi compagni di lavoro, dagli altri iscritti, delegato a rappresentarli e a contribuire allo sviluppo dell’organizzazione. Chi è qui oggi si assume quindi una grande responsabilità politica che deve portare collettivamente tutta l’USB a crescere ancora e a divenire sempre più il sindacato di classe che serve ai lavoratori.
Da quando abbiamo licenziato il nostro documento congressuale il mondo non si è fermato, molti sono stati gli avvenimenti che sono accaduti e che sono destinati a segnare il futuro prossimo, confermando così quella tendenza alla velocizzazione che abbiamo individuato nel documento congressuale e che ci riguarda da vicino perché richiede, per essere affrontata, una organizzazione attrezzata, generale e confederale, radicata nei luoghi di lavoro e nei territori, militante, solidale e rinnovata nel suo quadro dirigente.
La crisi sistemica di sovrapproduzione del capitale, iniziata da decenni ed emersa fragorosamente nel 2008 soprattutto negli USA e nei paesi dell’Unione Europea, non si
risolve né potrebbe farlo. Il capitalismo segna il passo e si rivela per quello che è, un sistema economico di governo del pianeta incapace di funzionare se non attraverso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e la rapina delle risorse che la Terra ha messo a disposizione dell’umanità tutta.

La guerra riprende vigore ed è lo strumento con cui le potenze imperialiste storiche e nascenti cercano di determinare il proprio perimetro di influenza e di procurarsi gli approvvigionamenti di materie prime necessarie a garantire agli abitanti della cittadella imperialista, al mondo di sopra, il mantenimento di un tenore di vita altissimo rispetto a quello delle popolazioni che vivono su territori ricchi di risorse ma collocate nel mondo di sotto.
Allo sfruttamento delle risorse si accompagna la necessità per il capitale di valorizzarsi incidendo pesantemente sulle condizioni di vita e di lavoro di milioni di uomini e donne. La finanziarizzazione dell’economia, che ha rappresentato la cifra principale del capitale nei passati decenni, non sembra più essere sufficiente ad uscire dalla crisi e così si torna ad aggredire incessantemente il lavoro e l’ambiente che subiscono così il ritorno senza freni degli spiriti animali del capitale, non più contenuti e contrastati a livello mondiale dopo la dissoluzione del campo socialista.
I diritti, le conquiste ottenute dal movimento operaio italiano ed internazionale sono aggredite senza posa da un capitale che deve recuperare il terreno perduto nella seconda metà del ‘900 quando, sulla spinta delle trasformazioni sociali attuate nel campo socialista, il proletariato mondiale lo aveva costretto ad arretrare e a cedere pezzi di potere economico e politico.
Interi continenti sono oggi al centro di guerre economiche e di guerre guerreggiate impensabili solo qualche decennio fa. La competizione interimperialistica non si arresta anzi si nutre della nascita di nuovi poli come quello islamico con cui molti fanno accordi facendo finta di fare la guerra. L’ascesa di Donald Trump alla guida dell’impero statunitense non segna solo il ritorno al potere della destra più sciovinista, protezionista, reazionaria e se possibile ancor più guerrafondaia ma segna il tentativo di riprendersi quell’egemonia mondiale persa da tempo dagli USA sia sul piano economico che culturale e politico.
Molti sono gli avvenimenti che confermano questa tendenza, confermata dagli esiti del G7 di Taormina: I bombardamenti indiscriminati sulla Siria, il sostegno economico, politico e militare alla borghesia compradora del Venezuela per affossare l’esperienza della rivoluzione Bolivariana e Chavista ripercorrendo esattamente il film che portò in Cile alla caduta di Allende, il mantenimento del Bloqueo e dell’occupazione di Guantanámo a Cuba, la rinnovata aperta complicità con il governo Israeliano nello sterminio programmato del popolo Palestinese alla cui resistenza va tutta la nostra solidarietà, il sostegno a tutti i regimi più reazionari del pianeta, il recentissimo accordo economico di forniture militari all’Arabia Saudita, uno dei maggiori sostenitori della nascita del nuovo polo imperialista islamico a cui ha fatto seguito la rottura di quattro paesi arabi con il Quatar.
Come accaduto in altri Paesi del mondo l’elezione di Trump ha però altri significati che ci riguardano da vicino. La Brexit, l’affermazione di Macron alle presidenziali francesi, la crescita di soggetti politici interclassisti in Italia e in molti altri Paesi, assieme appunto all’elezione di Trump danno la dimensione di una piega della politica affatto rassicurante. I popoli dei paesi sviluppati, aggrediti dalla crisi che ovviamente morde di più dove di più c’è da spolpare, reagiscono non attraverso gli strumenti classici della aggregazione e della unità del corpo sociale per sconfiggere i tentativi reazionari di scaricare su di loro gli effetti della svalorizzazione del capitale, ma scaricando la propria rabbia e frustrazione per la mancanza di risposte alla propria condizione sociale attraverso il sostegno elettorale ad improbabili salvatori della propria condizione che altro non sono che l’espressione più reazionaria del capitale stesso.
In Europa torna il fascismo. Ce lo dice con evidenza quanto sta accadendo in Ucraina con l’avanzare e l’affermazione delle formazioni paramilitari fasciste responsabili del massacro di Odessa alla Casa dei Sindacati e l’aggressione armata al popolo del Donbass. Due Repubbliche Popolari, Lugansk e Donetsk, che chiedono di poter decidere in piena indipendenza il proprio futuro e che sono oggetto ormai da anni di continui bombardamenti e di un blocco economico internazionale pesantissimo, in particolare da parte dell’Unione Europea, che ha sposato le politiche reazionarie di Poroshenko. Chi come l’USB, e altri dopo di noi, ha portato solidarietà politica e concreta a quelle popolazioni ha dovuto subire provvedimenti fascisti, richieste di arresto e di estradizione, divieto di ingresso nel Paese, tutte misure gravissime che l’Unione Europea e il Governo Italiano non hanno mai formalmente respinto ma che non ci hanno minimamente intimidito né fermato nella nostra convinta attività internazionalista.
