Come in Grecia, il regime fascista di Erdogan non vuole “pubblicità
negativa”, vuole impedire che l’informazione di come gli incendi stanno
bruciando il paese, metta in chiaro le responsabilità del suo governo che con
le sue politiche sta aumentando la povertà, che ha portato l’inflazione e cioè
l’aumento dei prezzi alle stelle, che non ha nessun programma di prevenzione e ha
privatizzato anche i soccorsi.
Non solo, come sempre succede quando i governi sono in
difficoltà, Erdogan prova a scaricare queste gravissime responsabilità (facendo
ricorso quasi sempre al complotto), su “cause esterne”, su chi “boicotta”, sui “terroristi”
ecc. ecc., in questo caso sui curdi e sul Pkk.
Ma Erdogan è solito definire tutti terroristi - in una occasione ha chiamato così perfino gli Stati Uniti - ma è proprio il governo turco da lui guidato che usa il terrorismo contro i curdi e contro qualsiasi opposizione!
Mentre gli incendi infuriano, le teorie cospirative non aiutano Erdogan - Asia Times
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dal manifesto di oggi
La risposta di Erdogan agli incendi: zittire la stampa e
incolpare il Pkk
Il bilancio di due settimane di inferno è di 200 incendi in 33 province del sud e del sud-ovest del paese, 13mila ettari di bosco ridotti in cenere, otto vittime e perdite non
quantificabili per la fauna locale e le greggi. Solo nella provincia meridionale di Antalya le due settimane di roghi hanno danneggiato oltre 3.200 edifici.Tra le aree più colpite quelle della villeggiatura sul Mar
Egeo, con turisti in fuga dalle fiamme via mare e una pioggia di disdette tra
chi non era ancora arrivato a destinazione. Ma a uscirne devastata è soprattutto
l’agricoltura: migliaia le terre, le serre, le fattorie, i magazzini distrutti
dagli incendi.
La scorsa settimana si è temuto anche per la centrale
termoelettrica di Kemerkoy, blandita dalle fiamme: le autorità locali hanno
assicurato di aver rimosso le sostanze chimiche esplosive, ma restava il
timore per le migliaia di tonnellate di carbone presenti.
E alla fine le fiamme sono arrivate fino ad Ankara. A
esserne circondato è il presidente Erdogan, sotto tiro di chi ritiene la sua
risposta tardiva e chi punta il dito sull’ondata di privatizzazioni che
negli ultimi anni ha ingurgitato anche il sistema dei soccorsi. Il governo
ha risposto al solito modo: imbavagliando la stampa e incolpando il Pkk.
Numerose le segnalazioni dei media nazionali indipendenti
e delle agenzie internazionali (dalla Reuters all’Afp), a cui la polizia ha
impedito di coprire il vastissimo fronte degli incendi: censurati dal
Consiglio della Radio e la Televisione che non ha concesso accrediti e ha
minacciato sanzioni (la scusa: «La copertura potrebbe creare paura e ansia nel
pubblico») e bloccati dai checkpoint della gendarmeria su ordine del ministero
dell’interno nelle strade che conducevano ai fronti di fuoco. Non tutti: i
giornalisti dei media governativi e filo-governativi sono passati.
L’altro fronte è quello tipico della narrazione al tempo di
Erdogan: incolpare qualcun altro. Fin dai primi giorni, il presidente ha
puntato il dito contro il Pkk, accusato di aver appiccato gli incendi. Lo
ha fatto pubblicamente, più volte, provocando reazioni: in molte cittadine del
sud si sono formate ronde armate di vigilanti, convinti di dover pattugliare le
strade e di poter fermare auto e chiedere carte d’identità alla caccia di
combattenti curdi, mentre sui social media montava la rabbia verso «i
terroristi».
A peggiorare la situazione è stata l’apparizione dello sconosciuto
gruppo «I bambini del fuoco», che millantando appartenenza al Pkk ha
rivendicato gli incendi. Da parte sua il Pkk, attraverso il Kck (ombrello di
organizzazioni curde che si rifa alla teorizzazione del confederalismo
democratico) ha smentito qualsiasi responsabilità e contro-accusato il governo
per l’assenza di interventi a tutela dell’ambiente.
Non esistono ovviamente prove a conferma delle accuse di
Erdogan. Ma tanto basta a distogliere l’attenzione dalle politiche governative.
A partire dall’assenza di un piano di emergenza e di una seria politica per
fronteggiare i cambiamenti climatici, per proseguire con l’avvio della
privatizzazione del settore dello spegnimento degli incendi, che sta tagliando
fuori la Taa (Associazione aeronautica turca), in passato responsabile della
gestione dei canadair.
Erdogan ha ordinato di lasciarli a terra definendoli
inutilizzabili perché in cattive condizioni e ha preferito affittare tre aerei
russi, per 23 milioni di dollari. La settimana scorsa lo ha candidamente
ammesso il ministro Pakdemirli: la Turchia non ha aerei anti-incendio.
https://ilmanifesto.it/la-risposta-di-erdogan-agli-incendi-zittire-la-stampa-e-incolpare-il-pkk/
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