Un altro degli effetti della grande industria sull’operaio analizzati da
Marx è quello dell’intensificazione del lavoro.
Abbiamo visto come il capitalista tenti
sempre di prolungare in maniera smisurata
la giornata lavorativa, per estrarre più plusvalore ma, dice Marx, “Appena la ribellione della classe operaia,
a mano a mano più ampia, ebbe costretto
lo Stato ad abbreviare con la forza il tempo di lavoro e a imporre anzitutto una giornata lavorativa
normale alla fabbrica propriamente detta, da quel momento dunque in cui un
aumento della produzione di plusvalore mediante il prolungamento della giornata lavorativa fu precluso una volta per
tutte, il capitale si gettò a tutta
forza e con piena consapevolezza sulla produzione di plusvalore relativo mediante un accelerato sviluppo del sistema
delle macchine.”
A proposito di lotte operaie è il caso di
ricordare che la giornata di lavoro era di fatto illimitata prima della legge del 1832 che la limita a 12 ore,
quella che la limita a 10 è del 1847, quella che la limita a 8 ore è cominciata
nel 1867 sempre in Inghilterra… (solo ai primi del novecento venne
progressivamente introdotta nei vari paesi, in Italia nel 1923!)
È ovvio, dice Marx “che con il progresso
del sistema meccanico e con la esperienza accumulata da una classe particolare
di operai meccanici aumenti spontaneamente
la velocità e con essa l’intensità del lavoro. In tal modo durante mezzo secolo
il prolungamento della giornata
lavorativa procede in Inghilterra di pari passo con la crescente intensità del lavoro di fabbrica. Ma si
capisce che in un lavoro in cui non si tratta di parossismi passeggeri, ma di una uniformità regolare, ripetuta giorno per giorno, si deve
giungere a un punto cruciale in cui l’estensione della giornata lavorativa e
l’intensità del lavoro si escludano a vicenda cosicché il prolungamento della
giornata lavorativa resta compatibile solo con un grado più debole d’intensità
del lavoro e, viceversa, un grado accresciuto di intensità resta compatibile
solo con un accorciamento della giornata lavorativa”. Vedremo come il capitale gestisce
questa ovvietà a modo suo.
Ma “Allo stesso tempo subentra un cambiamento
nel carattere del plusvalore relativo.”
Perché qual è in generale il metodo di produzione del plusvalore relativo? Esso
“consiste nel mettere l’operaio in grado di produrre di più con lo stesso dispendio di lavoro e nello
stesso tempo mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro. Lo stesso tempo di lavoro aggiunge al
prodotto complessivo lo stesso valore di
prima, benché questo valore di scambio inalterato si rappresenti ora in più
valori d’uso e benché quindi cali il
valore della merce singola.” Mentre “Diversamente stanno però le cose non
appena l’accorciamento forzato della giornata lavorativa, con l’enorme
impulso che dà allo sviluppo della forza
produttiva e all’economizzazione
delle condizioni di produzione, impone all’operaio un maggiore dispendio di
lavoro in un tempo invariato, una tensione più alta della forza-lavoro,
un più fitto riempimento dei pori del
tempo di lavoro, cioè una condensazione del lavoro a un grado che si può
raggiungere solo entro i limiti della
giornata lavorativa accorciata. Questo
comprimere una massa maggiore di lavoro entro un dato periodo di tempo
conta ora per quello che è, cioè per una
maggiore quantità di lavoro.”
Perciò “Adesso, l’ora più intensa della
giornata lavorativa di dieci ore contiene tanto lavoro ossia forza-lavoro spesa quanto l’ora più
porosa della giornata lavorativa di dodici ore, o anche di più. Il suo prodotto
ha quindi lo stesso valore o un valore maggiore di quello dell’ora e un quinto
più porosi. Astraendo dall’accrescimento del plusvalore relativo mediante
l’aumento della forza produttiva del lavoro” ora, per esempio, tre ore di
pluslavoro su sette di lavoro necessario “forniscono al capitalista la stessa
massa di valore che fornivano prima quattro ore di pluslavoro su otto di lavoro
necessario.”
“Resta a vedersi ora in che modo il lavoro
venga intensificato.
“Il primo effetto della giornata lavorativa accorciata poggia
sulla legge ovvia” dice Marx, che quanto più lungo è il tempo dell’azione
dell’operaio, quanto più ore lavora, tanto più si stanca e meno efficace è la
sua capacità di azione. Ma, in questo
caso il padrone sa come usare gli “incentivi”: “a che l’operaio renda realmente
liquida una maggiore forza-lavoro, provvede il capitale mediante il metodo del
pagamento (specialmente con il salario a cottimo, forma che sarà
svolta nella sesta sezione).”
