Whirlpool: Di Maio, da azienda soluzione entro sette giorni o stop a fondi pubblici
Roma, 04 giu 19:30 - (Agenzia Nova) - "O entro sette giorni portano la soluzione per lasciare aperta quell'azienda e far lavorare 450 persone, oppure noi gli togliamo i soldi che hanno preso dallo Stato". Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, durante un punto stampa al Mise, sulla vicenda della Whirlpool. Inoltre, Di Maio, ha spiegato: "gli blocco quelli che gli stavamo per dare e gli tolgo quelli che gli abbiamo dato con alcuni strumenti che dovevano servire a creare più lavoro in più occasioni per le imprese. La cifra, solo per iniziare, è di circa 15 milioni di euro. La cosa importante da dire è che non si può permettere che una multinazionale americana venga qui ad ottobre, firmi un accordo e, dopo sette mesi, decida di mettere per strada 450 persone. Soprattutto se questa multinazionale ha preso negli ultimi anni 50 milioni di incentivi".
Roma, 04 giu 19:30 - (Agenzia Nova) - "O entro sette giorni portano la soluzione per lasciare aperta quell'azienda e far lavorare 450 persone, oppure noi gli togliamo i soldi che hanno preso dallo Stato". Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, durante un punto stampa al Mise, sulla vicenda della Whirlpool. Inoltre, Di Maio, ha spiegato: "gli blocco quelli che gli stavamo per dare e gli tolgo quelli che gli abbiamo dato con alcuni strumenti che dovevano servire a creare più lavoro in più occasioni per le imprese. La cifra, solo per iniziare, è di circa 15 milioni di euro. La cosa importante da dire è che non si può permettere che una multinazionale americana venga qui ad ottobre, firmi un accordo e, dopo sette mesi, decida di mettere per strada 450 persone. Soprattutto se questa multinazionale ha preso negli ultimi anni 50 milioni di incentivi".
Whirlpool: la necessità dell’intervento statale contro lo strapotere delle multinazionali
A
poche ore dalla conclusione del primo tavolo al Ministro dello Sviluppo
Economico, a Roma, che ha discusso della vicenda Whirlpool di Napoli
occorre fare qualche considerazione utile sia per gli sviluppi di questa
vertenza ma anche con uno sguardo al lungo (e drammatico) “elenco di
tavoli di crisi aziendali” che languono sulle scrivanie del Ministero.
Diciamo
subito che il caso Whirlpool stupisce solo chi non ha in mente – o
finge di non conoscere – il modus operandi delle grandi aziende
multinazionali, le quali agiscono sulla
base della propria mission: il massimo tasso di profittabilità e la continua svalorizzazione della forza lavoro. Questa realtà non è nuova ed è tutta dentro la moderna configurazione del capitalismo contemporaneo.
base della propria mission: il massimo tasso di profittabilità e la continua svalorizzazione della forza lavoro. Questa realtà non è nuova ed è tutta dentro la moderna configurazione del capitalismo contemporaneo.
La
storia industriale del nostro paese ha già conosciuto (e pagato)
vicende come quelle che si stanno consumando in questi giorni a Napoli.
In particolare il Sud d’Italia ha vissuto intere stagioni sociali e
sindacali che hanno fatto i conti materiali con tale “humus ambientale”,
in cui le multinazionali hanno goduto del massimo di discrezionalità
possibile beneficiando, da un lato, ogni tipo di incentivi e sgravi e,
dall’altro, della disponibilità collaborazionista delle organizzazioni
sindacali complici nel concedere deroghe ai già ristretti vincoli orari e
salariali cui sono costretti le lavoratrici e i lavoratori.
Quando poi – negli asettici uffici delle governance
aziendali – qualche grafico indicava o un rallentamento degli indici o
si intravedevano paesi dove era possibile estorcere il lavoro ad un
costo minore, i vari manager di queste vere e proprie organizzazioni
criminali sfornavano esuberi, tagli lineari, ristrutturazioni e l’intero
armamentario delle strumentazione normativa antioperaia mettendo, al di
là del formalismo giuridico, sotto i piedi qualsiasi presunta etica,
gli accordi sottoscritti e i protocolli firmati.
