Pubblichiamo oggi l'introduzione della serata.
Nei prossimi giorni pubblicheremo la relazione del Prof. Di Marco e alcuni degli interventi.
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Ci siamo avvalsi di documentazione che proviene da realtà sindacali associative a livello internazionale che hanno animato la lotta sul lavoro o l'ambiente nei territori dove c’è l’ArcelorMittal. Nello stesso tempo ci siamo documentati un po' più dettagliatamente circa e tendenze sindacali esistenti negli stabilimenti ArcelorMittal in Europa. Stabilimenti in cui in generale non c’è il sindacalismo alternativo, Taranto è forse l'unica eccezione, ma esistono organizzazioni sindacali ufficiali, esiste un coordinamento internazionale dei delegati Fiom e consimili che negli ultimi due anni ha tenuto un paio di riunioni che hanno messo in relazione le realtà sindacali interne all'Impero Mittal.
Abbiamo lavorato soprattutto su questo: fornire con il dossier il quadro dell'altra faccia dell'impero Mittal. È un tema che conosciamo da tempo, non solo perché sono anni che operiamo alla ex-Ilva e siamo stato obbligati a seguire l'evoluzione e lo sviluppo della situazione all'interno di questa grande fabbrica; e non solo a Taranto, tutti conosciamo l'importanza che per il movimento operaio hanno
avuto negli anni passati l'Italsider di Bagnoli e negli anni più recenti l'Italsider di Genova.
Ci siamo sempre occupati in termini di "impero" per quanto riguarda questo compatto e non a caso avevamo già fatto anni fa una sorta di radiografia dell'impero Riva, della presenza di Riva in Italia e nel mondo e anche delle caratteristiche di quella realtà.
Si può dire che, da impero a impero, le cose non sono cambiate in maniera travolgente se non nelle dimensioni. Con Riva avevamo sfruttamento, morti in fabbrica, inquinamento, con ArcelorMittal abbiamo ancora, nella sostanza, a tutte le latitudini sfruttamento e morti in fabbrica. Questo non vuol dire che l'impero Mittal è la stessa cosa dell'impero Riva.
Non lo è per dimensioni, ArcelorMittal è oggi il più grande impero dell'acciaio, con 60, tra diretti e controllati, stabilimenti nel mondo e con il suo essere il primo complesso produttore di acciaio su scala mondiale. C’è da dire che la recente crisi dell'acciaio e gli effetti di essa ha fatto dire ad alcuni giornali che ArcelorMittal non sarebbe il primo produttore ma il secondo, superato Nippon Steel. Ma è una classifica in movimento, che non cambia la sostanza del problema.
Nel misurarsi con un grande impero industriale o si ha una visione internazionale che guarda al mondo, oppure si prendono delle cantonate clamorose. Pensare di giudicare una strategia industriale attraverso l'analisi di un singolo stabilimento, sia pure importante come quello di Taranto, è un errore di fondo che purtroppo a Taranto è generale, in parte per la gravità dell’impatto inquinante sulla città ma in parte proprio perchè chi si occupa delle grandi fabbriche, delle grandi industrie, è cieco, o dalla nascita o lo è diventato strada facendo.
In questo senso, ritornare al centro della questione Ilva, non come questione Taranto ma come questione dell'acciaio, della crisi mondiale, della sovrapproduzione, del sistema mondiale che caratterizza la siderurgia come tutti gli altri comparti industriali, è lo sforzo difficile che stiamo facendo a Taranto, ma che facciamo anche a livello internazionale.
Anche perché a un impero mondiale si risponde con la lotta internazionale. Senza la lotta internazionale della classe operaia in tutto il mondo e della classe operaia all'interno dei grandi complessi industriali, normalmente i sindacati si muovono come gattini ciechi, partecipano alle guerre commerciali, alle contese tra i grandi poli industriali e si schierano con un padrone anziché con un altro.
E questa è purtroppo una caratteristica storica del movimento operaio, soprattutto occidentale, e non a caso soprattutto nelle fasi di crisi e di guerre è passato armi e bagagli, nelle sue espressioni ufficiali, nel campo della borghesia, nel campo dei padroni.
Al dossier che abbiamo preparato abbiamo aggiunto un inserto che abbiamo realizzato nei mesi successivi quando è divenuta sempre più chiara la crisi mondiale di sovrapproduzione dell'acciaio che attraversava il sistema mondo e le conseguenze che questa stava avendo nello sviluppo del protezionismo della presidenza Trump e così via. Abbiamo perciò allegato al dossier originale sull'altra faccia dell'impero un dossier sulla crisi mondiale della siderurgia. Anche questa non è farina del nostro sacco ma il frutto del lavoro di alcuni compagni che ne hanno realizzato una edizione molto ampia da cui abbiamo tratto la parte che ci serviva di più a fotografare la questione.
