L'articolo dell'Espresso che riportiamo dà in parte le ragioni dello scontro in atto all'interno del governo... la spartizione delle "poltrone", cioè del potere nelle mani di chi sta al governo al servizio dei padroni, a cominciare dalla Cassa Depositi e Prestiti
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NON SOLO I MINISTRI. ANCHE RAI,
CDP, FERROVIE, ALTRE AZIENDE PUBBLICHE
LA GRANDE MENSA DELLE NOMINE FA
DA SFONDO ALLO SCONTRO TRA CONTE E RENZI NELLA MAGGIORANZA PD-M5S
Telebiella provocò la caduta del
secondo governo di Giulio Andreotti, dopo mezzo secolo Busitalia può sorreggere
il secondo governo di Giuseppe Conte, anch’egli abile a tirare a campare, o
almeno la maggioranza giallorossa.
Busitalia è una società di
trasporti di Ferrovie dello Stato (Fs), non si muove su rotaia, ma su
gomma, non ha sede a Roma, ma a Firenze, impiega settemila lavoratori
e fattura 140 milioni di euro. L’esecutivo giallorosso ha raggiunto
l’agognata coesione con le nomine per Busitalia, riservate alla scalpitante
Italia Viva di Matteo Renzi e ai Cinque Stelle capofila Laura Castelli, che
seguono quelle di Trenitalia, di Rete ferroviaria italiana (Rfi) e di Consap
assicurazioni in sospeso da giugno.
La maggioranza s’è data un metodo per assegnare le poltrone di Stato e finalmente, con sollievo,
dicono che funzioni. Ha pianificato addirittura in anticipo l’anno che verrà. Il 2021 propone oltre cinquecento poltrone fra Cassa depositi e prestiti (Cdp), il servizio pubblico Rai, la compagnia dell’estrazione petrolifera Saipem, l’immobiliare pubblica Invimit, la società informatica Sogei, il Gestore dei servizi energetici, la capogruppo Ferrovie e la sua controllata Anas. C’è l’intenzione di recuperare gli imbarazzanti ritardi accumulati come per l’Agenzia per le infrastrutture delle Olimpiadi di Milano e Cortina, creata in febbraio con una dotazione di un miliardo di euro e ancora inattiva perché non si riesce a formare il Consiglio di amministrazione (Cda). Altro che manuale Cencelli, altro che spartizione scientifica, qui si tratta di una mensa con i segnaposto - l’unica cosa che conta - in bella mostra, una gigantesca e rumorosa mensa. La mensa giallorossa.Si valutano fatturato,
investimenti, dipendenti e relazioni territoriali delle aziende in palio –
più l’offerta è varia e più c’è agio - e si sceglie rispetto alla
consistenza parlamentare: si parte con i 5S, si continua col Pd, si ritorna
ai 5S di diversa corrente, ancora il Pd per sedare chi protesta, poi si scende
di livello per rimpinguare Italia Viva, il premier Conte, i tecnici del
ministero del Tesoro, il composito lascito di Leu, persino i singoli ministri e
i sostenitori esterni come Gianni Letta e Massimo D’Alema. Se la teoria è
cacofonica, la pratica è una sinfonia: i Cinque Stelle hanno indicato
l’amministratore delegato di Trenitalia con Luigi Corradi e il presidente di
Rfi con Anna Masutti, al contrario il Partito democratico si è concentrato
sull’amministratore delegato di Rfi con Vera Fiorani e sul presidente di
Trenitalia con l’ex deputato Michele Meta. Per il quarto mandato
consecutivo, puntellato da Gianni Letta, Mauro Masi è stato confermato in
Consap da presidente e però ha ceduto il comando di Amministratore delegato a
Vincenzo Sanasi d’Arpe, reclutato dai Cinque Stelle tendenza Luigi Di Maio.
Busitalia è il capolavoro.
L’amministratore delegato è un diritto acquisito di Italia Viva perché la
società è ben radicata in Toscana, ma il primo concorrente - l’ex parlamentare
Giovanni Palladino - è apparso debole. Per la presidenza si attendono le
disposizioni del viceministro Castelli, che ha insistito parecchio per Gaetano
Stramentinoli, ex ufficiale della Finanza, già collaboratore della medesima
Castelli al Mef, di recente assunto in Ferrovie.