Stridono,
dunque, e provocano viva irritazione le dichiarazioni di queste ore in
cui esponenti di partiti, vertici istituzionali, uomini di
Confindustria, Confcommercio e della cosiddetta società civile, mostrano
il massimo dell’ipocrisia possibile nel dichiarare “stupore per le improvvise decisioni aziendali e preoccupazione per i lavoratori”.
Mai
come in questo periodo – in un’area metropolitana come quella
partenopea – dove gli storici e strutturali fattori di sofferenza
sociale conoscono una ennesima impennata, è veramente stomachevole
assistere alle lacrime di coccodrillo ed alle rituali processioni alle
porte della Whirlpool di quanti, a vario titolo, sono parte costitutiva e
scatenante degli attuali problemi dei lavoratori di questa fabbrica e,
più in generale, dell’intero mondo del lavoro.
Da
questo punto di vista le dichiarazioni dei giorni scorsi (da parte di
tutti gli attori istituzionali di questa vicenda) sono stati il massimo
della fumisteria possibile e sono state tutte incardinate ad una
squallida polemica – in basso politichese e ancora fortemente
condizionate dal clima post/elettorale – dove ognuno era interessato a
marcare la sua posizione esprimendo o “la critica al governo che non ha vigilato” o un generico “richiamo alle responsabilità della multinazionale”.
Insomma,
ancora una volta, non si racconta e rappresenta la verità dei fatti e
si è, invece, squadernato l’abituale copione che fa da corollario a
queste “vicende sindacali simboliche” dove l’esito sembra quasi già
scritto e dove il costo umano e sociale sarà scaricato sui lavoratori,
sull’economia dell’indotto e sul già manomesso territorio.
Venendo
alle risultante dell’incontro al Ministero di Luigi Di Maio – svolto
nel pomeriggio di martedì 4 giugno – l’azienda ha chiesto tempo per un
nuovo incontro. Whirlpool ha dichiarato che è in atto a Napoli, a
Carinaro e negli altri siti distribuiti in Italia, un avvio di un
processo di ristrutturazione, senza specificare forme e modalità di
questo piano. Inoltre, sempre a detta dei rappresentanti dell’azienda,
nello stabilimento napoletano si registrerebbero delle alte perdite di
esercizio a cui intenderebbero “rimediare”.
Da
parte del Ministro del Lavoro, Di Maio, c’è stata una evidente
incazzatura verso il comportamento dell’azienda che ha, palesemente, non
onorato gli impegni assunti in precedenza ed è stata palesata la
possibilità di intervenire sul sistema degli incentivi di cui ha goduto,
e gode tutt’ora, la multinazionale.
Ma,
oltre all’incazzatura di Di Maio, non ci sembra che il Ministro o il
Governo abbiano chiara una possibile linea di intervento sui numerosissimi
casi di “crisi industriali e produttive” di cui pullula il paese.
Nel
palazzo del MISE si oscilla, anche a seconda dei vari interlocutori
ministeriali, dall’enunciare reprimende generiche verso gli “industriali
inadempienti” a promesse di “risolvere i bacini di crisi”, ma sul
versante dei risultati concreti e verificabili il bilancio è deludente,
assolutamente non all’altezza della gravità della crisi generale del
sistema industriale del paese. Si ha la sensazione che i 5 Stelle
orientino la loro azione più sull'”effetto annuncio” e molto meno sui
risultati concreti, come per il “modello Reddito di Cittadinanza”; grande battage pubblicitario, ma una misura reale molto al di sotto delle aspettative sollevate.
