inviatoci da Coordinamento NoTriv Terra di Bari
di Antonio Mazzeo (*)
Negli stessi giorni in cui il Parlamento chiedeva al Governo la proroga della sospensione dell’esportazione di alcuni sistemi d’arma ad Arabia saudita ed Emirati Arabi Uniti per i crimini commessi in Yemen, il colosso energetico ENI – controllato in parte dallo Stato italiano – decideva di espandere la propria presenza in territorio emiratino. A fine dicembre l’azienda italiana ha firmato infatti un contratto per l’acquisizione di una quota del 70% della concessione nel Blocco esplorativo 3,
situato nell’offshore nord-occidentale di Abu Dhabi. L’accordo di concessione è stato firmato dal ministro dell’Industria degli Emirati Arabi nonché amministratore delegato dell’Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC) Sultan Ahmed Al Jaber, dall’Ad di ENI Claudio Descalzi e da Phongsthorn Thavisin, general manager della società petrolifera thailandese PTT Exploration and Production Public Company Limited (PTTEP), anch’essa parte del consorzio con una quota di minoranza.Il Blocco esplorativo 3 rappresenta l’area più grande assegnata nell’ultimo anno dalla compagnia nazionale petrolifera emiratina e copre una superficie di circa 11.660 chilometri quadrati. La fase esplorativa avrà una durata massima di nove anni, mentre i termini della concessione saranno estesi per 35 anni dall’inizio della fase esplorativa; in caso di esito positivo, per le fasi di sviluppo e produzione l’ADNOC avrà un’opzione per detenere una quota del 60%. La nuova licenza si trova in prossimità di altri grandi giacimenti, tra cui le concessioni offshore dei Blocchi esplorativi 1 e 2 che l’holding italiana ha ottenuto dopo il bando concessione di ADNOC del maggio 2019.
«La concessione è molto importante non solo sotto il profilo economico-commerciale, ma anche per quello che riguarda le relazioni tra Italia ed Emirati» ha dichiarato l’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi. «Essa rappresenta un ulteriore importante passo verso la realizzazione della strategia per rendere ENI protagonista nel settore dell’oil and gas ad Abu Dhabi, regione leader nel settore, contribuendo ad aggiungere ulteriori risorse e a sfruttare tutte le potenziali sinergie con i giacimenti circostanti».
Ampia soddisfazione per l’accordo italo-emiratino è stata espressa dal ministro Sultan Al Jaber. «Questa concessione rafforza ulteriormente la partnership tra ADNOC ed ENI» ha dichiarato Al Jaber. «Ciò conferma ancora una volta il nostro approccio mirato alle partnership ad alto valore aggiunto che contribuisce alla giusta combinazione di capitale, tecnologia, capacità e accesso al mercato per accelerare lo sviluppo delle risorse di idrocarburi di Abu Dhabi. Nonostante le condizioni di mercato instabili (…) continuiamo ad accogliere i partner che condividono la nostra visione per liberare valore dalle nostre risorse di idrocarburi in modo sostenibile e con reciproco vantaggio, mentre portiamo avanti la nostra strategia verso il 2030».
ENI opera negli Emirati Arabi Uniti dal marzo 2018 quando firmò un accordo per l’acquisto di due concessioni, la prima con una quota del 5% nel giacimento a petrolio di Lower Zakum a 84 km a nord-ovest di Abu Dhabi, la seconda del 10% nel campo sottomarino a olio, condensati e gas di Umm Shaif e Nasr, a circa 135 chilometri dalla costa di Abu Dhabi e un target di produzione di 460mila barili al giorno. A presenziare alla firma dell’accordo tra l’Ad Claudio Descalzi e l’ente petrolifero emiratino, il principe ereditario di Abu Dhabi Mohamed bin Zayed Al Nahyan e l’allora primo ministro italiano Paolo Gentiloni, a riprova della rilevanza politico-economica riservata dai due governi all’evento. Coincidenza vuole che negli stessi mesi si registrasse l’ennesima escalation del conflitto nel vicino Yemen con il sempre più diretto coinvolgimento delle forze armate emiratine.