Le due cadreghe di Busitalia sono
lì, allineate e spolverate, si aspettano soltanto gli ordini di Castelli e di
Renzi per procedere dopo la pausa natalizia. Un altro mese è trascorso. E che
problema c’è. Chi salva una vita salva il mondo intero. Chi salva una nomina salva
il governo Conte II. Che Dio benedica Busitalia.
LA CATENA DEL POTERE
Il tavolo delle nomine è assai
istituzionale e meditabondo, vi si siedono attorno i membri di governo più
competenti in materia, coloro che delineano ampi scenari e citano irreprensibili
società di “cacciatori di teste”, come Spencer Stuart, che assistono il
Tesoro nella selezione dei vertici aziendali: Roberto Gualtieri per
l’Economia, Stefano Patuanelli per lo Sviluppo, il sottosegretario Riccardo
Fraccaro. Quando il tavolo è allargato ai referenti politici si aggiungono Vito
Crimi per i 5S, che ci ha preso gusto a esercitare la sua funzione; Ettore
Rosato per Iv, che deve consultare spesso Maria Elena Boschi; il viceministro
Antonio Misiani, che rappresenta il Pd di antico rito Ds. Nei 5S è sempre
influente la parola del viceministro Stefano Buffagni. E nel Pd è un obbligo
ascoltare il parere del ministro Dario Franceschini con la sua voce o per il
tramite del deputato Alberto Losacco o Claudio Mancini per la sezione romana e
lo stesso Gualtieri. In retrovia si agita Nicola Zingaretti, il segretario dem.
Alessandro Goracci, il capo di gabinetto del premier, a volte si accomoda al
tavolo, altre riferisce l’ambasciata di Conte. Non ha titolo per partecipare a
tali consessi, ma non viene respinto perché Conte non ha un partito.
E se un suo partito ci fosse,
Goracci ne sarebbe il tesoriere. Lontano dal tavolo, dalla vista e pure dal
pudore, si affanna la coppia pugliese che apparecchia la mensa: il barese di
origini Ignazio Vacca, ex funzionario Ds, capo della segreteria politica del
ministro Gualtieri; il leccese Antonio Rizzo, ex militante socialista, un
passato di denunciante in banca Mps, consigliere di Fraccaro.
Inviso a Buffagni e Di Maio
perché ritenuto non compatibile col Movimento, anche nei giorni di festa, in
collegamento dal Brasile, Rizzo ha monitorato la distribuzione delle
poltrone. Rizzo e Vacca, con qualche margine di manovra, devono accertarsi
che i desideri dei ministri e dei partiti siano esauditi.
Per esempio, il ministro Roberto
Speranza ha chiesto un’adeguata sistemazione per Filippo Bubbico, già
viceministro all’Interno e governatore della Basilicata. Dopo una lunga
riflessione e il solito animato dibattito, si rinfocola la suggestione di
collocare Bubbico alla presidenza di Acquirente unico.
I “cacciatori di teste” non
scovano e propongono i migliori amministratori o presidenti, sono soltanto un
paravento della meritocrazia: esaminano le carriere dei candidati,
ripetutamente segnalati dalla politica, per stabilire se sono idonei agli
incarichi pubblici. Poiché la mensa giallorossa ha accolto e accoglie
soprattutto i bisognosi, non di rado i candidati sono bocciati, ma non per
questo motivo vengono esclusi. L’appetito è ingestibile. Ancora non esiste la
società statale di Autostrade per l’Italia e c’è ancora la trattativa con
Atlantia della famiglia Benetton, ma al ministero del Tesoro hanno già
individuato il futuro amministratore delegato: è Luigi Ferraris, che fu
cacciato da Terna per ragioni politiche. Il governo doveva accontentare i 5S
con la promozione di Stefano Donnarumma, dunque presto Ferraris verrà risarcito
per il disturbo.
VIALI DEL TRAMONTO
Ogni giorno Fabrizio Salini si
sveglia da amministratore delegato della Rai, va in ufficio a Viale Mazzini,
dove c’è sempre meno folla che lo assale all’iconico ascensore che porta al
settimo piano, certo qualcuno lo saluta con la mano, e rientra a casa nel tardo
pomeriggio senza sapere se l’indomani sarà ancora amministratore delegato della
Rai. Il triennio di Salini scadrà in estate, sarà molto complicato arrivarci.