Per
quanto riguarda Cgil, Cisl e Uil cosa dire? In questo caso è come
“sparare sulla Croce Rossa”. I vertici di queste organizzazioni sono
quelli che, periodicamente, hanno firmato (alla Whirlpool e non solo)
tutti gli accordi che sono all’origine dell’attuale situazione in cui
versano i lavoratori. Cgil, Cisl e Uil – al momento – non hanno avanzato
uno straccio di proposta organica in grado di tutelare almeno gli
attuali occupati alla Whirlpool, ma si evidenzia – anche in questo avvio
di “trattativa” – una linea di condotta di mera richiesta al Governo
affinchè “imponga all’azienda il rispetto degli accordi precedenti” o un paradossale “appello all’azienda ed ai suoi compiti produttivi”.
Cgil, Cisl e Uil hanno diffuso in tutti questi anni la logica dei “sacrifici necessari”,
spalancando il varco alla libera iniziativa del padronato e delle
multinazionali. L’accordo dell’Ottobre 2018 è frutto di tale approccio.
L’aver propugnato la filosofia della “riduzione del danno” è
stato l’ulteriore elemento che ha contribuito all’attuale frammentazione
della forza – politica e materiale – dei lavoratori, allargando
oltremodo le maglie alla deregolamentazione autoritaria della forza
lavoro.
Occorre
essere onesti e chiari quando il contendere sono il lavoro e le
condizioni di vita degli operai. Per cui è evidente – considerando anche
la situazione politica generale – che le prospettive che si delineano
per i lavoratori della Whirlpool non sono affatto rosee.
E’ questo, quindi, il tempo della verità e non delle mistificazioni.
Tale
consapevolezza occorre averla in mente altrimenti, anche
inconsapevolmente, si può contribuire al disegno padronale di
ridimensionare e/o chiudere il sito di Napoli.
Piaccia o meno, per salvare il lavoro alla Whirlpool ci vuole la ripresa dell‘Intervento dello Stato nell’Economia, che significa: di fronte all’insolvenza ed alla fuga della multinazionale, lo Stato (anche attraverso organismi come Invitalia, l’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo d’Impresa) deve requisire
lo stabilimento ed avviare una gestione seria della produzione; e solo,
eventualmente, avviare la ricerca di nuovi imprenditori sul mercato.
Una prospettiva del genere che non è ancora – si badi bene – la classica Nazionalizzazione fa
urlare allo scandalo gli apologeti della gabbia dell’Unione Europea, la
quale non gradirebbe una misura del genere definendola “aiuti di Stato oltre i vincoli europei”.
Questa costruzione normativa antioperaia, che calpesta ogni forma di elementare “sovranità nazionale e di sovranità popolare”,
va infranta con la consapevolezza dell’importanza della posta in gioco,
ben oltre un approccio meramente sindacale o settoriale, che sarebbe
inadeguato alla complessità delle questioni.
La
sfida – tra chi produce chiacchiere o fake news e chi intende porre un
argine alla fuga delle multinazionali – si misura su tale terreno ed è
questa la soglia politica ed economica attorno cui sfidare anche
“l’ammuina dei 5 Stelle” e le urlate dichiarazioni di Di Maio.
Certo un obiettivo di tale portata necessità di un sovrappiù di consapevolezza e di lotta e, soprattutto, un cambio di paradigma
interpretativo su come le vertenze operaie si posizionano, sempre
costrette al piano inclinato delle trattative soggette alla spada di
Damocle del padronato e al ricatto delle multinazionali. Altre soluzioni
appaiono, francamente, impossibili.
Naturalmente
– conoscendo la storica astuzia delle multinazionali o il
politicantismo dei nostri governanti – non è escluso che si possa
addivenire a qualche “soluzione tampone” la quale, però, anche sulla
scorta del bilancio del complesso delle vertenze sindacali degli ultimi
anni, si configurerebbe come una sorta di “bomba ad orologeria”, pronta
ad esplodere al prossimo “mezzo punto di percentuale di profitto in meno”.
Il
nostro impegno – politico e sindacale – sarà orientato ad impedire
questo copione, che è rmai un insopportabile ed anacronistico remake.
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