Remocontro 14 Gennaio 2021
Far fare soldi ai militari, perché il potere rimanga stabile: presidi operai e scioperi in Egitto. 2.500 lavoratori della Delta Fertilizers di Talkha di colpo senza lavoro, 7 mila quelli dell’indotto Stabilimenti venduti in segreto per ‘espansione edilizia’. Proteste e dura repressione della polizia, 15 arresti. A loro si stanno unendo i lavoratori di altre aziende pubbliche.
Presidi operai e scioperi, l’inverno caldo dell’Egitto
2.500 lavoratori della Delta Fertilizers di Talkha, a 130 km a nord del Cairo, di colpo senza lavoro, 7 mila quelli dell’indotto, tutti arrabbiatissimi contro una delocalizzazione selvaggia con forte (fortissimo) sospetto di speculazione immobiliare. Si arrabbiano, occupano, manifestano per strada dal 3 dicembre, esattamente come accadrebbe a casa nostra. Soltanto che nell’Egitto di Al Sisi, altre alla polizia ‘Celere’, quella bardata a contrastare manifestazioni arrabbiate, agisce anche la polizia politica che i sindacalisti più ascoltati se li va a prendere a casa e li mette in galera. Facile immaginare con trattamenti decisamente rudi, lascia intendere Pino Dragoni, sul Manifesto.
Edilizia di Regime (e di esercito) contro posti di lavoro
I lavoratori sono venuti a sapere dei piani di smantellamento quando una commissione militare ha
visitato la fabbrica per dei rilievi tecnici. E hanno scoperto che il governatore della provincia aveva messo in vendita i terreni su cui sorgono gli stabilimenti, per fare spazio a un grande quartiere residenziale. Politica locale complice e quasi certamente corrotta. Piani di chiusura per gli stabilimenti tessili di Kafr el-Dawwar, ad Alessandria, anche lì per fare posto a progetti edilizi. L’industria dell’alluminio di Nag’ Hamadi, nell’Alto Egitto. Lunedì l’annuncio della liquidazione della ‘Iron and Steel di Helwan’, la più antica e grande industria metallurgica del mondo arabo, con oltre 7mila operaCritica persino dal sindacato filo-governativo Etuf. «Questa industria non appartiene al governo, ma a tutto il popolo egiziano».
Economia in mano ai militari: così Al Sisi controlla l’Egitto
Società dell’esercito costruiscono la nuova capitale e hanno raddoppiato il canale di Suez. Grazie al presidente le forze armate non pagano l’Iva e le tasse sulla proprietà immobiliare, ricorda Vincenzo Nigro su Repubblica. «Alberghi, elicotteri, autostrade, mitragliatrici, supermercati, condizionatori, carri armati, frigoriferi, ventilatori, missili. E poi agricoltura, acquacoltura, resort turistici, miniere, marmo, cementifici, componenti elettronici. L’esercito egiziano produce tutto. Per capire cosa sia e come funziona per davvero il “sistema Sisi” non bisogna guardare solo agli apparati di sicurezza, ai servizi e alle polizie. Il segreto è sotto gli occhi di tutto: è l’economia».
Militari esentasse comandano e arricchiscono
«È questo il vero segreto, la forza e il collante del sistema politico che il presidente Sisi sta consolidando», dice un esperto imprenditore italiano che da decenni frequenta l’Egitto: «In questi anni Sisi ha utilizzato l’impegno dei militari nell’industria e nel commercio per consolidare il sistema da lui rimesso in piedi dopo Mubarak. Da una parte ci sono i servizi di sicurezza, ma dall’altra c’è il ruolo delle forze armate nella società e nell’economia». «Avendo decine e decine di aziende a disposizione, la “Sisi-Spa” permette a migliaia di ufficiali di avere sfogo dopo il periodo di servizio, o magari mentre sono ancora in servizio. Questo consolida il consenso della sua base di potere, fornisce sostegno sicuro per la presidenza e per tutto il sistema».
‘Sisi Spa’ a mano armata
Società edilizie collegate all’esercito stanno costruendo con fondi sauditi ed emiratini la New Cairo, la nuova capitale. Hanno appena terminato la costruzione del più grande cementificio del paese. E continuano a costruire su aerei da caccia, carri armati, cannoni, mitragliatrici: molte licenze Usa ed europee (Italia compresa), in un va e vieni di miliardi. Il primo ad impegnare i militari nell’industria fu Nasser: l’industria degli armamenti per aggirare gli embarghi imposti dalle ex potenze coloniali. Quando Sadat nel 1979 firmò la pace con Israele, i commerci militari servirono a impiegare le migliaia di soldati e ufficiali che con la pace sarebbero stati mandati a spasso. Far fare soldi ai militari, per non fargli fare la guerra. Ma Sisi ora alza il livello.
«Allargare a 360° la presenza dei militari nell’economia perché sempre più le forze armate siano coinvolte nella stabilizzazione politica del sistema».
Dettagli tecnici di imprenditoria armata
Sotto il Ministero della Difesa c’è il Ministero della Produzione Militare. Con due organizzazioni chiave. La Aoi (Organizzazione Araba per l’Industria) e la Nspo. L’Aoi, creata nel 1975 per unire le forze di Egitto con Arabia Saudita, Emirati Arabi e Oman nel settore della produzione bellica. Oggi possiede 9 fabbriche, dà lavoro a 1250 ingegneri e 19000 operai. Il gruppo produce aerei da guerra, motori, radar, veicoli blindati. Hanno assemblato l’elicottero francese “Gazelle”, i missili anti-tank britannici “Swingfire”. Soprattutto hanno costruito più di 1.000 carri armati americani M1-A1 Abrams. L’altra organizzazione militar-industriale è la “National service products organization”. Anche questa fu creata da Sadat per raggiungere l’autosufficienza militare, ma da tempo si è allargata ad ogni settore civile.
Per il Carnagie Center di Beirut, è praticamente impossibile valutare l’ammontare del loro giro di affari: «Si è parlato del 20, del 40, addirittura del 60 per cento dell’economia egiziana: se fosse un terzo, sarebbero 100 miliardi di dollari all’anno».
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