Al ministero della Cultura di Dario Franceschini ne pronosticano l’uscita
quest’inverno. Si cerca la figura del traghettatore, cioè di un ad interno con
poche pretese che si possa giocare in un semestre la piena investitura col
nuovo Cda. A bordo campo si scaldano Paolo Del Brocco di Rai Cinema, Roberto
Sergio di Radio Rai e l’attuale direttore generale Alberto Matassino.
Quest’ultimo ha il supporto di Franceschini. Per sancire la placida concordia
fra i dem, il segretario Nicola Zingaretti, ispirato dal giovane romano Valerio
Carocci del Cinema America, ha evocato un amministratore delegato esterno,
soprattutto per stanare la volata di Del Brocco.
I Cinque Stelle non hanno
fretta, preferiscono discutere di Rai - che significa discutere di assetto
mediatico per le prossime elezioni - assieme a Cdp e alle altre e
vaticinano quello che potrà succedere a Claudio Descalzi (Eni) e Alessandro
Profumo (Leonardo).
Nel processo per le tangenti
in Nigeria e per il reato di corruzione, la procura di Milano ha chiesto otto
anni per Descalzi: la sentenza è fissata per marzo. Se gli va male, se ne
va.
Se gli va bene, rimane
l’inchiesta sugli affari della moglie con Eni. Marco Alverà di Snam, svezzato
nella multinazionale del petrolio all’epoca di Paolo Scaroni, si allena con
foga per subentrare a Descalzi. Snam ha i tubi del gas, ma si cimenta
nell’idrogeno per la “transizione energetica”, una politica industriale di moda
che ha spinto Alverà alla ribalta e l’ha avvicinato al premier Conte. Invece
Profumo è stato condannato in primo grado a sei anni per aggiotaggio e false
comunicazioni sociali relative anche alla semestrale del bilancio 2015 di Monte
dei Paschi di Siena, di cui era presidente, pur avendo applicato le prescrizioni
di Bankitalia e Consob sui derivati Santorini e Alexandria sottoscritti da chi
l’ha preceduto e nonostante i magistrati si fossero già pronunciati per
l’archiviazione, il proscioglimento e poi per l’assoluzione. La vicenda di
banca Mps non c’entra con la gestione in Leonardo di Profumo, giunta al quarto
anno, ma la politica già assapora lo sblocco di una poltrona non prevista. Però
Profumo non gli semplifica il lavoro: considera le dimissioni un danno per
Leonardo. I papabili successori sono Lorenzo Mariani, dislocato a Mbda, il
consorzio europeo delle armi e Giuseppe Giordo, responsabile della divisione
navi militari di Fincantieri.
Il destino di Domenico detto
Mimmo Arcuri, il commissario straordinario alla pandemia, è avviluppato a
quello di Conte. Il premier gli ha promesso la Cassa di Palermo o la Leonardo
di Profumo. Scortato dai Cinque Stelle e in cerca di un appiglio nel Pd, Palermo
ha mobilitato tutte le sue più recondite risorse pur di non abbandonare Cdp:
è ormai da più di un anno che celebra con eventi, pubblicità e filmati i 170
anni dalla fondazione di Cassa depositi e prestiti e lo sforzo maggiore sarà
visibile in primavera puntuale per le 171 candeline. Cdp è la preda più
ambita: detiene le partecipazioni di Eni, Snam,
Italgas, Terna, Poste e di altre decine di società, è centrale nelle politiche
economiche dello Stato come dimostrano Autostrade e Rete unica telefonica e ha
in dote 271 miliardi di euro di risparmio postale degli italiani.
Anche Gianfranco Battisti, che fu
nominato in Ferrovie dall’ex ministro Danilo Toninelli e ha una vecchia
amicizia col forzista Antonio Tajani, ha riposto le poche speranze di bis in
Conte. Quelle che ha smarrito, suo malgrado, Stefano Cao di Saipem che lascerà
l’azienda dopo l’approvazione del bilancio.
Alla mensa giallorossa, però, può
accadere qualsiasi cosa. Non si digiuna mai.
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