I muri eretti a difesa dei confini nazionali, per impedire che il flusso continuo di migranti e rifugiati in fuga dalle guerre imperialiste e dalla fame che esse producono arrivi nei propri territori, sono costruiti da governi interni all’Unione Europea e da essa difesi. La Turchia sta arrestando migliaia di uomini e donne, sindacalisti e lavoratori pubblici in particolare, accusati di sostenere i golpisti ma in verità rei di avversare il regime fascista di Erdogan. Di fronte a tale imbarbarimento l’Unione Europea non alza nemmeno un sopracciglio essendo la Turchia il Paese a cui vengono versati miliardi di Euro perché impedisca l’afflusso di migranti in territorio europeo.
Una propaganda massiccia e continua in Italia e in tutta Europa sta fomentando letture reazionarie e xenofobe senza che il movimento dei lavoratori sia in grado di contenerle. Anzi è proprio dal corpo sociale dei lavoratori, dalla gente comune che sale una richiesta isterica ed immotivata di ordine e sicurezza che fonda le sue ragioni sulla presenza dei migranti nel nostro Paese. Facciamo fatica nei luoghi di lavoro e nelle piazze a contrastare un sentire popolare razzista e xenofobo che sta facendo crescere, in Italia, in Grecia e in tutta Europa, formazioni di estrema destra foraggiate e tollerate dalle socialdemocrazie che governano la maggior parte dei paesi europei.
Intanto i migranti sono sempre più i nuovi schiavi delle nostre società opulente in crisi. Interi settori sono ormai percorsi quasi unicamente da lavoratori migranti, l’edilizia, la logistica, l’agricoltura stagionale, il commercio ambulante sono i settori in cui si stanno sviluppando vere e proprie forme di nuova schiavitù sia sul piano delle condizioni di lavoro che salariali e dei diritti. Ma è proprio da lì, da quei settori, che stanno nascendo ed affermandosi nuove lotte di straordinaria intensità e forza che stanno mettendo in crisi i padroni e i sindacati gialli loro servi. Su tutte, le rivolte nei ghetti dei campi del sud Italia con la forte richiesta di diritti, salario e dignità, le lotte nel settore della logistica, talmente determinate e dure da produrre reazioni padronali gravissime come accaduto a Piacenza con l’omicidio intenzionale del nostro compagno e delegato Abd Elsalam durante un picchetto contro i licenziamenti. Un omicidio che non dimenticheremo, un compagno di lotta, Abd Elsalam che sarà sempre nei nostri cuori e nelle nostre lotte e a cui va il nostro ricordo in questo congresso a cui avrebbe senz’altro partecipato come delegato.
Ma la repressione di queste lotte è brutale perché il profitto che i padroni traggono da quei settori è enorme. Il capitale oggi non si valorizza più, nei paesi a capitalismo avanzato, solo attraverso la produzione delle merci, che sempre più spesso avviene in paesi terzi in cui il costo della manodopera è molto più basso e le condizioni salariali e contrattuali assolutamente sotto la soglia della dignità, e dove i diritti minimi sono spesso inesistenti. Esso trae valore nella velocità di circolazione e la commercializzazione delle merci prodotte.
È partendo da questa lettura che abbiamo nei mesi scorsi aperto una riflessione sulle nuove figure operaie e sulla catena del valore, che proseguirà nei territori con momenti di formazione dei nostri quadri in particolar modo del settore privato, supportata da una efficace e particolareggiata inchiesta scientifica realizzata dal Centro Studi Cestes Proteo. Nei congressi nelle fabbriche, nelle aziende, in quello nazionale delle categorie del privato, oltre che in uno specifico convegno, abbiamo discusso di questa nuova lettura della composizione della classe operaia e deciso di avviare la costituzione materiale, seppure ancora non formale, di una categoria operaia che abbracci e metta in connessione quanti oggi operano dentro la catena del valore per rendere più forte la nostra azione di lotta al capitale, ai suoi interessi, allo sfruttamento.
Sconfiggere l’idea propagata a piene mani della fine della classe operaia, respingere il tentativo di dare per morta l’esistenza della classe operaia come ha maldestramente cercato di fare recentemente l’Istat, l’Istituto nazionale di Statistica, per sostenere l’impossibile cioè la fine del conflitto tra capitale e lavoro, tra borghesia e proletariato nelle sue nuove forme, è un obbiettivo irrinunciabile per l’USB e per chi lotta ogni giorno contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Ci sono segnali evidenti della ripresa di campo del capitale a livello internazionale e nazionale, crescono a dismisura gli omicidi e gli incidenti sul lavoro, la disoccupazione in Italia viene calcolata dalla BCE al doppio di quella stimata dal governo italiano, tra i giovani raggiunge percentuali vicine al 50% a livello nazionale e sfiora il 70% nel meridione che viene sempre più desertificato sul piano industriale e del lavoro, per effetto della scomparsa di ogni attenzione politica ed industriale alla questione meridionale mentre a milioni di uomini e donne viene impedito di andare in pensione e quando ci riescono ci vanno con pensioni da fame mentre è uscita completamente dall’agenda politica e sindacale la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario che per la USB continua ad essere una battaglia politica e culturale che dobbiamo rilanciare con forza.
Ma i dati più impressionanti sono quelli relativi alla crescita della povertà che in Italia dal 2005 al 2015 è aumentata del 141% arrivando a 4,6 milioni di persone in stato di povertà assoluta, dentro un contesto di crescente disuguaglianza sociale. Secondo dati ufficiali del Censis, riferiti all’anno scorso, 11 milioni di cittadini italiani non si curano più a causa dei costi della sanità. Anche le previsioni più ottimistiche sul prossimo futuro ci avvertono che il nuovo lavoro che verrà creato continuerà ad avere la caratteristica della discontinuità e della forte precarietà.
