«Le
atrocità nascoste dell’avventura coloniale italiana»: la ristampa
(ampliata) di un libro importante
INTRODUZIONE
DI ERIC SALERNO ALLA TERZA EDIZIONE (Manifesto Libri)
Nel
1979 «Genocidio in Libia» fece conoscere al grande pubblico e, per
una parte importante, anche al circolo ristretto degli studiosi le
atrocità nascoste dell’avventura coloniale italiana nel Paese
nord-africano. Stragi, l’uso dei gas contro le popolazioni che
lottavano per difendere case e accampamenti nel deserto,
processi-farsa e impiccagioni, l’estesa rete di campi di
concentramento saltarono fuori da documenti ufficiali italiani, molti
dei quali inediti. Alle parole fredde della burocrazia aggiunsi, dopo
un lungo viaggio attraverso la Libia – dalla zona costiera che lega
Tripoli e Bengasi al profondo sud desertico – la voce delle vittime
sopravvissute a ciò che per la sistematicità dei comportamenti
ordinati dalla Roma fascista, appariva come un vero e proprio
genocidio. Particolarmente drammatiche sono le testimonianze, i
ricordi di vita e morte nei numerosi campi di concentramento
allestiti in Cirenaica e dove morirono
decine di migliaia di libici. Oggi, quaranta anni dopo, l’Italia repubblicana finanzia i nuovi campi che in Libia raccolgono migliaia di migranti africani e non solo, scappati dai loro paesi e alla ricerca di una vita migliore in Europa.
Nel 2005 «Genocidio in Libia» fu ristampato da Manifesto
Libri perché, come raccontai nell’introduzione a quella nuova
edizione, nel silenzio della maggioranza si stavano facendo avanti
voci a difesa della politica coloniale che la storia aveva
condannato. Tre anni dopo uscì «Uccideteli tutti-Libia 1943: gli
ebrei nel campo di concentramento fascista di Giado. Una storia
italiana» (il Saggiatore, Milano), la mia ricerca sui campi di
concentramento fascisti allestiti in Libia per gli ebrei di quel
Paese. Lo stesso anno, il 30 agosto 2008 a Bengasi, Berlusconi e
Gheddafi firmarono un trattato di «Amicizia e Cooperazione», a
riconoscimento dei danni provocati dal colonialismo italiano in
Libia: non furono meno gravi rispetto a quelli di cui furono
responsabili le altre potenze europee che spezzettarono e fecero
scempio del grande continente africano. Del significato storico e
pratico di quel trattato e degli eventi degli ultimi quindici anni in
cui i rapporti tra i nostri due Paesi sono profondamente cambiati
racconto in un capitolo a chiusura di questa nuova edizione. Lascio
ad altri la tragica cronaca della guerra civile e del grande gioco, o
meglio massacro, geo-politico voluto da chi oggi compete per le
ricchezze di ciò che più di cento anni fa Gaetano Salvemini aveva
definito lo «scatolone di sabbia». Purtroppo il presente richiama
il passato. Oggi, quaranta anni dopo la prima pubblicazione di questo
libro, con i suoi documenti e le sue testimonianze registrate in
Libia, la Storia, in qualche modo, si va ripetendo. Per questo ho
aggiunto un capitolo dedicato al nuovo vecchio razzismo, ai nuovi
vecchi campi, alle nuove vecchie vittime e alla nuova vecchia
indifferenza che continuiamo a vedere nei curriculum scolastici dove
la Storia, quella più vicina a noi, non viene raccontata se non in
modo superficiale lasciando i nostri ragazzi senza quelle basi
fondamentali indispensabili per combattere le fake-news, il
revisionismo, il negazionismo sia dell’Olocausto degli ebrei sia
dei massacri coloniali. La Storia è composta di fatti, percezioni e
interpretazioni. I coloni italiani cacciati da Gheddafi sono convinti
di aver dato un contributo di crescita e civiltà alla Libia.
Sicuramente sono stati strumenti di un disegno che non fu loro e per
il quale molti hanno sofferto. Per il leader libico, che li cacciò,
rappresentavano soltanto l’eredità del male che il suo Paese aveva
subìto.
decine di migliaia di libici. Oggi, quaranta anni dopo, l’Italia repubblicana finanzia i nuovi campi che in Libia raccolgono migliaia di migranti africani e non solo, scappati dai loro paesi e alla ricerca di una vita migliore in Europa.
In
Italia il dibattito su quel passato ha avuto e ha ancora molte
sfaccettature. C’è chi prova a giustificare l’azione nostra e
delle altre potenze coloniali europee. Chi rifiuta ogni
responsabilità per ciò che è accaduto in Africa – continente
immenso con tutte le sue diversità – dalla cosiddetta
decolonizzazione a oggi. Chi non si rende conto che una più oculata
politica europea (d’insieme o da parte delle singole nazioni)
avrebbe potuto far crescere i Paesi africani evitando lo tsunami –
ricorda le grandi emigrazioni dall’Europa verso mondi nuovi – di
genti alla ricerca di una vita migliore. In Libia l’impatto della
storia in comune con noi è meno dibattuto. Per questo trovo
particolarmente interessante il recente intervento di un regista
libico, Khalifa Abo Khraisse (su Internazionale,
9 marzo 2018). Contesta una parte della storiografia libica e degli
storici «al servizio» del regime e del pensiero di Gheddafi. «Oggi
– scrive – il dibattito su quell’epoca è complicato, e nessuno
è interessato a comprendere le complessità… Per esempio, agli
studenti a scuola non s’insegna che molti libici collaborarono con
i fascisti, che intere brigate e molti capi tribù lavorarono e
combatterono per loro e si divisero al proprio interno per questo.
Non leggiamo delle reclute che marciarono al fianco dei soldati
italiani per conquistare l’Etiopia. Per non parlare del dibattito
sui crimini commessi contro gli ebrei libici: era ed è ancora un
tabù. In realtà alcune delle famiglie più ricche nella Libia di
oggi devono la loro prosperità a quel periodo, ai soldi e alle
proprietà che rubarono agli ebrei costretti a lasciare il loro
paese. Alle generazioni postbelliche sono stati insegnati solo alcuni
fatti, che non potevano in nessun modo essere contestati. Per più di
quarant’anni il governo libico ha scelto di ignorarne alcuni e
amplificarne altri». Abo Khraisse accusa sia Berlusconi che Gheddafi
di non aver compensato le vittime dei campi ma di aver in qualche
modo premiato i loro carcerieri. E conclude: «È paradossale che,
oltre a ignorare i campi di concentramento e premiare i collaboratori
che ci lavoravano, l’accordo abbia gettato le basi per una nuova
epoca di campi di concentramento finanziati dall’Italia con l’aiuto
di collaborazionisti libici che vengono pagati generosamente».
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