sabato 9 novembre 2019

pc 9 novembre - SAN FERDINANDO - I BRACCIANTI MIGRANTI FANNO SCIOPERO E STRAPPANO UN RISULTATO SALARIALE

San Ferdinando - Gli "invisibili" tornano nelle campagne e organizzano un mini-sciopero per i loro diritti
Da articolo di Antonio Maria Mira - 9 novembre 2019

Si avvicina l’inverno, e la raccolta degli agrumi nella Piana di Gioia Tauro. Il primo anno senza l’enorme e indegna baraccopoli nata nel 2011 dopo la rivolta del 7 gennaio 2010 dei braccianti africani contro le violenze e lo sfruttamento della ’ndrangheta, dei caporali e degli imprenditori. Ma anche senza che siano state create alternative alle baracche. Niente. Malgrado siano passati più di otto mesi dallo sgombero. Restano invece i resti delle baracche, enormi cumuli di rifiuti in parte coperti dalle piante cresciute in questi mesi.
L’unica novità sono tende chiuse, dentro i loro sacchi con la scritta ministero dell’Interno.
Eppure l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, aveva annunciato un finanziamento di 350mila euro per il Comune di San Ferdinando per risanare l’area. I soldi ancora non sono arrivati ma in realtà serviranno per la gestione della nuova tendopoli. Per i rifiuti non c’è nulla. Il Comune ha fatto un preventivo: servono 330mila euro per smaltire regolarmente i rifiuti e addirittura 2milioni di euro per
bonificare l’area, decorticando il suolo e smaltendo il terreno inquinato. Fondi che il Comune non ha e che nessuno sembra intenzionato a trovare. Nessuno, al momento dello sgombero, sembra averci pensato. Bisognava solo abbattere.
Da marzo non è stato realizzato nulla per ospitare i braccianti. Tranne la nuova, ma insufficiente tendopoli, che doveva, comunque, essere un sito provvisorio. Non si sono visti i moduli abitativi promessi dal ministero dell’Interno e così l’accoglienza diffusa: nessuno vuole affittare agli africani. Per ora i braccianti arrivati sono ancora pochi. Molti sono ancora al lavoro nel Foggiano. Ma ci sono anche altri motivi. «Non vengono perché hanno paura», ci dice un immigrato.
Alcuni casolari coperti di teli di plastica, stalle e perfino porcilaie, e tante baracche. C’è anche la baracca moschea, costruita con lastre di amianto. A marzo, subito dopo lo sgombero della baraccopoli, erano più di 200, ora già una settantina, senza acqua e luce, circondati da cumuli di rifiuti che nessuno viene a portare via.

C’è però una piccola importante novità, un inizio di sindacalizzazione dal basso, frutto dell’iniziativa di alcuni immigrati. Quindici di loro, tutti dipendenti della stessa azienda, hanno scioperato per 10 giorni e hanno ottenuto un aumento della paga da 30 a 35 euro. La voce è girata e ora anche altri imprenditori si sono adeguati, anche perché ci sono pochi braccianti.

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