Per questo riteniamo che sia inaccettabile vedere continuamente rimandata l’introduzione di una forma di sostegno al reddito che funzioni come prima redistribuzione delle ricchezze e come risposta alla condizione di miseria assoluta nella quale sta sprofondando una larga parte del paese. E’ vergognosa la pretesa di condizionare l’erogazione di un reddito, che spetterebbe a chiunque in mancanza di valide e dignitose opportunità di lavoro, all’obbligo di partecipare ad attività di orientamento e formazione professionale che, stante la debolezza della domanda, non portano ad alcuna occupazione ma alimentano i profitti di agenzie private, enti bilaterali e sindacati complici. Attività che dovrebbero invece essere realizzate dall’amministrazione pubblica e costituirebbero una risposta concreta alla riduzione di posti di lavoro. La rivendicazione di un reddito per tutti quelli che non arrivano a percepire un salario che gli consenta di stare al di sopra della soglia di povertà deve diventare una battaglia importante da rilanciare già dal prossimo autunno.
In un contesto che vede le aree metropolitane tra le più colpite dalla disoccupazione e dalle nuove povertà la città di Roma, rea tra l’altro di aver espresso una sindaca non appartenente formalmente alle formazioni politiche di riferimento della borghesia, subisce un fortissimo attacco all’occupazione con lo spostamento di interi settori strategici, come quello dell’informazione, verso Milano per avvicinarli sempre più all’Europa produttiva dove la borghesia mantiene ben saldo il suo potere. Almaviva, ALITALIA, Sky, Canale 5 e molte altre imprese presenti sul territorio hanno subito un vero e proprio attacco occupazionale che non ha trovato adeguata risposta se non quella messa in campo dai lavoratori stessi e dall’USB. I poteri forti decidono della vita delle città e dei suoi lavoratori nel più assoluto silenzio della politica e nell’ignavia dei sindacati gialli che piuttosto accompagnano questi processi, come tanti altri, di sistematico smantellamento del sistema produttivo nazionale.
La cementificazione selvaggia torna a farla da padrone, il consumo di suolo produce effetti devastanti per l’ambiente già aggredito dal bisogno del capitale di spingere la richiesta di consumo ben oltre la capacità dell’ambiente di sopportarlo. La speculazione e la rendita hanno reso del tutto residuali le politiche di salvaguardia dell’ambiente e di tutela dei ceti popolari a cui viene negato con sempre maggior forza il diritto all’abitare che pure con la forte e determinata iniziativa dell’AS.I.A. cerchiamo di contrastare dando vita ogni giorno e ormai pressoché in tutte le maggiori città del Paese a presidi contro gli sfratti e a occupazioni abitative a cui danno vita solidalmente italiani e migranti che vivono la stessa condizione e che sono contrastate con forza dagli apparati statuali attraverso l’intervento sempre più massiccio della polizia.
La repressione delle lotte è all’ordine del giorno in ogni campo. Le leggi proposte dal Ministro dell’Interno Minniti, si badi bene non espressione della destra reazionaria, ma uomo di punta del Partito Democratico, aggrediscono con forza i migranti e chi lotta nelle città, nelle fabbriche, nei territori. L’apparato repressivo che si sta mettendo in piedi marcia di pari passo con l’aggressione al diritto di sciopero e di manifestare, diritti sempre più compressi e regolamentati affinché non siano di alcun intralcio ai progetti di riorganizzazione produttiva e di vita nelle metropoli e nei luoghi di lavoro; addirittura le Assemblee nei luoghi di lavoro pubblici entreranno a far parte della normativa antisciopero per evitare che siano utilizzate durante le vertenze al posto degli scioperi.
Le leggi prodotte dall’Unione Europea sono la coperta sotto cui il governo italiano si copre per portare avanti normative securitarie che stanno comprimendo sempre più libertà e diritti, da quello di circolazione e residenza per i migranti, a quello di manifestare, di sciopero e di protesta. Sono ormai tantissimi i nostri militanti colpiti da provvedimenti repressivi molto pesanti per aver partecipato a scioperi, picchetti, manifestazioni, blocchi stradali durante gli scioperi. Non ultime le denunce a Catania a nostri compagni per scritte sui muri contro il G7, i fogli di via e le denunce in Calabria a chi cercava di recarsi a Taormina a contestare la riunione del G7, le pesanti condanne pecuniarie comminate a nove giovani militanti di USB a Bologna per le dure mobilitazioni messe in campo alla notizia del brutale omicidio di Abd Elsalam, denunce a raffica in tutta Italia per iniziative sul diritto alla casa e per le iniziative di resistenza agli sfratti.
E’ evidente il tentativo di impedire che cresca la risposta alla crisi; i dispositivi repressivi che sono stati assunti dicono questo, sono dispositivi nati “dentro la crisi” con il chiaro intento di impedire qualsiasi presa di parola collettiva e di lotta adeguata in risposta alle politiche aggressive dei padroni e del governo ai diritti, al lavoro, al salario.
La risposta alla repressione deve essere un punto di battaglia politica di tutta l’USB in ogni settore e dobbiamo condurre una forte campagna anche sul piano democratico coinvolgendo settori avanzati della società per fermare la micidiale macchina repressiva che si è messa in moto. Per questo nelle scorse settimane abbiamo già dato vita ad un partecipato momento di dibattito a Bologna, abbiamo lanciato un appello generale e stiamo organizzando altre iniziative di lotta e di confronto sul tema della repressione delle lotte e sulle nuove normative approvate dal Parlamento su diretta proposta del PD.
