domenica 10 gennaio 2021

pc 10 gennaio - NEI BOSCHI DELLA BOSNIA UNA DELLE PIU' GRANDI DISUMANITA' - L'EUROPA E L'ITALIA NON SOLO STANNO A GUARDARE, MA ORDINANO ALLA POLIZIA DI NON FARLI ARRIVARE IN EUROPA

(Da notizie stampa) - Almeno 900 persone, da 17 giorni, vivono sotto ripari di fortuna in quello che è rimasto del campo di Lipa, località tra i boschi sulle alture della Bosnia Erzegovina a pochi chilometri dal confine con la Croazia. Dopo che la tendopoli temporanea che li ospitava è andata a fuoco, l’antivigilia di Natale, il 23 dicembre, le loro condizioni già molte precarie sono precipitate. Senza acqua, né elettricità, né servizi igienici gli sfollati (tutti uomini, richiedenti asilo, provenienti per lo più da Pakistan e Afghanistan) sono costretti a scaldarsi accendendo piccoli falò. «Non è ancora arrivato il gelo, ma fa già molto freddo, la neve che era caduta nei giorni scorsi si è sciolta creando un pantano che rende la quotidianità ancora più complicata». Abbandonati a loro stessi, i profughi non hanno vestiti adeguati e scarpe per affrontare l’inverno. Possono contare solo un pasto al giorno che fornisce loro la Croce Rossa, l’unica organizzazione insieme alla Caritas ed IPSIA, autorizzata ad operare. Un lieve miglioramento della situazione è atteso nei prossimi giorni. I militari dell’esercito bosniaco stanno allestendo delle nuove tende che dovrebbero garantire una sistemazione meno precaria. Tuttavia non sono al momento previsti né allacciamenti idrici né collegamenti con la rete elettrica che sarebbero fondamentali per affrontare i prossimi mesi invernali e assicurare standard igienico sanitari minimi tanto più in mezzo ad una pandemia, come quella prodotta dal virus SARS-CoV-2, che ha colpito duramente anche il Paese balcanico.

L'organizzazione IOM denuncia che sarebbero almeno 3.000 le persone totalmente allo sbando, senza un posto dove stare, nel bel mezzo dell’inverno. Una situazione, tra l’altro, aggravata dai violenti respingimenti alla frontiera della polizia croata denunciati anche al Parlamento Europeo che impediscono ai migranti di proseguire il loro viaggio in Europa.

La maggior parte dei tremila accampati, tra cui i 1.200 in cerca di una sistemazione dopo l’incendio nel campo di Lipa, prima di ritentare i 300 chilometri di cammino verso l’Italia attenderanno che le temperature tornino sopra lo zero. Qualcuno però sfida la sorte, nella speranza che anche le guardie croate abbiano freddo... Non ci sono mappe stradali aggiornate, i telefoni diventano muti, e a ogni passo c’è da sperare di non essere incappati in un sinistro souvenir di guerra. Sono le cosiddette “aree sospette di mine”. Quasi il 99% delle trappole esplosive è ancora nascosto tra i boschi. Il centro croato per lo sminamento stima almeno 18 mila esplosivi antiuomo ancora nascosti, oltre a un incalcolabile quantità di bombe inesplose. Dal termine del conflitto oltre 500 persone sono morte dopo aver sentito un micidiale clic sotto agli scarponi, più di 1.500 sono i mutilati... 

Dal 2017 il Centro per gli studi sulla pace di Zagabria ha depositato sei denunce penali verso la polizia. Due nelle settimane scorse, a causa della detenzione di 13 stranieri, tra cui due bambini, poi consegnati «a dieci uomini armati vestiti di uniformi nere, con il passamontagna sulla testa». Secondo l’accusa, «gli uomini in divisa nera hanno picchiato, umiliato e respinto le vittime dal territorio della Repubblica di Croazia fino alla Bosnia–Erzegovina».

Fonti del ministero dell’Interno hanno reagito sostenendo che potrebbe trattarsi di “civili armati” che sfuggono al controllo della polizia. Intanto l’ufficio del difensore civico presso la Commissione Ue ha avviato il 20 novembre una indagine per accertare se vi siano state omissioni o comportamenti illegali da parte delle polizie sui confini di Italia, Slovenia e Croazia, finalizzati al respingimento verso la Bosnia.

«Nessuno dei migranti è intenzionato a fermarsi in Croazia», ammette un poliziotto al posto di controllo di Veliki Obilaj. «Però dobbiamo fermarli lo stesso per proteggere i nostri confini. Sono gli ordini – dice –. E poi ce lo chiede l’Europa».

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