Si
rimette la divisa, grazie a una decisione del Consiglio di disciplina,
l’agente Tortosa, celerino reduce dalla Diaz. Scrisse: “O si sta con
quella merda di Carlo Giuliani o con chi gli fa saltare la testa»
Ora può tornare “mille e mille volte alla Diaz”. Manganello, pistola e distintivo tornano a brillare nelle mani dell’agente Tortosa. “Sette mesi sospeso dal lavoro, stipendio dimezzato e il rimpianto di pensare che la madre è morta senza sapere che è tornato in servizio”, scrive stamattina un noto quotidiano della famiglia Berlusconi per suscitare pena sulla figura dell’agente Fabio Tortosa, il
celerino che “ha vissuto settimane da incubo” continua il giornale rammaricandosi per la mano pesante del capo della polizia Alessandro Pansa che l’aveva sospeso dal serivizio. Rischiava la destituzione, ovvero il licenziamento. Invece è stata decisa la deplorazione, il verdetto del Consiglio Provinciale di Disciplina ha ribaltato. Quell’organismo è composto da poliziotti designati dalla galassia sindacale della Ps. Lo stesso organismo che non ha avuto remore a tenere la divisa addosso ai quattro colpevoli dell’omicidio di Federico Aldrovandi. Sarebbe stato un controsenso, in effetti, mantenere un assassino e cacciare uno che ha solo vomitato porcherie sui social.
L’assistente capo Tortosa, una figlia di tre anni e una di cinque, era stato balzato agli onori delle cronache ad aprile per una frase infelice pubblicata su Facebook «in quella scuola rientrerei mille e mille volte, spero che Carlo Giuliani faccia schifo anche ai vermi». Già, perché Tortosa Fabio è uno di quei galantuomini che presero parte alla notte cilena della Diaz, i suoi comandanti sono stati condannati in via definitiva ma nessuno dei “manovali” fu identificato grazie a uno spirito di corpo che somiglia troppo all’omertà. Il poliziotto ha provato a fare macchina indietro: «Quello che ho scritto di Giuliani non è da uomo e non è da me, me ne vergogno e per quel che può servire chiedo scusa ai suoi genitori. Quando l’ho scritta ero furioso per la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che in quei giorni usava la parola tortura per i fatti del G8. Non sono un torturatore e non lo è stato il VII Nucleo. Solo per questo motivo ho scritto che sarei tornato alla Diaz. Perché non ho nulla di cui chiedere scusa per quanto fatto quella notte».
Non è un torturatore perché in Italia non c’è ancora una legge sulla tortura e perché tutte le istanze di polizia hanno impedito che potessero essere identificati gli autori materiali delle inaudite violenze avvenute alla Diaz quel 21 luglio del 2001.
Tornando a Tortosa: dopo quella frase commentò i suo stesso post scrivendo che «Non ci sono mezze misure. O si sta con quella merda di Giuliani o si sta con quelli che a Giuliani gli fanno saltare la testa se attenta alla tua vita».
Vengono in mente le parole del poeta Lello Voce quando rispose proprio a Tortosa: «Mi indigna davvero la sua rozza ignoranza, cioè la sua totale incapacitá di comprendere di essere stato l’ingranaggio di una folle e violenta strategia di repressione che niente aveva a che fare con i compiti di chi veste una divisa. Se lei non fosse cosí integralmente ignorante, forse sarebbe anche meno violento e meno fascista di quel che sembra essere. E noi, saremmo meno spaventati ogni volta che vediamo una divisa».
Ercole Olmi da Popoff
Ora può tornare “mille e mille volte alla Diaz”. Manganello, pistola e distintivo tornano a brillare nelle mani dell’agente Tortosa. “Sette mesi sospeso dal lavoro, stipendio dimezzato e il rimpianto di pensare che la madre è morta senza sapere che è tornato in servizio”, scrive stamattina un noto quotidiano della famiglia Berlusconi per suscitare pena sulla figura dell’agente Fabio Tortosa, il
celerino che “ha vissuto settimane da incubo” continua il giornale rammaricandosi per la mano pesante del capo della polizia Alessandro Pansa che l’aveva sospeso dal serivizio. Rischiava la destituzione, ovvero il licenziamento. Invece è stata decisa la deplorazione, il verdetto del Consiglio Provinciale di Disciplina ha ribaltato. Quell’organismo è composto da poliziotti designati dalla galassia sindacale della Ps. Lo stesso organismo che non ha avuto remore a tenere la divisa addosso ai quattro colpevoli dell’omicidio di Federico Aldrovandi. Sarebbe stato un controsenso, in effetti, mantenere un assassino e cacciare uno che ha solo vomitato porcherie sui social.
L’assistente capo Tortosa, una figlia di tre anni e una di cinque, era stato balzato agli onori delle cronache ad aprile per una frase infelice pubblicata su Facebook «in quella scuola rientrerei mille e mille volte, spero che Carlo Giuliani faccia schifo anche ai vermi». Già, perché Tortosa Fabio è uno di quei galantuomini che presero parte alla notte cilena della Diaz, i suoi comandanti sono stati condannati in via definitiva ma nessuno dei “manovali” fu identificato grazie a uno spirito di corpo che somiglia troppo all’omertà. Il poliziotto ha provato a fare macchina indietro: «Quello che ho scritto di Giuliani non è da uomo e non è da me, me ne vergogno e per quel che può servire chiedo scusa ai suoi genitori. Quando l’ho scritta ero furioso per la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che in quei giorni usava la parola tortura per i fatti del G8. Non sono un torturatore e non lo è stato il VII Nucleo. Solo per questo motivo ho scritto che sarei tornato alla Diaz. Perché non ho nulla di cui chiedere scusa per quanto fatto quella notte».
Non è un torturatore perché in Italia non c’è ancora una legge sulla tortura e perché tutte le istanze di polizia hanno impedito che potessero essere identificati gli autori materiali delle inaudite violenze avvenute alla Diaz quel 21 luglio del 2001.
Tornando a Tortosa: dopo quella frase commentò i suo stesso post scrivendo che «Non ci sono mezze misure. O si sta con quella merda di Giuliani o si sta con quelli che a Giuliani gli fanno saltare la testa se attenta alla tua vita».
Vengono in mente le parole del poeta Lello Voce quando rispose proprio a Tortosa: «Mi indigna davvero la sua rozza ignoranza, cioè la sua totale incapacitá di comprendere di essere stato l’ingranaggio di una folle e violenta strategia di repressione che niente aveva a che fare con i compiti di chi veste una divisa. Se lei non fosse cosí integralmente ignorante, forse sarebbe anche meno violento e meno fascista di quel che sembra essere. E noi, saremmo meno spaventati ogni volta che vediamo una divisa».
Ercole Olmi da Popoff
Nessun commento:
Posta un commento