Se il governo e i padroni hanno la necessità di rendere ancora più strette le maglie della repressione ciò è senz’altro dovuto alla crisi che non accenna a fermarsi e che produce rivolta e mobilitazione ma anche all’esigenza del potere di concentrare sempre di più il comando ridefinendo attorno all’esecutivo tutto il potere e la gestione degli apparati politici ed economici della società. Lo stesso sta avvenendo sul piano militare con la ripresa di ruolo dell’Italia nella NATO e della presenza Italiana nei teatri di guerra e con la condivisione del governo Italiano nella costruzione dell’Esercito Europeo che si è definitivamente formalizzata il 25 marzo a Roma durante le celebrazioni dei Patti di Roma.
E’ evidente che la centralizzazione è la contromisura che il potere applica nel momento in cui il livello delle contraddizioni necessita di un governo forte realizzato attraverso strumenti forti di comando che nulla possono lasciare agli inutili orpelli della democrazia formale. Sono le istituzioni Europee e sovranazionali come la BCE, l’UE e il FMI a definire il perimetro dell’autonomia dei singoli Stati che devono uniformarsi al comando centrale europeo e a loro volta si devono adeguare per dare le risposte richieste a livello nazionale. Sarebbe un errore pensare che l’Unione Europea si è indebolita a causa della Brexit, dell’elezione di Trump o di altre vicende politiche interne agli Stati membri.
E’ vero esattamente il contrario. Oggi l’Unione Europea a guida Franco-Tedesca è molto più forte di prima e si sta definendo ancora meglio nel suo ruolo nella competizione internazionale. Gli “stop and go” Italiani nelle relazioni interne all’UE degli ultimi mesi del governo Renzi avevano lo scopo di ottenere maggiore spazio per l’Italia dopo la Brexit con la chiara ambizione di entrare al posto della Gran Bretagna nel triunvirato con Francia e Germania e di provare a cavalcare il sentimento popolare anti Unione Europea in fase referendaria.
Nessuna vera intenzione da parte del PD di mettere in discussione la Troika e i suoi diktat, anzi il governo dovrà decidere, probabilmente con la prossima finanziaria, di dare attuazione al fiscal compact, rinviato di anno in anno ma che è lì e che difficilmente si potrà evitare. In Italia, come nel resto d’Europa, rimaniamo prigionieri del giudizio della Commissione Europea sulle manovre di finanza e di bilancio e subordinati al diktat del rientro dal debito che continua a crescere nonostante i pesantissimi tagli al welfare, alle pensioni, alla sanità cioè alle condizioni di vita delle classi popolari e il continuo aumento della tassazione.
Le prossime elezioni si terranno molto probabilmente prima del varo della Legge Finanziaria per 2018 proprio perché quella legge dovrà dare risposte alle pressanti e pesanti richieste della Troika e convocare le elezioni dopo un probabile bagno di sangue non aiuterebbe certo il PD e i suoi alleati della destra.
La necessità di una risposta politica ad un quadro politico siffatto è evidente a tutti. Immaginare la vita del sindacato, le sue iniziative e le sue lotte concentrate unicamente sulle ricadute delle scelte politiche che il Governo e i padroni mettono in campo su indicazione della Troika senza lottare contro le ragioni di quelle scelte, chi le vuole, chi le pretende, quali sono i processi interni ed internazionali che ne sono promotori vorrebbe dire rinunciare a svolgere il nostro ruolo di sindacato di classe per sfinirci in un inutile e frustrante lavoro di contenimento del danno sapendo perfettamente che quello che va affrontato non sono gli effetti ma le cause politiche che li producono.
La nostra partecipazione ad Eurostop ci ha aiutato negli anni passati a dare forza politica alle nostre lotte e alle nostre rivendicazioni. Le giornate di sciopero generale e di manifestazioni nazionali a cui abbiamo dato vita, proprio in relazione con la Piattaforma Eurostop di cui indubbiamente siamo tra i soggetti più rilevanti sia sul piano politico che organizzativo, hanno registrato un’ottima riuscita e ci hanno consentito di avere un forte ruolo nella situazione italiana.
Anche la proclamazione dello sciopero dell’8 marzo su appello di Non Una Di Meno, e la nostra qualificata presenza nei tavoli che intorno a questa ripresa di parola del movimento delle donne si sono costituiti, ha rappresentato un momento importante di impegno politico e di visibilità per tutta l’organizzazione. Questi successi devono indurci a dare ancora maggior forza a queste imprese, contribuendo a favorire anche sul territorio, e non quindi solo sul piano nazionale, la strutturazione di Eurostop e la partecipazione al movimento delle donne.
Anche la scelta congressuale del Pubblico impiego di reinternalizzare al proprio interno la USB dei Vigili del Fuoco e di allargare il proprio orizzonte al complesso del lavoro pubblico, riunificando così quanto è stato artificialmente separato dai processi di trasformazione che si sono abbattuti in maniera molto pesante sulla pubblica amministrazione, è una scelta che va in questo senso. Definire un piano di lavoro, per il momento soprattutto di confronto politico, su tutto ciò che oggi riguarda il welfare, la relazione tra i cittadini e lo Stato o le amministrazioni locali, ridefinire un quadro comune di lotta è un passaggio rilevante che abbiamo deciso di compiere proprio dentro la convinzione della necessità di dare ancora maggiore respiro politico alla nostra iniziativa sindacale.
L’affermarsi nella contrattazione del welfare aziendale, la totale complicità dei sindacati gialli di questo progetto di definitivo smantellamento del welfare universale, preparando il terreno alla costruzione di un vero e proprio welfare dei miserabili e lasciando mano libera all’iniziativa privata, dovrà necessariamente essere uno punti di maggiore iniziativa per tutta la USB ma che certamente dovrà vedere i lavoratori pubblici, quelli che per garantire il welfare lavorano quotidianamente, in prima fila nella sua difesa e per il suo rilancio. Ma un primo passaggio da Lavoro pubblico lo abbiamo messo in campo già prima che il congresso definisse i nuovi compiti della categoria.
