Un operaio fa il bilancio di 25 anni di fabbrica, di lavoro in linea. È povero come 25 anni fa. È fisicamente consumato, non ha altra prospettiva che rovesciare questo sistema di schiavitù.
La fabbrica della Fiat a Melfi compie 25 anni. Questa occasione viene
festeggiata con l’attuale governatore della Basilicata di centro
destra. Quando si diede avvio alla produzione nel lontano gennaio
1994, invece, la Fiat festeggiò insieme al centro sinistra che
governava la regione. In quel lontano 1994 noi operai eravamo
giovani, una vita intera davanti, dopo tutti questi anni di lavoro in
fabbrica non siamo più giovani e in quanto operai consumati non
abbiamo niente da festeggiare. Ricordo che si entrava in fabbrica con
un contratto di formazione che durava 2 anni, gli stessi anni in cui
guai se ti azzardavi ad alzare la testa, ti facevano fare 17 minuti
di pausa nell’arco del turno di lavoro, a volte ti capitava di
dover fare la pausa all’inizio del turno quando avevi appena
cominciato a lavorare, poi più niente per tutto il
giorno di lavoro. Eppure il padrone insieme al sindacato aveva firmato che dovevano essere due le pause e di 20 minuti ciascuna. Solo dopo un periodo ci furono concesse 2 pause di 20 minuti, dopo anni di nuovo tolte.
Durante i giorni che precedettero il lavoro direttamente sulla linea
di montaggio, quella che definivano la formazione in aula, avevano
fatto credere che all’interno della fabbrica ci fosse un luogo di
lavoro normale, privilegiato, nei fatti si dimostrò il contrario.
C’erano dei tempi di lavoro, per portare a termine le operazioni
assegnate, che non ti lasciavano neanche il tempo di bere. C’era un
regime di controllo tramite il capo e i Cpi da caserma e un
peggioramento delle condizioni di lavoro con l’aumento delle
operazioni e dei carichi di lavoro sistematica. I sindacati –
dicevano – erano presenti, ma non si vedevano e non contavano
nulla, il padrone faceva quello che voleva esattamente come oggi. Se
si riteneva di fare qualcosa individualmente per iniziare ad
organizzarsi sindacalmente, si doveva tenere presente che il padrone
nei 2 anni di prova ti poteva mettere fuori, c’era da stare attenti
se si voleva continuare a lavorare ed organizzarsi appena possibile,
di certo non si poteva alzare la testa quanto si sarebbe voluto.
giorno di lavoro. Eppure il padrone insieme al sindacato aveva firmato che dovevano essere due le pause e di 20 minuti ciascuna. Solo dopo un periodo ci furono concesse 2 pause di 20 minuti, dopo anni di nuovo tolte.
Dopo i 2 anni di formazione, si è tentato di migliorare le cose, cercando di organizzarsi collettivamente. Si tentò di farlo con il sindacato. Con il tempo, si capì che anche nel sindacato si deve combattere con chi operaio non è ed ha interessi diversi. L’organizzazione collettiva paga soltanto quando gli operai riescono a trovare l’unità intorno ai propri interessi. Così è stato durante gli scioperi interni, così è stato con lo sciopero dei 21 giorni nel 2004, così sarebbe stato per conquistare altro se la lotta fosse continuata in quell’occasione. Il padrone da allora nella galera industriale si è ripreso quello che ha dovuto concedere e molto di più, i sindacalisti continuano a chiedere e a partecipare a tavoli che non portano a niente (se non alla continuazione della loro vita agiata grazie al sudore degli operai), e il padrone fa esattamente tutto quello che voleva come 25 anni fa. Noi a sopravvivere esattamente come 25 anni fa, ma consumati fisicamente. Tanti operai non sono stati consumati ma perché licenziati e buttati in strada, e se hanno trovato un altro padrone a cui vendere le proprie braccia non sono andati meglio. Anche le leggi a cui tutti si appellano sono cambiate, e in peggio per gli operai. La precarietà adesso dilaga anche nelle fabbriche come nel 1994 accadeva sui cantieri e nei campi. Il rammarico è dover lasciare alla prole, ormai grande, questo sistema controllato dai padroni che è peggiorato e ha come fine soltanto i profitti di pochi e non il bene della collettività. È un sistema che andrebbe rovesciato, altrimenti peggiorerà ancora.
Crocco, operaio di Melfi
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