Mentre si continuano a raccogliere migliaia di morti per le
strade dei villaggi distrutti di alcune zone del paese, i padroni con un
cinismo infinito pensano ai "danni" subiti dall'economia.
Un articolo del Sole 24 ore del 12 novembre spiega bene il "Sentiment"
(è questa parola che usano gli economisti borghesi per misurare la temperatura
dell'economia!) degli imperialisti che sono dispiaciuti perché proprio quando
le Filippine erano state promosse dalle agenzie internazionali, ritenendole degne di investimenti, accade questo
disastro "in un momento delicato per i mercati finanziari dei paesi
emergenti". Ma in fin dei conti non ci sarà da preoccuparsi troppo perché
l'economia cresce ad un ritmo sostenuto (intorno al 7%) e ha tra l'altro un "buon
livello di riserve valutarie (per oltre 81 miliardi di dollari)! Miliardi di
dollari che il governo si guarda bene dall'impiegare per migliorare le
condizioni di vita della popolazione, come si vede bene proprio in questo
disastro, in un paese che secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale
ha un Pil pro-capite (introito medio annuo a persona) di 2.700 dollari e
cioè ancora la media di 7 dollari al giorno!
E il corrispondente non si vergogna di citare un altro dei
"punti forza" del Paese, a parte "l'emergere del Paese come base
internazionale per i call center", e cioè le "rimesse di circa 10
milioni di emigrati". A parte il fatto che il segno di ottimismo i
nostri capitalisti lo vedono sempre dopo ogni disastro o guerra e lo chiamano RICOSTRUZIONE!
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Colpita un'economia che cresceva a pieno ritmo
12 nov 13 Sole24Ore
TOKYO. Dal nostro corrispondente
Un'economia appena promossa allo status di "investment
grade" da tutte e tre le principali agenzie di rating internazionali
rischia di veder frenare la sua robusta crescita attuale a ritmi cinesi da un
tremendo disastro naturale che accade in un momento delicato per i mercati
finanziari dei Paesi emergenti. La maggior parte degli esperti, però, prevede
che, se sul breve termine alcuni effetti negativi saranno inevitabili, le
Filippine saranno in grado di assorbire un colpo che, se pur gravissimo nelle
zone colpite dal tifone, non inciderà su fondamentali macroeconomici positivi e
potrebbe anzi sprigionare nuove energie con l'afflusso di consistenti aiuti
dall'estero e di maggiori rimesse da parte degli emigrati verso uno sforzo
collettivo per la ricostruzione.
Il ministro delle Finanze Cesar Purisma ha ammesso che il
tifone ridurrà fin del 10% il Pil delle regioni più colpite, e quindi forse un
1% della crescita nazionale. Secondo una prima valutazione della Kinetic
Analysis Corp, l'impatto economico negativo potrebbe raggiungere i 14 miliardi
di dollari, coperti da assicurazione per soli 2 miliardi. Per PJ Garcia di BPI
Asset management «ci sarà una correzione del mercato sul breve termine» ma il
danno economico dovrebbe restare sostanzialmente limitato alle aree colpite,
specialmente nel settore agricolo con una riduzione della produzione di riso e
zucchero in grado di spingere l'inflazione nei prossimi due mesi.
Nell'immediato, ieri l'indice di Borsa è caduto dell'1,4%
(in recupero sull'apertura a -2,2%) - riducendo a poco più dell'8% l'avanzata
da inizio anno - e il peso ha perso fino allo 0,8% sul dollaro, in un contesto
peraltro di pressioni al ribasso generalizzate su mercati azionari e valute dei
Paesi emergenti asiatici (connesso ai rinnovati timori di un prossimo avvio di
una exit strategy della Federal Reserve americana dalla sua politica monetaria
ultraespansiva). Alla Borsa di Manila era anche il giorno del debutto della
maggiore Ipo mai avvenuta nel Paese: il titolo di Robinson Retail ha chiuso in
ribasso del 2,6 per cento. Niente di grave, visto che per la catena di grande
distribuzione controllata dal miliardario John Gokongwei era riuscita a
rastrellare almeno 650 milioni di dollari attirando una forte attenzione da
parte degli investitori istituzionali.
Già nell'estate scorsa Manila era riuscita a contrastare
meglio di altri i venti contrari provenienti dalle preoccupazioni per l'arrivo
del "tapering" da parte della Fed grazie al ritmo di crescita della
sua economia (+7,5% nel secondo trimestre, e +7,6% nel primo semestre, dopo il
+6,6% del 2012), al buon livello delle riserve valutarie (per oltre 81 miliardi
di dollari) e agli spazi di manovra di politica monetaria (anche con tassi ai
minimi storici) alla luce di una inflazione che resta sotto il 3 per cento. Non
a caso a inizio ottobre Moody's ha alzato il rating sul debito delle Filippine
a una valutazione da "investment grade"(Baa3): una promozione storica
che era stata già decisa tra marzo e maggio da Standard & Poor's e da
Fitch. Non solo: la World Bank ha alzato poco dopo le sue stime sul Pil di
Manila (al 7% quest'anno e al 6,7% nel 2014) anche se ha abbassato le sue
proiezioni sull'Asia emergente (analoga decisione era stata presa dall'Asia
Development Bank).
Una forza dell'economia filippina che non dipende dalla
congiuntura interna e sostiene i consumi sta nelle rimesse di circa 10 milioni
di emigrati, ma contano anche altri fattori, come l'emergere del Paese come una
base internazionale per i call center o l'interesse anche dall'estero per lo
sviluppo delle infrastrutture, a parte poi le ragioni citate da Moody's per
l'upgrading (sostanziale stabilità politica e relativi miglioramenti nella
governance e nel consolidamento fiscale). Qualche conseguenza negativa potrebbe
comunque evidenziarsi anche al di là del breve termine e del settore agricolo.
Il turismo, per esempio, potrebbe vedere ridimensionate le sue prospettive di
crescita. Nei primi sei mesi di quest'anno i visitatori erano aumentati del'11%
a 2,38 milioni. L'obiettivo del governo - attrarre 10 milioni di turisti entro
il 2016, contro i 4,2 milioni del 2012, per farne la maggiore industria del
Paese - appariva già troppo ambizioso prima delle devastazioni attuali e da
oggi il conseguimento del target appare ancora più problematico: l'handicap
storico è che le Filippine sono percepite da molti come un posto piuttosto
pericoloso e questa cattiva reputazione sul versante sociale non fa che essere
rafforzata dall'entità crescente dei disastri naturali.
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