Con lo sciopero nazionale dei precari che lavorano presso la pubblica amministrazione abbiamo messo assieme in un unico fronte di lotta sia i precari che a vario titolo operano nelle amministrazioni e negli enti , tempo determinato, assegni di ricerca eccetera, sia quei settori storici di disoccupazione mascherata che sono i Lavoratori Socialmente Utili. Abbiamo aperto una vertenza unitaria che ha ottenuto dei passaggi positivi importanti e che ha avuto successo proprio grazie all’impostazione unitaria che gli abbiamo impresso.
Certo, da apripista hanno fatto le due splendide e dure vertenze vinte delle maestre precarie degli enti locali e dei precari storici dell’Istituto Superiore di Sanità che hanno portato alla stabilizzazione di migliaia di nostri colleghi che oggi stanno rafforzando con l’adesione, anche formale, la USB. Oggi siamo ancora impegnati su molti fronti difficili, le vertenze dell’ISPRA, dell’ACI, delle partecipate contro tentativi di chiusura o di riorganizzazione ma sicuramente un passo avanti è stato fatto.
Analogamente dare battaglia per contrastare le scelte di politica industriale messe in campo dai padroni con la complicità del governo è un compito politico di assoluta rilevanza per tutta la USB. Se ogni azienda, ogni pezzo della produzione viene lasciato da solo a combattere contro i propri licenziamenti, la propria ristrutturazione noi certamente non riusciremo ad incidere concretamente sulla situazione ed ognuno si sentirà solo e debole nell’affrontarla.
Siamo presenti con le strutture di USB lavoro privato in tutte le maggiori aziende in crisi del Paese, ognuna di queste aziende ha formalmente un tratto diverso e la crisi che attraversa sembra essere determinata da fattori specifici. Questo è il modello di lettura che fa comodo ai padroni e al governo, riuscire a far credere a ciascuno che la sua condizione è particolare e diversa da quella degli altri che vivono un’analoga situazione ma in un’altra fabbrica, in un’altra azienda.
Devono tenerci divisi. Solo così potranno vincere. Cgil, Cisl e Uil hanno da tempo accettato questa logica, noi non possiamo adeguarci all’idea che il movimento dei lavoratori non sia capace di dare risposte collettive, politicamente articolate sia sul piano della proposta politica che della lotta. Durante la crisi Alitalia, l’ennesima crisi Alitalia, abbiamo con forza posto al centro della discussione politica la questione della Nazionalizzazione di Alitalia e di tutte le aziende strategiche per il Paese. Ogni giorno qualche Ministro si faceva intervistare per dire che la proposta della nazionalizzazione, avanzata da noi e solo da noi, sia nel corso delle trattative sia pubblicamente, non era percorribile. Insomma si affannavano a cercare di convincere il Paese che mentre versavano miliardi alle banche in crisi non era possibile entrare con lo Stato in Alitalia perché, tra l’altro, le regole dell’Unione Europea non lo permettevano. Le regole del mercato possono quindi essere violate solo quando c’è da salvare le banche e i loro affari!
Noi non riteniamo affatto conclusa la partita in Alitalia, bisogna con coraggio e determinazione rilanciare la lotta per la nazionalizzazione e per impedire licenziamenti e ristrutturazione. La prosecuzione della lotta è tutta nelle nostre mani e nella nostra capacità di azione. In questi si è aperto formalmente lo scontro in ILVA con l’aggiudicazione dell’asta alla cordata Arcelormittal che ha presentato un piano industriale che prevede licenziamenti complessivi per oltre 6.000 operai e nessuna prospettiva di rilancio reale dell’azienda e di un vero e indispensabile risanamento ambientale.
Anche in Ilva siamo l’unica organizzazione con una richiesta ben precisa di nazionalizzazione, di totale risanamento della fabbrica e del territorio e quindi di rilancio del più importante e grande sito produttivo italiano , indisponibili soprattutto ad accettare licenziamenti e tagli al salario che invece saranno la cifra che accetteranno cgil cisl e uil nella perdente politica della ricerca affannosa della riduzione del danno mentre il Governo dal canto suo si scarica da ogni responsabilità e per bocca del Ministro Calenda afferma beffardamente che lo Stato non ha investito un euro per il salvataggio di ILVA.
Stiamo contrastando le prospettive di definitivo smantellamento dello stabilimento della Piaggio dove lo spettro della fabbrica 4.0 viene agitato tra gli operai con l’intento di ridurre al lumicino la presenza umana in quell’insediamento e completare la sua delocalizzazione in Asia. Le nostre rappresentanze sindacali interne stanno dando battaglia in ogni azienda con scioperi, manifestazioni, iniziative di lotta ma facciamo fatica ad unificare le vertenze e a dare una risposta politicamente unitaria sulle crisi aziendali che nascondono una profonda crisi di sistema. Su questo però siamo tutti chiamati a continuare nel massimo sforzo per trovare la forza e le forme per realizzarla.
La forte crescita nel settore industriale che abbiamo avuto nell’ultimo periodo ci spinge ancora di più ad individuare questo terreno generale di intervento come prioritario. Nelle ultime ore il Segretario generale e la maggioranza della FIOM CGIL di Trieste ha scelto di abbandonare il sindacato di Landini e Camusso e di aderire all’USB con una bella lettera che trovate sul nostro sito, un altro segnale importante e forte della qualità delle lotte e del lavoro che stiamo compiendo nelle fabbriche e nei territori. Ma la rappresaglia è scattata immediatamente, all’ex segretario generale della FIOM di Trieste Sasha Colautti è stato prima impedito di rientrare in produzione in fabbrica e poi gli è stato comunicato il trasferimento alla filiale di Taranto. E’ evidente come si tratti di un combinato disposto tra Federmeccanica e FIOM per dare un pesante segnale a tutti i delegati e ai lavoratori dei rischi che corrono coloro che osano avvicinarsi alla USB. Benvenuti compagne e compagni, siamo certi che vinceremo anche questa battaglia e che il vostro contributo ci aiuterà a crescere ancora di più!