Infine, c'è da dire che il sistema ArcelorMittal è dentro un sistema mondiale ma ha una sua "casa madre". Mittal è indiano, è uno di quei grandi capitalisti operanti in questo paese che ha utilizzato per così dire la base del suo potere in India e del sistema produttivo che c'è in India per accumulare quelle ricchezze che gli hanno permesso poi di camminare come un carro armato nella situazione mondiale, e attraverso processi di fusioni e concentrazioni arrivare a quello che oggi è l'impero ArcelorMittal.
E' attraverso questo cammino, che parte dall'India, arriva in Italia, arriva a Taranto.
Un impero che nasce in India ha lì la sua base materiale, che significa legame tra Mittal e il governo indiano. Se qualcuno osserva con attenzione che cosa succede al G20, soprattutto, o ai vertici di Davos in Svizzera dove si raccolgono gli industriali e i governi di tutto il mondo, vedrà che il premier indiano attuale, il fascista indù Modi, sempre è accompagnato da Mittal e sempre Mittal partecipa in qualche forma a questi vertici dove si decidono i destini economici del mondo e dove si manifestano virulente le contraddizioni della situazione economica e non solo nel mondo. Mittal, attraverso il governo indiano, ha quindi un peso rilevante in tutti gli eventi economici del mondo. Non è soltanto una questione della siderurgia.
Il dossier dedica una parte all’India. Mittal per costruire le sue fabbriche ha condotto un'operazione di occupazione del territorio, di devastazione ambientale-territoriale che lì si è tradotta nell’espulsione di intere popolazioni ma che ha trovato anche una forte resistenza da parte delle stesse popolazioni. In alcuni casi l’ascesa dell'impero Mittal coincide proprio con lo sviluppo delle lotte delle popolazioni e in particolare dei maoisti. In diverse realtà i maoisti sono stati un fattore decisivo dell’organizzazione della resistenza popolare, che non è, come viene presentata, una resistenza alla industrializzazione necessaria di un grande paese, com'è l'India, che cerca il suo posto del mondo, ma a quel processo che chiameremmo di accumulazione originaria del capitalismo che cammina come in ogni parte del mondo, sulla pelle dei popoli, della natura ecc.
Noi, come proletari comunisti e attivisti dello Slai Cobas per il sindacato di classe da sempre abbiamo collegamenti con l'India, da ancor prima che ArcelorMttal mettesse piede a Taranto noi conoscevamo le lotte che si facevano in quel paese contro l'ascesa di questo industriale.
In questo senso il nostro dossier è un’arma, un’arma per leggere l’altra faccia di questo pianeta e, attraverso la lettura di questa altra faccia, avere gli strumenti per vedere perché in ogni realtà la fenomenologia dell’ascesa dell’ArcelorMittal è stata più o meno la stessa.
A volte succede che i governi, che organizzazioni sindacali che pure sono dentro queste vicende, non sanno di che parlano. Uno dei temi sollevato dal dossier è che ArecelorMittal è enormemente più importante, più forte dei governi con cui si è misurato. In un certo senso è uno scontro impari tra un grande industriale e governicchi che non possono che assecondarne, con balbettii e da giochi di saltimbanchi, gli interessi. Tutto ciò è già avvenuto in tutti i paesi in cui ArcelorMittal si è imposto - e il dossier si occupa di una parte di queste realtà, non tutte, che hanno avuto un impatto abbastanza simile a quello visto a Taranto. Attenzione, non è un impero che si diffonde in paesi poveri, è il primo produttore industriale non americano negli Stati Uniti. Quindi non stiamo parlando di un impero che fa strage laddove esistono condizioni semplificate per la sua azione ma di un impero della concorrenza mondiale, del mercato mondiale, che anche negli Stati Uniti ha una presenza attiva e anche lì con una serie di problematiche.
ArcelorMittal è presente in Sudafrica, anche se qui recentemente ci sono stati fenomeni rilevanti di crisi e uno degli stabilimenti è stato messo in discussione. Il dossier si occupa della situazione di ArcelorMittal in Bosnia, abbastanza simile a quella di Taranto, degli stabilimenti in Kazakistan, in Ucraina, in Romania e così via.
La descrizione fatta nel dossier mostra come in ogni realtà si sono sviluppate gli stessi fatti, non solo rispetto agli interessi materiali delle masse, le condizioni di lavoro, di sfruttamento, la sicurezza, l’inquinamento, ma anche nel modo in cui l’impero si è appropriato del rapporto tra economia e politica nella fase del suo insediamento. Ovunque vi sono stati aiuti di Stato, senza il ruolo attivo degli Stati ArcelorMittal non realizzerebbe i suoi obiettivi. Ci sono state massicce detassazioni ed evasione fiscale.