I capitalisti erano, e sono, naturalmente
contrari ad ulteriori accorciamenti della giornata lavorativa e portarono
argomentazioni sulla scia della lunga esperienza e addirittura fecero degli
esperimenti. “Nelle manifatture” continua
infatti Marx, “nella ceramica ad esempio, in cui il macchinario non ha alcuna
funzione o ha una funzione solo minima, l’introduzione della legge sulle
fabbriche ha dimostrato in maniera lampante che il semplice accorciamento della giornata lavorativa aumenta in modo
mirabile la regolarità, l’uniformità, l’ordine, la continuità
e l’energia del lavoro.” Ma, appunto
“Questo effetto sembrava dubbio nella fabbrica
vera e propria perché quivi la dipendenza dell’operaio dal movimento
continuato e uniforme della macchina aveva creato da lungo tempo una disciplina rigorosissima. Perciò,
quando nel 1844 si discusse la riduzione della giornata lavorativa al di sotto
delle 12 ore, i fabbricanti dichiararono quasi all’unanimità che «i loro
sorveglianti controllavano nei diversi locali da lavoro a che le braccia non
perdessero tempo», che «il grado di
vigilanza e di attenzione degli operai era difficilmente suscettibile di
aumento», e che invariate presupponendo tutte le altre circostanze come la
velocità del macchinario, ecc., «era quindi un’assurdità nelle fabbriche
condotte a dovere aspettarsi da un aumento dell’attenzione ecc. degli operai un
qualsiasi risultato degno di nota».”
“Questa affermazione - dice Marx – oltre che
dalla pratica fu confutata da esperimenti”
che diedero ragione agli operai. Per esempio “Il signor R. Gardner fece
lavorare dal 20 aprile 1844 in poi nelle sue due grandi fabbriche invece di
dodici ore solo 11 al giorno. Dopo un anno circa si ebbe il risultato che «la
stessa quantità di prodotti era ottenuta agli stessi costi, e che tutti gli
operai guadagnavano in 11 ore lo stesso salario guadagnato prima in 12».
Altri esperimenti simili furono fatti col
medesimo successo in altre fabbriche. E, quindi, che cosa bisognava fare dal
punto di vista del capitalista? “Appena l’accorciamento
della giornata lavorativa … diventa obbligatorio
per legge, la macchina diventa nelle
mani del capitale il mezzo obiettivo
e sistematicamente applicato per
estorcere una quantità maggiore di lavoro nel medesimo tempo. E questo avviene
in duplice maniera: mediante l’aumento
della velocità delle macchine e mediante l’ampliamento del volume di macchinario da sorvegliare da uno
stesso operaio, ossia mediante l’ampliamento del suo campo di lavoro. Il
perfezionamento nella costruzione del macchinario in parte è necessario per
esercitare una pressione maggiore sugli operai, in parte accompagna
spontaneamente l’intensificazione del lavoro, perché il limite della giornata
lavorativa costringe il capitalista all’economia più rigorosa nei costi di
produzione.”
Nel sistema capitalistico l’aumento della
velocità delle macchine è un processo che non finisce mai; ne sanno qualcosa in
genere tutti gli operai, in particolare quelli che lavorano in fabbriche dove
si applicano i metodi “scientifici”, come prima il TMC, versione 1 e 2, (Tempi
dei Movimenti Collegati) e ora la sua evoluzione, il WCM. E serve proprio come
dice Marx anche alla riduzione più rigorosa dei costi di produzione!
“La riduzione della giornata lavorativa a dodici ore risale in Inghilterra al
1832. Fin dal 1836 un fabbricante inglese dichiarava: «A paragone di prima il lavoro da compiersi nelle fabbriche è
cresciuto molto a causa della maggiore
attenzione ed attività richieste all’operaio dal notevole aumento della velocità
del macchinario».”
“Nell’anno 1844 Lord Ashley, ora Conte
Shaftesbury, fece alla Camera dei Comuni la seguente esposizione documentata: «Il
lavoro che le persone impiegate nei processi di fabbricazione devono compiere
ora è tre volte maggiore di quello
che era al momento dell’introduzione di tali operazioni. Il macchinario ha compiuto indubbiamente un’opera che sostituisce i
tendini e i muscoli di milioni di uomini, ma esso ha anche aumentato in maniera
stupefacente (prodigiously) il lavoro degli uomini dominati dal suo
terribile movimento...”