Benvenuti compagne e compagni, siamo certi che il vostro contributo ci aiuterà a crescere ancora di più!
Il nostro secondo congresso realizzerà finalmente anche la necessaria strutturazione della Federazione del Sociale. Abbiamo passato alcuni anni, sette per la precisione, a sperimentare, a fare tentativi e aggiustamenti per la realizzazione del nostro progetto di “ sindacato metropolitano” come lo avevamo inizialmente chiamato, passando poi per confederazione del sociale e arrivando quindi a definirlo più propriamente Federazione del Sociale che sarà lo strumento, in coordinamento stretto con AS.I.A. e USB Pensionati, attraverso cui dare corpo alla nostra intuizione che è ormai condivisa da molti. Dico ormai perché questo nostro progetto di sindacalizzare l’insindacalizzabile, di portare il sindacato tra i lavoratori di nuova generazione e di portare i lavoratori di nuova generazione dentro il sindacato non ha avuto subito vita facile fuori da noi.
Oggi questa nostra idea non solo trova sostenitori ma è diventata motivo di riflessione alta dentro l’affermarsi di nuove frontiere produttive e dello sfruttamento. Oggi possiamo finalmente passare dalla sperimentazione alla costruzione compiuta e larga di questa che abbiamo definito deve diventare la terza gamba dell’Organizzazione. In ogni nostra Federazione territoriale andranno individuati i percorsi politici ed organizzativi necessari a far si che questa nostra nuova struttura “di categoria”, seppur anomala nella composizione sociale, possa avviare il suo lavoro. Senza sovrapposizioni con il lavoro di organizzazione e di tutela sindacale delle altre categorie, senza scambiare questo intervento con l’intervento generale confederale ma soprattutto senza frapporre ostacoli alla sua definizione e al suo avvio. Sta alla nostra capacità di dirigenti politici e sindacali far si che questo avvio del percorso strutturato di lavoro avvenga con il massimo della condivisione e della chiarezza.
Le continue trasformazioni del mondo del lavoro, l’aggressione continua ai diritti, la scomposizione delle forme contrattuali tese a massimizzare i profitti massimizzando lo sfruttamento ci presentano una popolazione soprattutto giovanile che si confronta in assoluta solitudine con un mondo del lavoro che alla maggioranza di noi è sconosciuto e/o di difficile comprensione ma che riguarda il presente e il futuro per milioni di donne e uomini nel nostro Paese e nel mondo.
E’ anche per andare più in profondità nella comprensione delle trasformazioni continue che stiamo vivendo e per definire risposte unitarie a livello internazionale che abbiamo deciso di accettare la proposta, che per noi è anche una sfida, della Federazione Sindacale Mondiale di ospitare a Roma il 2 e 3 novembre prossimi, il Congresso mondiale dei giovani lavoratori. Un impegno politico, organizzativo ed economico che deve coinvolgere tutta l’USB. E’ questo un passaggio importante del nostro impegno internazionale. Stiamo dando il nostro contributo, ovviamente con le forze e le risorse a disposizione, per riaffermare in Italia un orizzonte internazionalista che è letteralmente scomparso dall’agenda sindacale dei sindacati gialli che anzi sempre più si schierano a fianco delle scelte imperialiste e guerrafondaie, favorendo tra la classe lavoratrice letture distorte e fiancheggiatrici degli interessi di rapina come sta avvenendo in questi giorni sugli avvenimenti drammatici che stanno avvenendo in Venezuela.
La scelta di espungere dall’agenda politica del movimento operaio lo studio e la comprensione degli avvenimenti internazionali, e quindi cancellando la pratica della solidarietà internazionalista, ha prodotto negli anni un profondo arretramento nella coscienza e consapevolezza di classe, favorendo così la spoliticizzazione dei lavoratori, spoliticizzazione che vediamo crescere ogni giorno e che è nostro dovere combattere fornendo strumenti adeguati di lettura della realtà.
L’affermazione che facciamo nel documento congressuale, sulla necessità della politicizzazione del nostro intervento sindacale, può essere una risposta parziale se non la colleghiamo direttamente alla comprensione dei passaggi politici che avvengono a livello internazionale. Politicizzare l’intervento sindacale non vuol dire entrare nel campo della politica, magari pensando che il terreno elettorale possa diventare terreno praticabile per il sindacato o per i suoi delegati, ma avere il coraggio di mettere al centro del nostro lavoro non solo le rivendicazioni aziendali, categoriali, territoriali, ma le risposte politiche necessarie alle scelte politiche che vengono assunte e che hanno a che fare con la vita dei lavoratori e della gente comune.
La nostra partecipazione ad Eurostop è un esempio di quello che intendiamo per politicizzazione del nostro intervento. Abbiamo cioè collocato USB all’interno di una piattaforma sociale a cui partecipano anche altre forze sindacali, sociali e politiche che sulla scorta di analisi condivise, ad esempio in particolare sul ruolo e la funzione dell’UE, programma ed attua mobilitazioni e momenti di confronto. La nostra partecipazione convinta e vincente alla campagna per il NO sociale nel referendum del 4 dicembre scorso sulla riforma costituzionale è stata condivisa e realizzata proprio attraverso la nostra partecipazione ad Eurostop. E’ opportuno e necessario che la strutturazione di questo progetto si delinei sempre più come un vero e proprio strumento di battaglia sindacale e politica già a partire dall’assemblea nazionale del 1 e 2 luglio.