Per ottenere lo sfruttamento per 40 anni dei giacimenti di Lower Zakum, Umm Shaif e Nasr, l’ENI ha sborsato 875 milioni di dollari reinvestendo i ricavi di una contemporanea triangolazione con Mubadala Petroleum, la società petrolifera del fondo sovrano emiratino Mubadala, la stessa che controlla il complesso militare-industriale nazionale e che ha acquisito in Italia Piaggio Aereo Industries per dotare l’emirato di droni da guerra. ENI ha aveva ceduto al gruppo Mubadala il 10% della concessione offshore di Shorouk in Egitto per il giacimento a gas di Zohr, il più grande del Mediterraneo, incassando 934 milioni di dollari. Il 12 novembre 2018, l’ENI aveva poi ulteriormente rafforzato le relazioni d’affari con la cassaforte finanziaria del regime di Abu Dhabi: il presidente di Mubadala Petroleum, Musabbeh Al Kaabi, e l’amministratore delegato Claudio Descalzi sottoscrivevano infatti un accordo per la cessione da parte di ENI del 20% della concessione del blocco esplorativo a gas di Nour situato nel bacino del Delta del Nilo orientale, a circa 50 km dalla costa egiziana.
Negli Emirati Arabi Uniti il colosso energetico italiano opera inoltre nella concessione di Ghasha, la maggiore area estrattiva offshore di gas e per la quale l’ENI sta negoziando con l’Abu Dhabi National Oil Company l’acquisizione di una quota dell 25%. La concessione di Ghasha è stata ottenuta nel novembre 2018 e ha una durata anch’essa di 40 anni; consiste nei giacimenti di Hail, Ghasha, Dalma e in altri campi offshore situati nella regione di Al Dhafra da cui si prevede di estrarre più di 1,5 miliardi di piedi cubi di gas e 120.000 barili al giorno di olio e condensati. Sempre in ambito esplorativo/estrattivo, l’ENI opera nel giacimento petrolifero offshore di Ras Al Khaimah in un’area di 2.412 km2 ottenuta in concessione dall’omonimo emirato nell’aprile 2019 e in quello onshore (gas e condensati) di Mahani, grazie alla costituzione nel gennaio 2020 di una joint venture paritaria con la società petrolifera di Stato SNOC dell’Emirato di Sharjah.
L’holding italiana detiene inoltre una quota del 25% di ADNOC Refining, società di raffinazione della compagnia petrolifera nazionale di Abu Dhabi, titolare delle raffinerie situate a Ruwais ed Abu Dhabi, con una capacità produttiva di oltre 922 mila barili al giorno di greggio. Il complesso di Ruwais, in particolare, è il quarto al mondo come dimensione ed è oggetto di ulteriore espansione e integrazione al fine di sviluppare il più grande sito di raffinazione e petrolchimica a livello mondiale. Per l’operazione di acquisizione di un quarto di questi impianti, l’ENI ha sborsato 3,24 miliardi di dollari circa con l’accordo firmato il 27 gennaio 2019 alla presenza dello Sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, Principe della Corona di Abu Dhabi e Vicecomandante Supremo delle forze armate degli Emirati Arabi, e il presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte. Con ADNOC e la società austriaca OMV, l’azienda italiana ha poi costituito una nuova joint venture per la commercializzazione dei prodotti petroliferi raffinati.
Meno di un anno fa il ministro e amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company, Sultan Ahmed Al Jaber, e l’Ad di ENI Claudio Descalzi hanno anche firmato un memorandum d’intesa per lo sviluppo congiunto di iniziative di ricerca “mirate alla realizzazione di soluzioni tecnologiche avanzate per la riduzione, cattura, utilizzo o confinamento in giacimenti delle emissioni di CO2”. La santa alleanza Italia-Emirati fatta sino ad oggi di armi, gas e petrolio potrà così tingersi di green e divenire, forse, più sostenibile…
(*) pubblicato in Africa ExPress il 3 gennaio 2021
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