Questo impero oggi raccoglie qualcosa come oltre 200.000 operai e le ricchezze attuali del gruppo fanno di Mittal uno dei capitalisti inseriti ai primi posti delle classifiche del sistema mondo. Per ricchezza, Forbes lo colloca intorno alla 130a posizione tra gli uomini più ricchi del mondo, il patrimonio stimato, qualche anno fa, è di 12.13 miliardi di euro. E non è solo l’entità complessiva del patrimonio di Mittal che impressiona ma anche la rapidità con cui si è affermato, se si pensa che l’ascesa si è rapidamente accelerata nell'ultimo trentennio. È nella fase più recente della vicenda mondiale dell'acciaio che Mittal ha marciato a tappe forzate, prima di tutto con le fusioni che erano il frutto di precedenti altre fusioni, che infine hanno determinato il nome attuale di ArcelorMittal. Il dossier spiega bene alcuni di questi passaggi.
Un'ultima questione riguarda il fatto che l'ascesa nei diversi paesi del mondo non ne fa soltanto un impero dell'acciaio, c’è tutta una serie di altre grandi attività correlate, compresi il sistema di approvvigionamento delle materie prime, le miniere così via, che fanno parte della dimensione mondiale di questo impero.
Attualmente il sistema di gestione di Mittal è articolato, è in continua modifica e sviluppo. Il cambiamento più significativo c’è stato nel passaggio dal padre, fondatore dell'impero, al figlio, Anche gli analisti economici vedono che mentre il padre era un industriale, sviluppatosi con il meccanismo di ingrandimento, fusioni, compressione del costo del lavoro, appropriazioni; con l’avvento del figlio la crescita diventa da industriale industrial-finanziaria, come è naturale nel sistema capitalistico e nella sua fase imperialista, con un processo simile a quello vissuto nel finale dell'impero Riva che, con la morte dell'industriale Emilio Riva e col passaggio agli eredi, negli ultimi tempi aveva cavalcato la tigre della gestione della finanza, dei paradisi fiscali e così via.
A proposito i paradisi fiscali, vi sono delle coincidenze tra i paradisi fiscali dell'impero Riva e quelli attuali dell'impero Mental, nel dossier se ne parla.
Un'altra cosa che accomuna Mittal a Emilio Riva. Emilio Riva in un’intervista dichiarava “a me le crisi stanno benissimo. È nelle crisi che faccio i migliori affari, soprattutto perché ne approfitto per acquisire a basso costo altri stabilimenti”. Anche Mittal ha fatto così. Anche Mittal usa le crisi, compresa la crisi che ha attraversato e attraversa il sistema, per appropriarsi a basso costo di stabilimenti.
Attenzione, il suo disegno non è mai di appropriarsene per chiuderli. Li chiude se il costo del lavoro non gli permette di gestirli come vuole, ma in realtà il suo scopo non è chiuderli, ma prenderli e e allargare la sua presenza nel mondo in un mercato molto difficile, in cui rapporto tra produzione e circolazione, acquisizione e vendita dell'acciaio ha bisogno di un sistema di stabilimenti collocati giustamente, perché trasferire acciaio non è come spostare un'automobile, occorrono insediamenti strategici di lunga durata che non si acquisiscono facilmente.
Sul piano finanziario Mittal aggiunge un’altra e ultima caratteristica, la capacità di fare soldi con l’effetto annuncio. A suo tempo il semplice annuncio che Mittal acquisiva gli stabilimenti dell'ex-Ilva produsse una immediata salita delle quotazioni in borsa, un rapido aumento della capitalizzazione. Lo stesso è avvenuto con gli annunci “me ne vado, non ritorno”, non sono mai stati a impatto zero, e non solo per quanto riguarda gli effetti sui lavoratori, che sappiamo bene come stanno pagando questi giochi, ma sono sempre serviti a rafforzare l'immagine di un impero che comunque affronta i problemi, li risolve, va avanti, che ha un futuro radioso e non una crisi devastante. E già l'annuncio di un "futuro radioso" produce profitti per le grandi multinazionali compresa ArcelorMittal.
Ecco, come si fa a pensare che si possa lottare senza conoscere questi fatti, senza partire da questa visione, senza capire quali sono gli anelli deboli e quelli forti, senza decifrare l'effettiva sostanza dei movimenti. Basta vedere quello che dicono i sindacati, il governo e allora si capisce che cosa si fa.
Il dossier non è solo contro l'impero, è contro i governi dei padroni, contro questo sistema, contro i sindacati della collaborazione, contro l’ambientalismo antioperaio. È una trincea di lotta, non una semplice documentazione.
Per questo abbiamo chiesto l’apporto del prof. Di Marco, perché senza i fondamenti del marxismo è difficile orientarsi nelle vicende come quelle dell’ArcelorMittal e nelle vicende conseguenti della lotta di classe. In questo senso, il nostro scopo di oggi non è fare il piano alternativo a quello di ArcelorMittal, né stabilire le rivendicazioni da portare domani alla fabbrica, questo già lo facciamo e su questo sono le lotte che danno la risposta.
Noi vogliamo invece spostare l'attenzione, guardare al fondo della cosa per tornare poi con calma dal fondo della cosa alla prassi necessaria. È anche il nostro modo di intendere il rapporto tra teoria e prassi.
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