Con il Congresso affrontiamo anche la necessaria verifica di ciò che abbiamo fatto e di ciò che è necessario fare per attrezzare al meglio l’organizzazione alle sfide che ci attendono sul piano interno ed internazionale. Più tardi discuteremo con i nostri ospiti internazionali sulle cose da fare per rendere la Federazione Sindacale Mondiale più forte e più presente in Europa e nel mondo e che apporto e contributo una organizzazione come la nostra potrà dare. Siamo già impegnati nella segreteria europea, siamo alla guida della Unione Sindacale Internazionale dei servizi pubblici, siamo presenti nel Presidential Council della FSM ma il problema della crescita dell’internazionalismo nel nostro Paese e in Europa è aperto e ci riguarda da vicino.
Sul piano interno dobbiamo invece, a cominciare dalla discussione congressuale, affrontare alcuni nodi ineludibili che abbiamo di fronte. La mini scissione che abbiamo subito l’anno scorso ci ha posto di fronte alla consapevolezza che è possibile che anche in una organizzazione di classe possano affacciarsi letture e pratiche corporative e personalistiche. Dobbiamo perciò rafforzare la nostra scelta di essere sindacato generale, confederale, di classe e di massa. Ognuno di questi aggettivi prevede pratiche per la loro attuazione che a volte sfuggono nella discussione.
La Confederalità, ad esempio, non è semplicemente una enunciazione che si lascia praticare unicamente al livello nazionale. Le nostre federazioni regionali e territoriali spesso vivono con difficoltà l’esigenza di tenere ben presente questo piano di lavoro. In molti territori i momenti di confronto a livello confederale sono rari e non seguono l’andamento della discussione che viene costantemente aggiornata nel Coordinamento nazionale confederale.
Non tutti i membri del Coordinamento Nazionale hanno compreso la necessità di riportare la discussione nei territori e nelle categorie perché diventi momento di discussione ampio e penetri tutta l’organizzazione. Operiamo scelte, assumiamo decisioni, definiamo percorsi di lotta che vanno assolutamente condivisi perché diventino patrimonio collettivo. È accaduto in più occasioni che iniziative, campagne, manifestazioni promosse dall’USB venissero sottovalutate o addirittura non praticate perché non comprese nella loro utilità politica.
La confederazione è soprattutto l’ambito in cui si analizzano le prospettive, si scelgono i piani di sviluppo, si individuano le priorità da sostenere anche sul piano economico e deve essere adeguatamente sostenuta sia sul piano politico che economico. È la confederazione che sostiene gli strumenti complessivi di crescita dell’organizzazione, le inchieste e le analisi del Centro Studi Cestes Proteo e il suo contributo alla formazione politica dei nostri militanti e quadri dirigenti, l’attività intensa del Forum diritti lavoro che ci consente di indagare con competenza le trasformazioni legislative del mondo del lavoro, il prezioso sostegno di Rete Iside alla battaglia per la tutela della salute nei luoghi di lavoro e nell’aprire nuovi fronti di intervento qualificato, la gestione e manutenzione del sito web e dei social che già in queste ore potete parzialmente vedere rinnovato sia sul piano grafico che di impostazione politica.
Auspichiamo che alcune modalità superficiali con cui spesso si valutano queste scelte che operiamo per la crescita scompaiano quanto prima dalle nostre pratiche sindacali e che tutti i nostri delegati e dirigenti si impegnino invece nella discussione interna su come dotarci di ulteriori strumenti di crescita. Anche l’ambizione a divenire davvero un grande sindacato di classe e di massa necessita di una comprensione maggiore di quello che sta accadendo intorno a noi.
Sono ormai alcuni anni che siamo oggetto di grande attenzione da parte di compagne e compagni che vivono con sempre maggiore difficoltà la propria adesione ai sindacati complici. Sono molti coloro che hanno finalmente scelto di abbandonarli e di cominciare a militare tra le nostre fila. Sono compagne e compagni che hanno avuto una storia in altre organizzazioni in cui erano spesso costretti ad una pratica militante di opposizione interna. Oggi trovano in USB una organizzazione in cui le loro posizioni politiche sono le posizioni politiche alla base della nostra storia e delle nostre pratiche e a volte sembrano spaesati perché non abituati a non dover combattere ogni giorno all’interno per affermare le proprie posizioni.
Il loro inserimento nelle strutture USB ha a volte, per fortuna in pochi casi, trovato qualche difficoltà così come a volte accade che questi compagni fatichino a realizzare dove sono approdati. Probabilmente a questo contribuisce la profonda diversità organizzativa che trovano nelle nostre strutture rispetto a quelle di provenienza e forse anche la sopravvalutazione della nostra organizzazione. Ai vecchi militanti Usb e ai nuovi chiediamo di fare ogni sforzo perché si armonizzino al più presto i comportamenti e si raggiunga quella piena condivisione dei percorsi e del metodo indispensabili alla crescita. Peraltro un sindacato di massa è sempre più destinato ad incorporare al suo interno soggettività e provenienze diverse con cui dobbiamo imparare ad avere a che fare.
La crescita delle adesioni e la conseguente crescita delle richieste di sostegno per favorire la apertura di nuove federazioni e l’individuazione di nuovi operatori pone in maniera sempre più impellente una razionalizzazione e una ridefinizione nell’uso delle risorse. Come abbiamo già detto c’è una vera e propria emergenza economica per la struttura nazionale confederale che non riesce più a fare fronte alle richieste di intervento per favorire la crescita e lo sviluppo.
È necessario operare una revisione del regolamento economico attuale per fare in modo che si realizzi un riequilibrio tra periferia e centro. La proposta che avanziamo riguarda la riduzione dei contributi fissi che dal confederale nazionale vanno alle Federazione territoriali. Ovviamente non intendiamo operare ne per decreto ne per tagli lineari come fa il governo ma discutendo con le federazioni ogni esigenza e ogni particolarità. Sul fronte economico va rilevato come si sia realizzata una scarsa attenzione alle possibili entrate economiche provenienti dal l’erogazione di servizi ai lavoratori.