“... Ho qui in mano un altro documento del
1842 in cui si dimostra che il lavoro aumenta progressivamente non
soltanto perché si deve percorrere una distanza maggiore, ma perché aumenta la
quantità delle merci prodotte, mentre il
numero delle braccia diminuisce in proporzione…”
“Dinanzi a questa notevole intensità
raggiunta dal lavoro sotto il dominio della legge delle dodici ore fin dal
1844, sembrava in quel momento giustificata la dichiarazione dei fabbricanti
inglesi che ogni ulteriore progresso in quella direzione era impossibile e che
quindi ogni ulteriore diminuzione del tempo di lavoro era sinonimo di
diminuzione della produzione. L’apparente
esattezza del loro ragionamento viene comprovata nel modo migliore” dalle dichiarazioni
“del loro infaticabile censore, l’ispettore di fabbrica Leonard Horner” che però anni dopo dovette ricredersi.
Infatti esaminando “il periodo successivo al 1847, cioè all’introduzione della
legge delle dieci ore, nelle fabbriche inglesi del cotone, della lana, della
seta e del lino” si ha che “«I grandi perfezionamenti apportati a macchine di
ogni specie hanno aumentato molto la forza produttiva delle macchine stesse.
Indubbiamente l’incitamento a tali
perfezionamenti... è venuto dall’accorciamento della giornata lavorativa.
Tali perfezionamenti e lo sforzo più intenso dell’operaio hanno fatto sì che
nella giornata lavorativa accorciata» (accorciata di due ore, ossia di un
sesto) «viene fornito prodotto per lo meno nella medesima quantità fornita
prima, durante la giornata lavorativa più lunga».”
“L’arricchimento dei fabbricanti in virtù
dello sfruttamento più intensivo della
forza-lavoro è dimostrato già dal fatto che l’aumento medio delle fabbriche
inglesi di cotone, ecc, ammontava nel periodo 1838-1850 al trentadue, nel periodo 1850-1856 invece all’ottantasei per cento all’anno.” E, dunque: “Per quanto fosse
grande il progresso compiuto dall’industria inglese negli otto anni dal 1848
fino al 1856 sotto il dominio della giornata lavorativa di dieci ore, esso fu a
sua volta superato di gran lunga nel periodo dei sei anni successivi,
1856-1862.”
“Il giorno 27 aprile 1863 il deputato Ferrand
ebbe a dichiarare alla Camera dei Comuni: «Delegati operai di sedici distretti
del Lancashire e del Cheshire per
incarico dei quali io parlo, mi hanno comunicato che a causa dei perfezionamenti del macchinario il lavoro è in continuo
aumento nelle fabbriche. Prima una persona aiutata da altri serviva due
telai, ora, invece, una persona senza aiuto di altri ne serve tre, e non è
affatto cosa straordinaria che ne serva quattro, ecc. In meno di dieci ore lavorative
si comprimono ora dodici ore di lavoro. È ovvio quindi che le fatiche
degli operai di fabbrica siano aumentate in questi ultimi anni in una misura
enorme».”
“Quindi, benché gli ispettori di fabbrica
elogino instancabilmente e a buon diritto i risultati favorevoli delle leggi
sulle fabbriche del 1844 e 1850, ammettono
tuttavia che l’accorciamento della giornata lavorativa ha già provocato un’intensità del lavoro che distrugge la salute degli operai, ossia
la
forza-lavoro stessa. «Nella
maggior parte delle fabbriche di cotone, di worsted e di seta, quello stato di
eccitamento spossante, necessario per il lavoro alle macchine il cui moto è
stato tanto straordinariamente accelerato in questi ultimi anni, è una delle cause dell’eccedenza della
mortalità per malattie polmonari, comprovata dal dott. Greenhow nel suo
ultimo ammirevole rapporto».”
“Non v’è il minimo dubbio” afferma Marx “che
la tendenza del capitale, appena la
legge gli preclude una volta per tutte il prolungamento della giornata lavorativa, a ripagarsi con un aumento sistematico del grado di intensità del lavoro e
a stravolgere ogni perfezionamento del
macchinario in un mezzo di succhiar
più forza-lavoro, dovrà presto portare di nuovo a una svolta in cui si
renderà inevitabile una nuova diminuzione delle ore lavorative (è cominciata
ora – 1867 – fra gli operai di fabbrica del Lancashire l’agitazione per le otto
ore).
“D’altra parte la grande corsa compiuta dall’industria inglese dal 1848
sino ai giorni nostri, ossia durante il periodo
della giornata lavorativa di dieci ore, supera di gran lunga l’epoca dal
1833 al 1847, ossia il periodo della
giornata lavorativa di dodici ore, più di quanto quest’ultima non superi il
mezzo secolo trascorso dopo l’introduzione del sistema di fabbrica ossia il periodo della giornata lavorativa illimitata.”
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