Non tutte le federazioni hanno compreso l’indispensabilità della crescita di questo aspetto del nostro lavoro anche sul piano economico mentre altre sono eccessivamente vocate alla sua realizzazione. La crescita dei servizi, del sostegno a Rete Iside, sono da intendersi un indispensabile supporto all’attività politica e sindacale, non certamente la loro sostituzione. Non vogliamo arretrare nemmeno di un millimetro nelle cose che abbiamo deciso di fare. Dobbiamo trovare le risorse necessarie a mantenere aperta la prospettiva di crescita dell’unico sindacato confederale, generale di classe e di massa del Paese. Dobbiamo crescere nelle adesioni per crescere ancora nella forza e nell’autorevolezza politica. Ci sono milioni di lavoratori in Italia che ancora sono prigionieri dei sindacati gialli, ce ne sono altri milioni che non ci hanno mai incontrato e che ancora non conoscono il nostro progetto e i nostri programmi, che non vengono nemmeno sfiorati dall’idea che esista un sindacato che pratica il conflitto e non lascia mai nessuno da solo. Un sindacato per cui se tocchi uno tocchi tutti.
La crescita dell’organizzazione deve avvenire anche sul piano dei numeri e delle strutture. La nuova USB che abbiamo creato perché assieme ad AS.I.A. E a USB pensionati desse vita alla federazione del sociale, USB S.L.A.N.G. Sindacato Lavoratori Autonomi di Nuova Generazione potrà aiutarci ad espandere la nostra presenza in settori e spezzoni a noi oggi preclusi e quasi sconosciuti sul terreno delle lotte e dell’intervento. Usb lavoro privato, che pure sta crescendo soprattutto nel settore industriale e del commercio ha bisogno di ridare smalto e forza ad altre categorie e lo farà realizzando quanto approvato nel congresso di categoria attrezzando le filiere verticali di categoria e continuando nella crescita.
La logistica ed il nuovo intervento tra i braccianti che rappresentano oggi certamente il piano più avanzato delle lotte sia per USB che in generale nel Paese devono proseguire con il sostegno e l’aiuto delle federazioni territoriali a sviluppare questo intervento che si inserisce a pieno titolo nella nostra campagna Schiavi Mai! Il pubblico impiego che affronta una stasi dovuta alla fortissima riduzione di personale, circa 300.000 lavoratori in meno negli ultimi anni e che è alla vigilia di un importante verifica attraverso la nuova tornata nazionale di elezioni delle RSU da cui dipendono molto anche le agibilità che tutta l’organizzazione utilizza, avrà il sostegno di tutta l’organizzazione per raggiungere l’ambizioso obiettivo del 5% negli Enti Locali ma è necessario che le strutture escano dai propri luoghi di lavoro dove siamo già presenti e radicati per aprire nuove strutture e iscrivere nuovi lavoratori in tutti i comparti per affrontare anche con più forza la prossima tornata di rinnovi contrattuali. L’importante sviluppo di strutture ed iscritti nel comparto Scuola, rinnovato nel quadro dirigente e nell’impostazione politica del lavoro, ci dice che questo è possibile in ogni comparto.
Tutto ciò sarà più difficile se non sapremo però anche rinnovare il nostro quadro dirigente. Il nostro attuale gruppo dirigente, a cui credo debba andare il ringraziamento di tutta l’organizzazione per il lavoro che ha fatto, ha bisogno di ricambio. Non è semplicemente una questione generazionale o di maquillage, sta dentro la necessità di una crescita che può avvenire solo se sapremo allargare, rinnovare, formare i nostri gruppi dirigenti avviando una stagione che trovi già dentro questi prossimi quattro anni soluzioni che vadano nella giusta direzione. La fase congressuale ci ha messo a disposizione un quadro militante rinnovato sia a livello territoriale che categoriale che dovremo saper coltivare e far crescere con un forte sforzo di formazione politica che dovremo mettere in campo ad ogni livello, negli anni passati abbiamo rilevato parecchie riluttanze da parte delle Federazioni a favorire i cicli di formazione che devono invece essere programmati ed effettuati in ogni territorio.
Nelle prossime settimane si diraderà la nebbia politica che avvolge il futuro del governo e si scopriranno le carte elettorali e quelle della nuova legge di bilancio per il 2017. Certamente ci sarà un nuovo pesante attacco al lavoro, ai salari, ai diritti, al welfare, la riproposizione sotto altra forma dei Voucher che usciti dalla porta rientrano dalla finestra; le pesanti ricadute di un jobs act che andrà a regime senza gli sgravi contributivi e le facilitazioni fiscali che hanno indorato fin qui la pillola e drogato i dati reali dello sfacelo che ha creato; la messa in atto, con la piena complicità di Cgil, Cisl e Uil, per via contrattuale del welfare aziendale per sostituire progressivamente il welfare universale e per sostituire gli aumenti salariali contrattuali sono solo gli atti più recenti di politiche che hanno in animo di smantellare ogni diritto residuo al lavoro e alla pensione. Noi dobbiamo essere pronti a scendere in lotta, a proclamare lo sciopero generale e a chiamare una grande manifestazione nazionale a Roma che, nel solco delle nostre migliori mobilitazioni degli scorsi autunni, suoni la carica dei lavoratori per sconfiggere i progetti dell’Unione Europea, del governo Italiano, dei padroni, della borghesia italiana ed europea.
Siamo qui per oliare la macchina, per metterla a punto perché sia pronta alle sfide che ci attendono, abbiamo una responsabilità grande che va anche oltre le nostre forze. Ce la dobbiamo assumere con la solita determinazione e militanza per dare un futuro al movimento dei lavoratori e una prospettiva a USB, il sindacato che serve.
Tivoli, 9 giugno 2017

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